La rassegna della settimana: #1 UVI: da un confronto tra i sistemi sanitari di tipo Beveridge e quelli di tipo Bismark emergono differenze sia nei livelli di spesa sia nell’efficacia delle prestazioni. #2 ISTAT: nel primo trimestre del 2023 l’indebitamento netto della Pubblica amministrazione si è attestato a -12,1%, in aumento di 0,8 p.p. rispetto allo stesso periodo del 2022. #3 La Voce: la proposta di gran parte delle opposizioni di introdurre un livello di salario minimo legale fissato a 9 euro l’ora è stato oggetto di numerose critiche da parte degli addetti ai lavori. #4 Bruegel: quando gli effetti di rete attirano più utenti e generano economie di scala nell’aggregazione dei dati, il benessere degli utenti è massimizzato ma vi sono dei problemi quando un motore di ricerca (Google) è in posizione dominante.
Il Servizio Sanitario Nazionale è nato nel 1978 andando a sostituire il precedente sistema basato sulle casse mutue. A differenza di quest’ultimo che non garantiva il diritto alla salute per tutti in quanto la sanità era riservata ai soli lavoratori iscritti e con differenze di trattamento, il SSN, finanziato dalla fiscalità generale, è basato su un modello di welfare universale. Uno studio dell’Ufficio valutazione e impatto del Senato (UVI) intitolato “Come va la salute? 45 anni di Servizio Sanitario Nazionale: costi e performance“, ha analizzato i costi e le performance del SSN in un’ottica europea effettuando un confronto tra sistemi cosiddetti Bismarck e quelli cosiddetti Beveridge. (Leggi)
Nel primo trimestre 2023 l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche si è attestato a -12,1%, nello stesso periodo del 2022 era -11,3%. L’ISTAT nel Conto trimestrale delle Amministrazioni Pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società del I trimestre 2023 ha evidenziato come il peggioramento dell’indebitamento dipenda principalmente da una riduzione delle entrate. Il potere di acquisto delle famiglie è aumentato del 3,1% grazie alla contrazione della pressione inflativa mentre la propensione al risparmio si è attestata al 7,6%. Il tasso di profitto delle società non finanziarie scende al 44,6% sul valore aggiunto, in diminuzione anche la spesa per investimenti. (Leggi)
La proposta delle forze politiche di opposizione, tranne Italia viva, di uno standard retributivo universale a 9 euro l’ora per tutelare i settori più deboli del mondo del lavoro, dove la contrattazione collettiva è meno efficace, sta sollevando un ampio dibattito tra opposti schieramenti. Pietro Ichino sulle colonne de La Voce in un articolo intitolato “Questioni aperte in tema di salario orario minimo” discute su i pro e contro della proposta: da un lato la fissazione di un livello minimino salariale risponde ad una esigenza rilevante socialmente sentita, dall’altro non tiene conto delle differenze tra le regioni di potere di acquisto e della struttura poco trasparente delle retribuzioni. (Leggi)
Google domina il mercato globale dei motori di ricerca con una quota media dell’86-96%. In un paper Bruegel intitolato “What should be done about Google’s quasi-monopoly in search? Mandatory data sharing versus AI-driven technological competition”, B. Martens affronta il tema di come favorire la concorrenza nei motori di ricerca al fine di superare le prescrizioni della vigente normativa UE (Digital Markets Act – DMA). Una prima soluzione riguarda la condivisione simmetrica dei dati tra tutti i motori di ricerca, indipendentemente dalle dimensioni, una seconda riguarda la cronologia delle ricerche in tempo reale dell’utente e la portabilità dei dati. (Leggi)

BEVERIDGE VS. BISMARK SISTEMI SANITARI A CONFRONTO
Il modello di sanità italiano adottato nel 1978 ha come fonte di finanziamento la fiscalità generale e garantisce il diritto alla salute, secondo equità, di tutti i cittadini italiani in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Nel nostro Paese, il modello di welfare universale noto come modello Beveridge, ha sostituito il precedente modello mutualistico-assicurativo, conosciuto come modello Bismarck. Tra i paesi europei, Germania, Francia, Belgio, e Austria hanno un modello basato sulle casse mutue mentre Spagna e Portogallo lo hanno abbandonato rispettivamente nel 1986 e nel 1979 per passare al modello basato sulla fiscalità generale. Lo studio dell’UVI ha misurato i costi e le risorse dei vari sistemi sanitari e ha confrontato i risultati tra i due modelli in termini di costi ed efficacia.
