La rassegna della settimana: #1 La Voce: l’Italia si è dotata di un sistema contributivo simile, solo nel nome a quello implementato in Svezia. Lacune ed errori hanno caratterizzato l’applicazione del nuovo regime. #2 OECD: nell’ambito delle politiche farmaceutiche lo sviluppo di una serie di indicatori concordati migliorerebbe il dibattito pubblico a vantaggio di tutte le parti interessate. #3 PIIE: negli USA il periodo inflativo, iniziato nel 2021 è stato guidato dall’incremento dei prezzi delle materie prime e dalla mutata composizione della domanda. #4 CESIFO: l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della quota della popolazione attiva, rallenterà la crescita a livello globale, con un effetto compensativo.


Il sistema contributivo italiano è stato costruito sul modello svedese denominato Notional Defined Contribution (NDC), un modello che fu approvato dopo una fase di studio piuttosto lunga, tra il 1994 e il 1997, in cui fu valutata attentamente la realizzazione dei meccanismi che consentivano di raggiungere gli obiettivi prefissati. S. Gronchi in un articolo su La Voce intitolato “L’Italia si è davvero dotata di un sistema contributivo?” sostiene che il modello italiano è solo una “rozza approssimazione” di quello svedese e che proprio per gli errori di progettazione, non si riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati e che le riforme degli ultimi anni hanno portato solo peggioramenti. (Leggi)

In un rapporto del 2018 l’OCSE notava come il dibattito pubblico sulle politiche farmaceutiche sia carente di informazioni autorevoli a sostegno delle parti interessate. Per colmare questa lacuna sarebbe necessario elaborare degli indicatori che migliorerebbero il dibattito pubblico sulle politiche farmaceutiche. Un working paper OCSE intitolato “Developing a set of indicators to monitor the performance of the pharmaceutical industry“, R. Keelara, M. Wenzl, L. Waagstein, M. Moens e R. Lopert sostengono che una serie di indicatori concordati renderebbe i dibattiti sulla politica farmaceutica più informati e maggiormente basati sui fatti a beneficio di tutte le parti interessate. (Leggi)

Le determinanti dell’inflazione elevata negli USA dopo la pandemia sono state molto dibattute. In un working paper PIIE di B. Bernanke e O. Blanchard, intitolato “What caused the US pandemic-era inflation?“, si cerca di rispondere a questo interrogativo. I risultati mostrano che, contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato, la determinante di gran parte dell’incremento dell’inflazione nel 2020 non è stato il surriscaldamento del mercato del lavoro ma uno shock dei prezzi dato il livello dei salari. Lo shock ha riguardato l’aumento dei prezzi delle materie prime, guidate dalla forte domanda e da cambiamenti di livello e di composizione della domanda. (Leggi)

L’invecchiamento della popolazione potrà rallentare la crescita nei prossimi anni. È quanto sostenuto in un working paper Cesifo di R. Kotschy e D. E. Bloom intitolato “Population Aging and Economic Growth: From Demographic Dividend to Demographic Drag?“. Gli autori misurano gli effetti della percentuale della popolazione in età lavorativa sull’attività economia tra il 1950 e il 2015 per 145 Paesi. Queste stime sono state confrontate con le proiezioni della della popolazione dal 2020 al 2050. L’invecchiamento della popolazione rallenterà la crescita economica a livello globale, ma vi sarà una parziale compensazione grazie alle condizioni di salute migliori della popolazione più anziana che sposta in avanti l’età lavorativa. (Leggi)

UN CONTRIBUTIVO DA RIFORMARE

Il sistema pensionistico contributivo si basa su tre principi: corrispettività ossia l’equivalenza, a livello individuale, dei contributi versati e prestazione goduta, sostenibilità ossia il pareggio tra la spesa pensionistica e il gettito contributivo e flessibilità, ossia dare la possibilità di andare liberamente in pensione in un intervallo prestabilito. La lunga fase preparatoria impiegata dalla Svezia fu dovuta allo studio e all’implementazione dei meccanismi di un sistema all’apparenza semplice ma in realtà molto difficile da attuare. In Italia il sistema fu introdotto nel 1995 dal Governo Dini quando le proiezioni demografiche con nascite in calo e invecchiamento della popolazione avevano annunciato il fallimento dei sistemi a ripartizione.

