La rassegna della settimana: #1 ISTAT: variazione del PIL peggiore di quanto previsto lo sorso luglio, con -0,4% congiunturali e +0,4% tendenziali. Fermi i consumi interni e gli investimenti lordi, positiva la variazione delle scorte. #2 Ministero della Salute: nel biennio 2020-2021 il personale del SSN è rimasto sostanzialmente stabile, con delle marcate differenze tra le Regioni. 3# Banca d’Italia: vi sono differenze sostanziali tra il framework di riferimento dei banchieri centrali negli anni ’70, quando vi furono due shock con inflazione duratura e quello attuale. 4# IMF: per l’Italia il Fondo evidenzia un incremento degli squilibri di finanza pubblica associato a inflazione elevata e crisi demografica.
Nel secondo trimestre di quest’anno la crescita congiunturale ha subito una battuta d’arresto di -0,4%, 0,1 p.p. in più rispetto alla stima preliminare di luglio scorso. La stima definitiva del PIL nel comunicato ISTAT Conti economici trimestrali – II trimestre 2023, ha rivisto al ribasso la crescita tendenziale allo 0,4%, -0,2 p.p. rispetto a quanto stimato in precedenza. La crescita acquista per il 2023 è dello 0,7%, 0,1 p.p. in meno rispetto al comunicato di luglio. Il risultato è dovuto al calo dello 0,3% dei consumi finali nazionali e dell’1,8% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono diminuite entrambe dello 0,4%. (Leggi)
Nel 2021 il personale dipendente del SSN ammontava a 617.246 unità. Il personale dipendente SSN è composto da quello delle ASL, istituti a gestione diretta inclusi, delle Aziende ospedaliere, delle Aziende ospedaliere universitarie integrate con il SSN e delle Aziende ospedaliere integrate con le università. La pubblicazione statistica del Ministero della salute “Personale delle ASL e degli Istituti di ricovero pubblici ed equiparati – Anno 2021” evidenzia anche la prevalenza del genere femminile con il 69,1% rispetto a quella maschile 30,9%. Rispetto al 2020 si è registrato una contrazione in valore assoluto di 220 unità pari allo 0,03%. (Leggi)
Negli anni ’70 vi furono due shock che provocarono un’inflazione elevata: la guerra dello Yom Kippur del 1973 e la rivoluzione iraniana del 1979. Per la tardiva risposta delle banche centrali il tasso di inflazione è stato per molto tempo elevato. Un Occasional Paper dalla Banca d’Italia di F. Corsello, M. Gomellini e D. Pellegrino, intitolato “Inflazione e shock energetici: lezioni dagli anni ’70” ha indagato su gli altri fattori che determinarono un lungo periodo iperinflattivo: la mancanza di indipendenza delle banche centrali, la diversa struttura del mercato del lavoro e le regole di politica fiscale che erano in contrasto con la stabilità dei prezzi. (Leggi)
L’Italia nel 2022 ha registrato una crescita sostenuta in un contesto di inflazione in aumento ma il FMI ha evidenziato un incremento degli squilibri di finanza pubblica associato a inflazione elevata e crisi demografica. Il rapporto FMI “Italy: 2023 Article IV Consultation-Press Release; Staff Report; and Statement by the Executive Director for Italy” sottolinea la necessità di ridurre l’indebitamento e l’incidenza del debito pubblico sul PIL. Desta preoccupazione il calo della popolazione in età lavorativa in quanto può rallentare la crescita di lungo periodo. Aggiustamento fiscale e riforme strutturai sono fondamentali per incrementare la produttività e la crescita potenziale. (Leggi)
UN TRIMESTRE PEGGIORE DEL PREVISTO
Il secondo trimestre 2023 si chiude con una crescita negativa superiore a quella della stima preliminare di luglio. La variazione congiunturale è stata di -0,4%, mentre quella tendenziale è aumentata di +0,4%. A luglio la contrazione congiunturale stimata era di -0,3% mentre la crescita tendenziale era di +0,6%. Il risultato è stato determinato dalla domanda interna, scorte incluse, mentre la componente estera ha fornito un contribuito nullo. Riguardo la componente interna il contributo dei consumi privati è stato anch’esso nullo mentre la spesa delle Amministrazioni pubbliche e gli investimenti fissi lordi hanno fornito un contributo negativo.