A complemento dell’analisi è stato considerato anche il sistema sanitario USA, appartenente a una terza categoria di tipo privatistico basata sull’assicurazione volontaria. In una precedente pubblicazione della Banca mondiale del 2009 era emerso che i sistemi Bismarck incrementano la spesa sanitaria pro-capite del 3-4% senza un corrispondente miglioramento delle prestazioni. Le elaborazioni UVI sembrano confermare in parte quanto emerso in precedenza: la spesa sanitaria pubblica in % al PIL nel 2021 è stata il 15,9% negli USA, l’11,0% in Germania, il 10,3% in Francia, nel Regno Unito il 9,9%, 9,7% in Canada, il 7,8% in Spagna e il 7,1% in Italia. Il sistema sanitario privatistico USA si conferma il più costoso con valori più che doppi rispetto alla Spagna.
I Paesi con il modello Beveridge (Regno unito, Spagna e Italia) e single payer (Canada) hanno un livello di spesa inferiore a quello di Francia e Germania modelli Bismarck. Il risultato viene confermato anche dal confronto dell’andamento della spesa nel tempo: USA, Germania e Francia si confermano ai primi tre posti, mentre Spagna e Italia si confermano nelle ultime due posizioni. L’analisi basata su un set di indicatori atti a misurare l’efficacia delle prestazioni, evidenzia come la correlazione tra spesa sanitaria ed efficacia non ha una direzione univoca. Ad esempio nell’aspettativa di vita alla nascita l’Italia occupa la seconda miglior posizione (83 anni), dopo la Spagna (83,2) mentre se si osserva il Tasso di mortalità̀, standardizzato per età Un adeguato regime di governance dei dati con condivisione simmetrica dei dati tra tutti i motori di ricerca, indipendentemente dalle dimensioni, potrebbe preservare le economie di scala e di portata nei dati
aggregazione tra tutti i fornitori di servizi di ricerca ̀, per diabete mellito, l’Italia fa registrare il 9,2, facendo meglio solo degli USA (10,6).
I SETTORI ISTITUZIONALI DOPO IL PICCO INFLATTIVO
Il primo trimestre 2023 è stato caratterizzato da una debole dinamica delle entrate non in linea con l’andamento del PIL: nel primo trimestre 2022 sono state registrate entrate con un’incidenza sul PIL pari al 42,5% mentre nel corrispondente trimestre di quest’anno l’incidenza è stata del 41,7%. Di conseguenza la pressione fiscale è diminuita in un anno di 0,9 p.p. passando da 37,9% a 37,0%. In termini tendenziali le entrate correnti sono aumentate del 5,3% mentre le entrate in conto capitale sono aumentate del 35,1%. La dinamica delle uscite è rimasta invariata ed è stata pari al 53,8% sul PIL. Le uscite totali al netto del servizio del debito sono lievemente aumentate di 0,4 p.p. passando, in un anno, da 50,1% sul PIL al 50,5%.
In termini tendenziali le uscite correnti sono aumentate del 5,9%, mentre le uscite in conto capitale del 22,2%. Per la debole dinamica delle entrate l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche è peggiorato attestandosi a -12,1% 0,8 p.p. in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Anche saldo primario e il saldo corrente presentano valori negativi superiori al corrispondente trimestre dell’anno precedente: rispettivamente -8,8% contro -7,9% e -6,0% contro -5,9%. Dopo il picco inflativo dello scorso anno sono migliorate le condizioni per le famiglie consumatrici che non hanno risentito in modo significativo dell’incremento del deflatore dei consumi di 0,1%: il reddito lordo disponibile è aumentato del 3,2% in termini nominali e del 3,1% in termini reali.
Nel primo trimestre 2023 la propensione al risparmio è stata del 7,6%, in aumento di 2,3 p.p. rispetto al trimestre precedente in quanto la spesa per consumi finali è aumentata meno del reddito lordo disponibile (+0,6% contro + 3,2%). La quota di profitto delle società finanziarie sul valore aggiunto è stata pari al 43,7% in diminuzione di 0,9 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Questo risultato è dovuto a un incremento del risultato lordo di gestione dell’1,2% minore di quello del valore aggiunto +3,2%. Il tasso di investimento delle società non finanziarie (investimenti fissi lordi su valore aggiunto) si è attestato al 24,0%, in calo di 0,3 p.p. in termini congiunturali. La dinamica è dovuta all’incremento degli investimenti fissi lordi del’1,8% non in linea con l’incremento del valore aggiunto del 3,2%.