Il prezzo da pagare per l’introduzione di questo nuovo sistema fu la doppia contribuzione: un meccanismo in cui la popolazione attiva nella fase transitoria, finanziasse le prestazioni pensionistiche in corso e allo stesso tempo accumulasse capitale per le proprie. La soluzione italiana è stata adottata con numerose pecche: la riforma fu accettata dai sindacati che ottennero il diritto dei lavoratori più anziani di mantenere il retributivo e di quelli più giovani di accedere al pro-rata (un meccanismo che tutela contro interventi peggiorativi al sistema di calcolo dell’assegno pensionistico), rinviando di fatto la riforma. La riforma fu attuata, secondo l’autore, trascurando un elemento molto importante del sistema, ossia la perequazione, un meccanismo di equità intergenerazionale che garantisce la sostenibilità del sistema.

Vi sono stati anche alcuni errori: ad esempio fu scelto l’interesse pari al PIL invece di utilizzare quello del reddito dal lavoro, una scelta che ha minato la sostenibilità, inoltre la decisione di non differenziare i coefficienti di trasformazione per coorte, ma di aggiornarli periodicamente ha pregiudicato l’equità intra-generazionale, penalizzando chi decide di andare in pensione più tardi. Nelle numerose riforme avvenute dal 1995 le lacune e gli errori del sistema non sono state corrette e si è giunti alla vigilia dell’entrata a pieno regime del contributivo nella governance del sistema pensionistico con un sistema confuso e senza risorse.

La Voce – L’Italia si è davvero dotata di un sistema contributivo?

LE POLITICHE FARMACEUTICHE NEL DIBATTITO PUBBLICO

Il dibattito pubblico sulle politiche farmaceutiche è caratterizzato dalla mancanza di informazioni autorevoli e condivise. Una criticità rilevante in un mercato dove sarebbe importante prendere decisioni sulla base informazioni comunemente accettate, incentrate sulla politica sanitaria. Le politiche pubbliche hanno un forte impatto sull’industria farmaceutica e dalla disponibilità di medicine efficaci dipende il funzionamento dei sistemi sanitari. Quest’ultimo utilizza i medicinali curare le malattie e per migliorare la salute della popolazione. L’obiettivo di rendere più trasparente il dibattito risponde all’esigenza di ottimizzare l’impiego di risorse pubbliche e private massimizzando i risultati del settore.

Il governo persegue questo obiettivo regolando in qualche modo la spesa farmaceutica e il settore farmaceutico. L’industria farmaceutica dipende da fondi privati ma quelli pubblici giocano un ruolo cruciale nella forma di finanziamento pubblico diretto della ricerca farmaceutica, sussidi per la ricerca e sviluppo e crediti d’imposta. Nei Paesi OCSE il finanziamento pubblico diretto alla ricerca e allo sviluppo nel settore sanitario rappresenta più di 60 miliardi di dollari, pari allo 0,1% del PIL. I mercati farmaceutici, inoltre, sono molto regolamentati e la maggior parte della spesa farmaceutica è finanziata dai sistemi sanitari nazionali o da programmi obbligatori. Data la rilevanza delle somme coinvolte, che rappresentano una quota rilevante delle entrate e degli incentivi agli investimenti delle imprese, è fisiologico da parte dei decisori pubblici richiedere trasparenza riguardo l’allocazione delle risorse.

A tale proposito una soluzione fattibile potrebbe essere individuata in alcuni indicatori condivisi. Questi indicatori favorirebbero non solo un dibattito sul tema molto più informato ma anche basato sui fatti a vantaggio di tutte le parti interessate. Possono essere utilizzati indicatori di “input” quali tutte le entrate del settore, i finanziamenti pubblici per R&S, i sussidi per altre attività e i crediti di imposta. Vi sono anche gli indicatori di “attività”, quali indicatori finanziari, la spesa in R&D, la percentuale di entrate industriali che rimane come profitto dopo gli investimenti e le spese, nonché indicatori non finanziari dell’attività di R&S, come come gli studi clinici.

OECD – Developing a set of indicators to monitor the performance of the pharmaceutical industry

https://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/developing-a-set-of-indicators-to-monitor-the-performance-of-the-pharmaceutical-industry_3b5ca61c-en

ALLA RICERCA DI UN RESPONSABILE

Nei Paesi industrializzati il tasso di inflazione è in frenata, sebbene in misura inferiore di quanto atteso. Il dibattito sulle determinanti dell’inflazione è iniziato negli USA, tra i primi Paesi ad aver subito nel 2020 un tasso di inflazione crescente nel post Pandemia. A tale proposito, riprendiamo un Paper di B. Bernake e O. Blanchard, autori che hanno fornito, in una conferenza alla Hutchins University, un contributo prezioso nella ricerca delle determinanti della nuova fiammata dell’inflazione a livello globale. Il fraintendimento sulle determinanti è stato l’origine del ritardo dell’intervento dei banchieri centrali. Negli USA il mercato del lavoro nel post pandemia si e dimostrato rigido, con la domanda che non si adeguava prontamente all’offerta, a cui è seguito un incremento dei salari nominali.