Andando più in dettaglio: l’andamento della domanda interna, al netto delle scorte ha contribuito a una contrazione di 0,7 p.p. I consumi finali nazionali sono diminuiti di -0,3% in termini congiunturali e di -1,0% in termini tendenziali, con un contributo negativo sulla variazione del PIL congiunturale di -0,3 p.p. Nell’ambito dei consumi finali si segnala la variazione nulla della spesa delle famiglie e delle ISP in termini congiunturali – tendenziali +1,3% e negativa della spesa delle Amministrazioni pubbliche di -0,2% in termini congiunturali e di -16% in termini tendenziali, con un contributo di -0,3 p.p. sulla variazione complessiva. Gli investimenti fissi lordi si sono contratti di -0,6% in termini congiunturali con un contributo negativo in termini fai PIL di -0,4 p.p.
Tra gli investimenti fissi si segnala il contributo positivo dei mezzi di trasporto +19,5% e dei prodotti della proprietà intellettuale +3,9%. Il contributo al PIL della variazione delle scorte è stato di +0,3 p.p. Dal lato dell’offerta, si segnala la contrazione congiunturale del valore aggiunto del settore primario -1,1% e quello dell’industria -3,2%. Il settore dei servizi ha registrato una crescita dell’1,6%. Negli altri Paesi il PIL ha registrato andamenti eterogenei: in USA la crescita è stata di +0.6% in termini congiunturali e di +2,6% in termini tendenziali; nell’Area Euro la crescita è stata dello 0,3% congiunturale e di +0,6% in termini tendenziali; in Germania si è registrato un andamento nullo rispetto al trimestre precedente e di -0,3% tendenziale, in Francia, infine, +0,9% congiunturale.
IL PERSONALE SSN NEGLI ANNI DELLA PANDEMIA
Tra il 2020 e il 2021 il personale del SSN è rimasto sostanzialmente stabile, diminuendo nel complesso di sole 220 unità corrispondenti allo 0,03%. Il personale sanitario conta 447.359 unità, il 59,2% con un profilo infermieristico e il 22,9% con un profilo medico/odontoiatra e il 17,9% con un profilo caratterizzato da altre figure professionali sanitarie. Il personale medico è si è contratto dello 0,5%, corrispondenti in valore assoluto a 601 unità. A livello Regionale la variazione del personale medico è stata piuttosto eterogenea, con una contrazione marcata in Molise, Val d’Aosta, Emilia-Romagna, Liguria e Sardegna, rispettivamente di -7,76%, -7,38%, -6,64%, -5,35% e -4,54%; moderata in altre quali Basilicata, Piemonte, Calabria e PA di Trento rispettivamente con -2,72%, -2,34%, -1,32% e -0,96%.
In altre regioni altre, infine, hanno registrato un incremento Lazio, Pa di Bolzano, Toscana, Marche e Puglia, rispettivamente con 3,89%, 3,76%, 3,67%, 1,36% e 1,06%. Il personale infermieristico, una categoria al centro del dibattito sulla carenza di personale in sanità, è aumentato in modo lieve, di 83 (+0,03%) unità, anche in questo caso con differenze regionali. Le contrazioni più marcate si sono registrate nelle stesse Regioni interessate dal calo dei medici, ossia Sardegna, Molise, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Liguria rispettivamente con -6,21%, -5,28%, -4,51%, -4,24% e -3,75%.
La prevalenza delle donne si è registra in tutti i ruoli: ad esempio il ruolo sanitario vede una presenza di donne del 68,9%, fuorché quello professionale dove la presenza maschile è del 74,2%. Il Personale dipendente delle ASL ha una consistenza di 407.285 unità (di cui a248.862 unità operano negli ospedali a gestione diretta) ed è aumentato in valore assoluto di 2.534 unità pari allo 0,62%, mentre quello delle Aziende ospedaliere ammonta a 139.008 unità ed è aumentato in valore assoluto di 1.834 unità pari all’1,34%. I dipendenti degli Ospedali gestiti direttamente dalle ASL, tra cui è compreso anche personale universitario, sono aumentati di 1.627 unità pari a +0,7%. Il personale, infine delle aziende ospedaliero-universitarie e policlinici universitari privati ammonta a 85.297 unità ha subito una contrazione del -5,4% corrispondente a 4.891 unità in valore assoluto.
https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3348
INFLAZIONE: LEZIONI DAL PASSATO
Gli anni ’70 hanno segnato la fine degli accordi di Bretton Woods stipulati dopo la Seconda guerra mondiale: l’abbandono del Gold Standard – l’ancoraggio della valuta all’oro – e del regime di cambi fissi comportarono una perdita da parte dei banchieri centrali di un quadro di riferimento consolidato. La mancanza di uno schema consolidato è stata alla base del debole intervento delle banche centrali dopo lo shock petrolifero provocato alla guerra dello Yom Kippur, in cui i prezzi del greggio quadruplicarono e dell’intervento troppo forte per contrastare un secondo shock avvenuto in seguito alla rivoluzione iraniana in cui i prezzi del petrolio raddoppiarono.
