La rassegna della settimana: #1 Bruegel: la contabilizzazione degli interessi sul debito nel massimale di spesa, costringerà la Commissione europea, in un contesto di tassi crescenti, a ridimensionare alcuni programmi chiave. #2 ISTAT: nonostante le politiche di coesione, dal 2000 al 2020 gli obiettivi di convergenza per l’Italia non sono stati raggiunti e nell’ultimo ciclo i divari sono aumentati. #3 DIPE: pubblicati dati e grafici di lungo periodo per individuare i cambiamenti in atto dell’economia italiana e valutare la bontà delle politiche economiche dei Governi in carica. #4 Banca d’Italia: dalle considerazioni finali del Governatore Visco, giunto alla fine del suo mandato, emerge un quadro macroeconomico globale incerto in cui l’Italia ha mostrato segnali positivi nel primo trimestre 2023. I nodi di produttività del lavoro e delle riforme legate al PNRR.
L’emissione di debito da parte della Commissione europea è aumentato considerevolmente a partire dal 2020 quando è stato emesso l’85% del totale debito in essere (400 miliardi di euro). In un Policy brief Bruegel intitolato “The rising cost of European Union borrowing and what to do about it”, G. Claeys, C. McCaffrey e L. Welslau, hanno evidenziato che i tassi di interesse sono aumentati incrementando a dismisura il servizio del debito. Lo spread tra i rendimenti dei titoli UE si è allargato anche rispetto agli Stati membri quali Germania e Francia. Gli interessi sul debito, sono contabilizzati dalla UE nel massimale di spesa e questo nel futuro eserciterà pressioni a danno di altri programmi chiave. (Leggi)
Nell’ambito delle politiche di coesione, l’Italia, insieme a Polonia, Spagna e Romania, è tra i Paesi più interessati, anche se nel tempo sono stati mancatigli obiettivi di convergenza in termini di PIL pro-capite. Un focus ISTAT “La politica di coesione e il Mezzogiorno. Venti anni di mancata convergenza”, fa il punto sugli ultimi tre cicli delle politiche di coesione che coprono in intervallo ventennale. Tra il 2000 e il 2021 la convergenza è avvenuta nei territori e regioni dove il reddito di partenza era più basso ossia tra gli Stati membri dell’Europa orientale. In Italia non si è assistito al processo di convergenza delle Regioni meridionali, che tranne per l’Abruzzo sono cresciute meno della media UE27. (Leggi)
Il Dipartimento della programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) ha predisposto uno strumento di lettura delle trasformazioni economiche di lungo periodo che stanno interessando il nostro Paese. I dati, corredati di grafici e note esplicative sono disponibili sul portale del dipartimento nella sezione “Gli andamenti di lungo periodo dell’economia italiana”. Gran parte delle serie storiche inizia dal 2000 a oggi con qualche eccezione per alcune che partono dal 1990. Lo strumento è particolarmente utile in quanto sono associati agli obiettivi quantitativi del Governo: crescita economica, indebitamento netto e debito pubblico risultanti dal DEF e dalla NADEF. (Leggi)
Le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia Visco, giunto al suo ultimo anno di mandato, hanno evidenziato come l’Italia nel 2022 sia cresciuta a un ritmo sostenuto +3,7%, nonostante l’inflazione elevate e le incertezze dovute alla guerra in Ucraina. Il quadro congiunturale globale si mantiene ancora incerto per il persistere degli squilibri globali, della guerra in Ucraina, e a causa di un tasso d’inflazione restio a rispondere alle politiche monetarie restrittive. Il Governatore ha affrontato i nodi del PNRR, sottolineando l’importanza delle riforme strutturali e l’urgenza dell’azione. Al ristagno prolungato della produttività del lavoro sono corrisposte le debolezze strutturali dell’economia italiana. (Leggi)
MODIFICARE LA CONTABILIZZAZIONE DEGLI INTERESSI PASSIVI IN UE
A maggio 2023 l’ammontare del debito dell’Unione europea è arrivato a circa 400 miliardi di euro, l’85% dei quali è stato acceso a partire dal 2020. All’epoca dell’emissione del debito il livello dei tassi di interesse era a livelli storicamente molto bassi, addirittura negativi per scadenze inferiori ai 10 anni. L’indebitamento si è accresciuto per finanziare il programma NGEU ed è previsto un incremento ulteriore almeno fino al 2026. Il mutato contesto dei tassi di interesse dovuto all’azione restrittiva di politica monetaria della BCE, pone alcuni interrogativi su come gestire il crescente servizio del debito. L’Unione europea ha visto allargarsi gli spread rispetto anche agli Stati membri economicamente più rilevanti quali Germania e Franca.