SALARIO MINIMO LEGALE: IDEA BUONA, APPLICAZIONE CATTIVA
La proposta da parte di un ampio schieramento politico (M5s, PD, +Europa, Calenda) per l’introduzione di un salario minimo con un valore soglia di 9 euro all’ora – l’80,3% del salario mediano che in Italia è di 11,2 euro all’ora, mentre l’orientamento di altri paesi è intorno al 60% – ha accesso un dibattito vivace tra gli addetti ai lavori. Secondo Pietro Ichino, l’approvazione di una misura così congegnata avrebbe un impatto minimo sui contratti del comparto industriale limitatamente alle categorie professionali più basse. Nel terziario e nell’agricoltura, al contrario, gli aggiornamenti tabellari sarebbero più consistenti anche per i contratti approvati più di recente in quanto un gran numero di contratti prevede un minimo tabellare tra i 7 e i 7 euro e 1/2.
Il comparto industriale è maggiormente concentrato nel Centro-Nord dove a fronte di una produttività maggiore si ha un costo della vita più elevato mentre i servizi e l’agricoltura sono concentrati più nel Mezzogiorno dove, a fronte di una produttività minore, si ha un costo della vita più basso. La proposta delle opposizioni non tiene conto di queste differenze territoriali che in Italia sono più ampie rispetto agli altri Paesi. La proposta di Ichino è di affidare a un’autorità, ad esempio il Cnel, la definizione degli standard minimi di salario orario che tengano conto delle differenze territoriali: attualmente al Centro Nord la soglia proposta sarebbe troppo bassa mentre nel Mezzogiorno sarebbe, al contrario, troppo alta.
Questa proposta sarebbe ostacolata dalle maggiori sigle sindacali secondo le quali si tornerebbe alle “gabbie salariali” in vigore in Italia tra il 1954 e il 1969. Per evitare meccanismi che si avvicinino alle gabbie salariali si potrebbe adottare un modello di contratti, stipulati dai principali sindacati nazionali, in cui lo standard minimo viene adattato a situazioni particolari dove il costo della vita è nettamente inferiore, come le aree depresse, polire nelle grandi città dove il costo della vita è nettamente superiore. Un’altra criticità riguarda la poca trasparenza della retribuzione in quanto nel nostro Paese è difficile individuare da soli se le imprese sono in regola o meno a causa delle numerose voci di retribuzione differita o indiretta. Al momento la proposta non è orientata vesto l’armonizzazione della struttura delle retribuzioni italiane rispetto agli altri Paesi europei.
IL QUASI MONOPOLIO NEL MERCATO DEI MOTORI DI RICERCA
La normativa europea vigente Digital Markets Act – DMA, impone ai grandi motori di ricerca, nel caso di posizione dominante, la condivisione asimmetrica dei dati per facilitare i motori di ricerca di dimensioni più piccole. La condivisione asimmetrica, tuttavia, aumenta la concorrenza ma può ridurre il benessere degli utenti. Nel mercato dei motori di ricerca, il benessere degli utenti, misurato dalle percentuali di clic sulle pagine con il punteggio più alto, aumenta quando gli effetti di rete attirano più utenti e generano economie di scala nell’aggregazione dei dati. In caso di regolazione, la condivisione asimmetrica può ridurre la scala e il benessere degli utenti a seconda della pendenza della curva di apprendimento della ricerca.
L’impatto economico degli effetti di rete è ambiguo. Possono aumentare il benessere degli utenti attraverso servizi migliori, ma possono anche ridurre il benessere degli utenti a causa della ridotta concorrenza nei mercati dei servizi a valle. Le previsioni della DMA nel caso dei motori di ricerca possono ridurre la soddisfazione e la qualità della ricerca, perché la concorrenza, così intesa, frammenta i dati degli utenti sui motori di ricerca. Il mercato dei motori di ricerca è quasi monopolistico, con Google che detiene una quota di mercato del 90% e Microsoft Bing e Yahoo circa il 3% ciascuno.
Un adeguato regime di governance dei dati con condivisione simmetrica dei dati tra tutti i motori di ricerca, indipendentemente dalle dimensioni, potrebbe preservare le economie di scala e di portata nell’aggregazione dei dati tra tutti i fornitori di servizi di ricerca. Tuttavia la normativa europea prevede la condivisine asimmetrica, che non viene al momento attuata. Le indicazioni di policy sono quella di attuare il regime di condivisione anche asimmetrica dei dati dai grandi motori di ricerca ai piccoli. Consentire agli utenti di trasferire i dati del proprio profilo personale ad altri motori di ricerca in tempo reale. Monitorare il mercato dei motori di ricerca e, nel caso di una riduzione rilevabile dell’efficienza, in meccanismo di condivisione dovrebbe essere modificato in simmetrico.