Vi sono delle analogie con l’attuale ritorno dell’inflazione innescato dalla rapida ripresa post-Covid, avvenuta in un contesto di colli di bottiglia e di interruzione delle catene globali di approvvigionamento, ed esacerbata dall’invasione russa dell’Ucraina. Rispetto a 50 anni fa vi sono una serie di elementi chiave che differenziano la situazione attuale e che potrebbero contribuire ad evitare la persistenza dell’inflazione. Dopo la fine del Gold standard è stato necessario un ventennio per ricostruire un quadro di riferimento affidabile basato sull’indipendenza e credibilità del banchiere centrale, in cui vi è consenso su politiche monetarie volte a orientare le aspettative di inflazione per raggiungere obiettivi definiti.
Il secondo aspetto, in aggiunta al primo, sono le differenze del contesto istituzionale: la contrattazione nel mercato del lavoro era caratterizzata da elevata conflittualità e da meccanismi di fissazione dei salari scollegati alle dinamiche della produttività, indicizzazione automatica dei salari ai prezzi del 1975 (la cosiddetta scala mobile) e politica fiscale espansiva hanno contribuito all’impennata e alla persistenza dell’inflazione. Riguardo alla politica fiscale, negli anni ’70 la spesa pubblica era cresciuta di 11 p.p. rispetto al PIL. A questo incremento di spesa non è seguito un incremento delle entrate e la spesa è stata finanziata a debito. Prima del divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro, la Banca d’Italia era impegnata ad acquistare tutti i titoli non collocati preso il pubblico, incrementando di fatto la base monetaria. Questi fattori hanno contribuito, in complesso, a rendere inefficace la politica monetaria.
Banca d’Italia – Inflazione e shock energetici: lezioni dagli anni ’70
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2023-0790/index.html
LE RACCOMANDAZIONI DEL FMI
Dopo una crescita sostenuta di +3,7% nel 2022, il primo semestre del 2023 sta seguendo un andamento incerto che ha comportato rallentamento imprevisto dell’economia italiana che rischia di crescere meno di quanto stimato. Il Fondo Monetario Internazionale, nella consueta attività di sorveglianza sotto l’Art. IV, ha pubblicato una serie di raccomandazioni per il nostro paese. Nonostante la resilienza, grazie alla quale, è stata superata la grave crisi energetica dovuta all’invasione russa dell’Ucraina, le misure di supporto e l’incremento del costo del servizio del debito hanno portato in alto l’indebitamento netto in rapporto che nel periodo 2020-2022 è stato in media dell’8,9% del PIL.
Il Governo si è impegnato a ridurre il disavanzo nominale in modo consistente nel 2023, con calo più contenuti negli anni successivi, sebbene sia necessario un ulteriore indebitamento. Nonostante ciò, il rischio complessivo di stress sovrano viene considerato moderato anche se al limite. La necessità di sostenere la disinfezione e di creare riserve di bilancio, dato il rischio moderato di stress sovrano, dovrebbe far accelerare il miglioramento del saldo primario. L’obiettivo del saldo primario 2023 è ancora lontano dal livello pre-pandemia a causa delle previsioni prudenziali sulle entrate e sulla spesa in conto capitale, ancora elevata a causa dei crediti d’imposta.
Il settore finanziario negli ultimi anni si è rafforzato, sebbene permangano delle vulnerabilità in quanto l’incremento dei tassi di interesse, la stretta quantitativa e il rallentamento economico e finanziario hanno aumentato i rischi per la stabilità del settore finanziario. Sul versante macroeconomico, il veloce invecchiamento della popolazione, la bassa partecipazione al mercato del lavoro e la debole produttività sono le sfide da affrontare da parte del nostro Paese per ritornare a una crescita sostenuta. Il prolungato calo dei tassi di natalità e la recente diminuzione dell’immigrazione netta, porterà la popolazione in età da lavoro a una contrazione del 20% nei prossimi 25 anni. Secondo il Fondo le riforme del PNRR contribuiranno ad aumentare la produttività e la crescita potenziale in quanto mirano a modernizzare la pubblica amministrazione e il sistema giudiziario, a semplificare le procedure civili, a rafforzare la concorrenza e il rispetto fiscale e a migliorare i risultati scolastici.