La rassegna della settimana: #1 ECFIN: migliorano le prospettive per l’economia italiana nel 2024. La Commissione europea ha rivisto la crescita allo 0,9% grazie alla spinta del PNRR. #2 PIIE: a sorpresa la curva dei tassi di interesse a lungo termine si è alzata. L’attuale fase caratterizzata da disavanzi primari elevati può mettere in pericolo, in mancanza di piani di rientro credibili, la sostenibilità del debito pubblico. #3 ISTAT: la struttura delle imprese è in continua evoluzione: meno micro imprese, più imprese di grandi dimensioni. Aumenta la percentuale di imprese controllate da famiglie, mentre è cronica la difficoltà di reperimento di manodopera qualificata. #4 Eurostat: nel 2022 la spesa per prestazioni sociali nell’Unione europea ha raggiunto 4.307 miliardi di euro, in aumento del 3,3% rispetto all’anno precedente. Nel nostro Paese la spesa si è attestata a 576,4 miliardi di euro in aumento del 2,9% rispetto al 2021.
In una fase caratterizzata da incertezza, il tasso di crescita del PIL reale in Italia nel 2024 è stimato allo 0,9%. L’European Economic Forecast. Autumn 2023 della Commissione europea ha rivisto al rialzo di 0,1 p.p. la crescita del nostro Paese rispetto alle stime provvisorie dell’estate 2023. Per l’Area dell’euro la previsione è rimasta invariata all’1,2%. Tra le grandi economie, la crescita della Germania è stata rivista al ribasso di 0,3 p.p. rispetto all’1,1% delle ultime stime; la previsione della Francia è rimasta invariata all’1,2% mentre la previsione della Spagna è stata ritoccata al ribasso di 0,2 p.p. rispetto all’1,9% delle stime più recenti. (Leggi)
Nel caso i tassi di interesse restino elevati a lungo come è previsto in questo momento nei mercati finanziari, il rapporto debito pubblico/PIL aumenterà per qualche tempo e bisognerà fare attenzione a tenerlo sotto controllo. In un editoriale PIIE intitolato “If markets are right about long real rates, public debt ratios will increase for some time. We must make sure that they do not explode“, l’economista O. Blanchard avverte sui rischi della sostenibilità del debito pubblico che comportano i tassi alti in quanto la differenza (r-g) tra tasso di interesse e il tasso di crescita sta cambiando segno, da negativo a positivo o si sta avvicinando allo zero aumentando la possibilità di innescare l’effetto valanga. (Leggi)
Tra il 2018 e il 2021 il numero delle imprese italiane è diminuito dell’1,2% mentre l’occupazione è aumentata del 3,8% e il valore aggiunto dell’11,6%. Sono questi i primi risultati della seconda edizione del Censimento permanente delle imprese 2023, diffusi dall’ISTAT. La struttura dimensionale è in evoluzione: le microimprese (3-9 addetti) sono in diminuzione sia nel numero sia nell’occupazione. Le piccole imprese sono in aumento ma si riduce la quota sull’occupazione mentre le medie e le grandi aumentano sia in numerosità sia in occupazione. Si acuiscono alcune tendenze di fondo, alla base dei problemi cronici del sistema produttivo del nostro Paese, come la proprietà familiare e la prevalenza di imprese a basso valore aggiunto. (Leggi)
Nel 2022 nell’Unione Europea la spesa totale per le prestazioni sociali (che comprende “Malattia/Assistenza sanitaria”, Disabilità, Vecchiaia, Superstiti,”Famiglia/Figli”, Disoccupazione, Alloggio, Esclusione sociale) è arrivata a 4.307 miliardi di euro con un incremento del 3,3% rispetto all’anno precedente. La spesa per le prestazioni sociali è aumentata in quasi tutti gli stati membri, tranne Malta e Irlanda. L’Eurostat nell’articolo intitolato “Social protection expenditure up in 2022“, ha pubblicato le stime preliminari dei principali indicatori dell’European System of Integrated Social Protection Statistics (ESSPROS), forniti dai paesi segnalanti su base volontaria. (Leggi)
UNA SPINTA DAL PNRR PER IL PIL ITALIANO
Nelle previsioni di autunno della Commissione europea, l’economia italiana dopo la contrazione congiunturale del PIL reale di 0,4% nel secondo trimestre nell’anno in corso e la stagnazione del terzo trimestre, è stimata in leggera ripresa ad un ritmo sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7%. Secondo la Commissione nel biennio 2024-2025 l’attuazione del PNRR imprimerà una spinta all’attività economica: nel 2024 seguirà una fase di ripresa che porterà la crescita del PIL allo 0,9% e nel 2025 all’1,2%. Nel 2024 i salari nominali sono previsti in crescita del 4,8% rispetto all’indice armonizzato dei prezzi al consumo che aumenterà del 2,7%. Grazie a questa dinamica il reddito disponibile e i consumi privati saranno in ripresa.