Dal lato della domanda, vi è stato il forte rimbalzo dell’economia, contestualmente all’incremento dei prezzi dell’energia e al riposizionamento della domanda, con conseguenti strozzature dal lato dell’offerta. La teoria economica classica ritiene che una politica fiscale espansiva causa l’inflazione se surriscalda il mercato del lavoro e la produzione è superiore a quella potenziale. La portata dell’American Rescue Plan, e la ripresa post pandemia, giustificava l’interpretazione dell’inflazione da surriscaldamento salariale. Tuttavia quest’orientamento ha sovrastimato l’incremento dei salari nominali, sostanzialmente in linea con le previsioni della FED e ha sottostimato il ruolo del mercato dei beni e dell’incremento dei prezzi dell’energia elettrica dato il livello dei salari.

Oltre queste determinanti, vi è stato un effetto inatteso dovuto al cambiamento della composizione della domanda da parte dei consumatori finali, dai servizi ai beni durevoli durante la pandemia e alle contestuali strozzature dal lato dell’offerta. Questa situazione ha determinato delle carenze e aumenti dei prezzi che non sono stati compensati dalla diminuzione di prezzo in altri settori. Anche se la rigidità del mercato del lavoro non è stata la causa scatenante dell’inflazione, gli autori ritengono che abbia degli effetti più persistenti nel lungo periodo di quelli degli shock dei prezzi dei prodotti. La Fed avrebbe dovuto intervenire prima rallentando l’attività economica e riequilibrando il mercato del lavoro.

PIIE – What caused the US pandemic-era inflation?

https://www.piie.com/publications/working-papers/what-caused-us-pandemic-era-inflation

INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE E RISCHI SULLA CRESCITA

La contrazione dei tassi di mortalità e di fertilità stanno modificando in modo significativo la struttura della popolazione delle economie avanzate. In una fase iniziale il tasso di mortalità diminuisce più lentamente di quello di natalità, producendo un’ondata di giovani che tende a deprimere la crescita economica in quanto al di fuori della popolazione attiva. Quando il declino della fertilità accelera, i giovani raggiungono l’età lavorativa e la crescita economica potrà di nuovo decollare. Un incremento della quota della popolazione attiva sul totale, incrementa il lavoro, la produttività e il risparmio e l’innovazione. I Paesi che hanno impiegato in modo vantaggioso questo potenziale potenziale di lavoro hanno conosciuto tassi di crescita elevati, grazie al dividendo demografico.

In alcuni Paesi il tasso di fecondità è inferiore al tasso di sostituzione della popolazione attiva e nel lungo periodo non è possibile stabilizzare la struttura della popolazione per classi di età. Quando la quota sul totale della popolazione attiva diminuisce e quella della popolazione anziana aumenta, il dividendo demografico si trasforma in un freno. L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sulla crescita non è, tuttavia del tutto chiaro. L’analisi viene svolta utilizzando un modello classico di crescita in cui la popolazione di ciascuna generazione, diversamente dalla letteratura fin qui analizzata, entra nell’età anziana a età diverse. In questo modo si tiene conto dei miglioramenti di salute e della diminuzione della mortalità.

Il modello analizza dati panel per 145 Paesi nel periodo 1950-2015. I risultati documentano che i cambiamenti nella struttura per età della popolazione influiscono in modo significativo sulla crescita economica. Un aumento dell’1% nella percentuale di persone in età lavorativa (0,5 punti percentuali in media) aumenta il reddito pro capite di circa l’1%. Inoltre, una quota di età lavorativa maggiore dell’1% amplifica la crescita dello 0,1-0,4% nei periodi successivi. Nel modello integrato con le proiezioni della popolazione 2020-2050, la crescita del reddito procapite nei Paesi OCSE, diminuisce di 0.8 p.p. annui mentre considerando la popolazione in pensione alla stessa età e di 0,4 p.p. annui se l’età della pensione di sposta in avanti per i miglioramenti di salute.

CESIFO – Population Aging and Economic Growth: From Demographic Dividend to Demographic Drag?

https://www.cesifo.org/en/publications/2023/working-paper/population-aging-and-economic-growth-demographic-dividend