Gli investimenti fissi lordi aumenteranno dello 0,1%, nonostante la contrazione del 2,6% degli investimenti in costruzioni, dovuta alla graduale eliminazione dei crediti d’imposta, a partire dal 2023, grazie all’attivazione degli investimenti del PNRR in infrastrutture e in progetti digitali verdi. Nel 2025 l’incremento egli investimenti fissi lordi subirà un’accelerazione del 2,6% compensando la debolezza del settore delle costruzioni. L’inflazione è prevista in netto calo: l’indice armonizzato dei prezzi al consumo passerà dal 6,1% della fine di quest’anno al 2,7% nel 2024 e al 2,3% nel 2025 mentre il tasso di inflazione al netto di energia e alimentari diminuirà più lentamente. Il mercato del lavoro è in netto miglioramento nel 2023 mentre è previsto procedere più lentamente nel prossimo biennio.
Proseguirà la contrazione del tasso di disoccupazione nonostante la riduzione della popolazione in età lavorativa (15-64) e i tassi di partecipazione in aumento. Vi sarà un rallentamento nella riduzione del deficit e del rapporto debito PIL. Nel 2023 il deficit si attesterà al 5,3% sul PIL sostenuto da un calo della spesa per interessi, legato all’impatto della minore inflazione sulle obbligazioni indicizzate, e da una crescita annua della spesa primaria dello 0,5%. In seguito all’eliminazione delle misure energetiche e dell’impatto pressoché nullo dei crediti d’imposta del settore edilizio, nel 2024 il deficit scenderà al 4,4%. Il rapporto debito PIL si attesterà al 139,8%, in diminuzione rispetto al 2022, e riprenderà leggermente a crescere a partire dal 2024 per l’effetto del differenziale meno favorevole tra il tasso di crescita e i tassi di interesse.
ECFIN – European Economic Forecast. Autumn 2023
https://economy-finance.ec.europa.eu/publications/european-economic-forecast-autumn-2023_en
RISCHIO EFFETTO VALANGA SUL DEBITO PUBBLICO
I mercati finanziari stanno prevedendo una curva elevata dei rendimenti di lungo periodo. Questo per gli economisti è stata una sorpresa perché era attesa una curva elevata solo nel breve periodo che inglobasse i tassi più elevati per sconfiggere l’inflazione. La sorpresa ha coinvolto anche il mercato delle opzioni – in cui sono effettuate operazioni di copertura – che scontava una probabilità quasi vicina allo zero che i tassi lungo diventassero elevati ai livelli di adesso. Blanchard fa ammenda, riconoscendo che si era sbagliato – si veda, ad esempio, un editoriale su PIIE di qualche mese fa.
Le cause di questo incremento sono, al momento, ignote e si possono formulare solo alcune ipotesi. I premi a termine, ossia i rendimenti aggiuntivi che gli investitori si aspettano come possessori di debito a lungo termine a causa delle incertezze sul futuro, sono aumentati, anche se non si conosce il perché. L’eccesso del flusso di offerta di moneta sulla domanda corrisponde a un eccesso di offerta di obbligazioni che, deprimendo il prezzo, ne rialza i rendimenti. Oppure una crescita potenziale più elevata dovuta all’innovazione tecnologica e all’intelligenza artificiale. Blanchard ritiene, di nuovo, che le cause siano temporanee e i tassi diminuiranno a breve ma al momento i Governi con debito pubblico elevato dovranno affrontare una curva dei tassi elevata senza poter contare in tempi brevi sulla diminuzione. Quando la differenza (r-g) è uguale a zero e il disavanzo primario è negativo il rapporto debito/PIL aumenta perché non si ha una riduzione in termini reali dovuti alla crescita dell’economia.
I governi per stabilizzare il debito, ed evitare l’effetto valanga, dovranno ridurre a zero i disavanzi primari che per alcuni Paesi sono compresi tra il 2% e il 4%. Poiché non è possibile per ragioni politiche ridurre immediatamente il disavanzo, è necessario procedere con gradualità. L’esperienza dell’austerità introdotta in Europa tra il 2010 e il 2014, considerata troppo rapida, impedendo una pronta ripresa dalla Grande crisi finanziaria, suggerisce un piano di consolidamento che a partire da un livello del 3% del disavanzo primario di durata decennale. Sia per l’UE sia per gli USA la sfida è difficile perché in UE si è alla vigilia della nuova governance e sono necessari piani di rientro credibili per gli investitori senza comprimere gli investimenti. Negli USA il differenziale è positivo per cui il piano di rientro, configgente con l’attuale orientamento, sarà necessariamente più graduale.
L’EVOLUZIONE DELLE IMPRESE ITALIANE
Dai risultati preliminari del censimento delle imprese in Italia è possibile delineare un primo quadro di insieme sulla loro evoluzione negli ultimi tre anni. La rilevazione multiscopo si è arricchita di nuove informazioni come, ad esempio, il posizionamento delle imprese nelle filiere produttive. Dal Rapporto emergono alcuni fatti salienti sull’evoluzione delle caratteristiche delle imprese che, in parte, confermano la persistenza di quegli elementi che sono da sempre considerati i punti deboli del nostro apparato produttivo. Si osserva una lenta evoluzione verso l’incremento della dimensione media: tra il 2018 e il 2021 il loro numero è diminuito di 12mila unità, l’1,2% sul totale, l’occupazione è aumentata del 3,8% e il valore aggiunto dell’11,6%.
Le imprese con 3 addetti in su sono diminuite del 2,5% mentre l’occupazione è aumentata del 5,1%. Il peso delle microimprese, costituite da 3-9 addetti, è diminuito nel complesso, scendendo al 79,5% dal 79,9% del 2018; anche il peso dell’occupazione è calato al 29,5% sul totale dal 30,5% del 2018. Le imprese del settore delle costruzioni hanno registrato una crescita rilevante trainando il settore industriale: a fronte della contrazione del 3,8% del numero delle imprese industriali in senso stretto – con addetti in aumento del 2,4% – le imprese delle costruzioni sono aumentate del 10,2% con un incremento degli addetti del 18,8%. Il settore resta comunque vulnerabile in quanto il boom è dipeso dal superbonus edilizio, varato durante la pandemia, e la graduale eliminazione della misura metterà a rischio la sopravvivenza.
Aumentano le imprese con un numero di addetti superiore a tre controllate da una famiglia: nel 2021 sono l’80,9% contro il 75,2% del 2018. Si conferma la carenza di personale con competenze tecniche e trasversali adeguate, soprattutto al crescere della complessità aziendale: il 53,1% delle medie e il 56,3% delle grandi hanno lamentato difficoltà di reperire personale adeguato alla loro esigenze. Il peso degli oneri fiscali e sociali ha frenato l’assunzione di personale nel 71,9% delle piccole imprese. Le imprese operano sempre più da sole: il 40% ha relazioni stabili con altre imprese contro il 52% della precedente indagine. Una novità importante riguarda la rilevazione, per la prima volta, delle relazioni di filiera e il confronto con il valore aggiunto: il 20% dichiara l’appartenenza al settore alimentare, che tuttavia contribuisce al valore aggiunto solo poco più del 10%, confermando la tendenza dell’industria italiana nella prevalenza di imprese a basso valore aggiunto.
ISTAT – Censimento permanente delle imprese 2023: primi risultati

SPESA SOCIALE IN AUMENTO NELLA UE
I dati preliminari della spesa per le prestazioni sociali per il 2022 pubblicati dall’Eurostat, evidenziano un incremento della spesa del 3,3% nell’Unione Europea rispetto all’anno precedente. I dati, comunicati su base volontaria, non comprendono Grecia, Paesi Bassi e Romania. La spesa per le prestazioni sociali ha raggiunto i 4.307 miliardi di euro (136 miliardi in più rispetto al 2021) e 9.635,7 euro pro-capite (+247 euro). I paesi che hanno registrato l’incremento maggiore rispetto al 2021 sono Bulgaria 28,4%, Cipro 18,2% e la Repubblica Ceca 10%. Nel nostro Paese la spesa è aumentata del 2,9%, in Spagna del 2,7%, mentre in Francia, Germania, Danimarca, Finlandia e Slovacchia l’incremento è stato del 2%.
La quota sul PIL pari al 27,2% sul PIL è diminuita di 1,5 p.p. in quanto il PIL è aumentato più della spesa per le prestazioni sociali cresciuta per contrastare gli effetti negativi della pandemia di COVID-19. La spesa in percentuale del PIL è diminuita in tutti i Paesi eccetto Cipro, Bulgaria e Lussemburgo. In questi Paesi si è registrato un incremento della spesa per le prestazioni di protezione sociale in percentuale del PIL: +1,4 p.p. per Cipro che ha raggiunto il 23,2% del PIL, +1,2 p.p. per la Bulgaria che ha raggiunto il 19,5% del PIL e +0,1 p.p. per il Lussemburgo che ha raggiunto il 21,6% del PIL. Le diminuzioni maggiori sono state osservate a Malta (-2,8 p.p., Austria -2,6 p.p. e Danimarca -2,2 pp.
Tra i Paesi UE di cui sono disponibili i dati, la spesa maggiore sul PIL l’ha sostenuta la Francia con il 32%, seguono Austria e Italia entrambi con il 30%. All’opposto, l’Irlanda spende meno di tuti i Paesi UE 11%, poi Malta 15%, infine Estonia, Lituania e Ungheria, tutte al 16%. Le prestazioni di vecchiaia e di malattia/assistenza sanitaria rappresentano la parte principale delle prestazioni di protezione sociale in tutti i paesi dell’UE: nella UE27 rispettivamente il 40,7% e il 30%. Nel nostro Paese la percentuale delle prestazioni di vecchiaia è la più alta assorbendo il 47,9% di tutta la spesa, mentre le prestazioni di malattia e assistenza sono al 22,9%. Nelle categorie disabilità al quota è 5,3%, superstiti 8,5%, famiglia/figli 5,4%, disoccupazione 5,0%, alloggio, 0,1% ed esclusione sociale non classificate altrove 4,9%.
Eurostat – Social protection expenditure up in 2022
https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/ddn-20231114-3