Del resto la Commissione europea non è in grado di influenzare il movimenti ciclico dei tassi di interesse e dovrà abituarsi a conviverci. L’azione più appropriata in questa fase è di ridurre l’ampiezza dello spread con gli Stati membri sviluppando ulteriormente le infrastrutture rilevanti di mercato e di migliorare la propria strategia di emissione. Questo obiettivo non può essere raggiunto da solo: dovranno seguire miglioramenti istituzionali, inclusi quelli sul reperimento di ulteriori risorse proprie e di una presenza sostanziale a lungo termine nel mercato obbligazionario. Una quota rilevante dei prestiti UE (circa 421 miliardi di euro entro il 2026 a prezzi correnti) è destinata al finanziamento di un sostegno a fondo perduto di ammontare senza precedenti.
Si tratta di sovvenzioni agli investimenti pubblici previsti dal RRF e di finanziamenti aggiuntivi per i programmi esistenti nell’ambito del bilancio dell’UE. I costi degli interessi associati a questa parte dell’intervento sono a carico del bilancio UE. Secondo le stime degli autori, l’importo del costo, a causa dell’aumento dei tassi di interesse potrebbe essere almeno il doppio di quanto stimato in fase di avvio del ciclo di bilancio del 2021-2027. Vi sono delle implicazioni rilevanti per il bilancio UE: i costi degli interessi per i prestiti a fondo perduto sono contabilizzati nel massimale di spesa del bilancio UE con la conseguente riduzione de budget destinati ad altri importati programmi europei che sono già stati colpiti dall’inflazione. La UE per salvaguardare questi impegni dovrebbe, in occasione della revisione del quadro programmatico, modificare rapidamente la contabilizzazione degli interessi passivi escludendoli dal massimale di spesa.
Bruegel – The rising cost of European Union borrowing and what to do about it
https://www.bruegel.org/policy-brief/rising-cost-european-union-borrowing-and-what-do-about-it
STORIA DI UNA MANCATA CONVERGENZA
Grazie alla disponibilità di dati completi dei tre cicli delle politiche di coesione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) è stato possibile per l’ISTAT valutare se per il nostro Paese vi sia stata convergenza tra territori e regioni, così come è avvenuto per le quelle degli Stati membri dell’Europa orientale. Nell’arco dell’ultimo ventennio, tutte le Regioni del Mezzogiorno, ad eccezione dell’Abruzzo, sono cresciute ad una media inferiore a quella EU27. Accanto al mancato raggiuntamento degli obiettivi di convergenza si è aggiunto anche il rallentamento delle Regioni più ricche. Nel 2000 tra le prime 50 Regioni con il PIL pro-capite più elevato vi erano 10 Regioni italiane mentre nel 2021 ne sono rimaste solo quattro: PA di Bolzano, Lombardia, PA di Trento e Val d’Aosta.
Nel 2000 tra le ultime 50 con il PIL pro-capite più basso non vi era nessuna italiana mentre nel 2021 se ne sono aggiunte quattro: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Nei primi due cicli delle politiche di coesione periodo 2000-2013, la differenza di reddito (PIL pro-capite in parità di potere d’acquisto) dipendeva esclusivamente dalla differenza nel tasso di disoccupazione di 20 p.p. rispetto alla media UE27. Mentre nella UE, l’occupazione nella classe di età 15-64, è costantemente aumentata fino ad arrivare a quasi il 70%, in Italia il tasso di occupazione è aumentato solo di 2 p.p. In alcune Regioni meridionali – Calabria e Campania – il tasso di occupazione è diminuito nei primi due cicli di programmazione di 2 p.p. per poi gradualmente recuperare.
Nell’ultimo ciclo di programmazione, si è aggiunto in modo significativo anche il differenziale della produttività del lavoro, inferiore di 9 p.p. rispetto alla media UE27. Nel ciclo 2000-2006 la produttività del lavoro italiana era superiore alla media UE ma a partire dal secondo ciclo 2007-2013, il divario positivo si è gradualmente trasformato in negativo, tendenza confermata nel terzo ciclo 2014-2020, anche per le scarse performance di alcune regioni più sviluppate. Le tendenze demografiche dell’Italia degli ultimi 10 anni, caratterizzate da spopolamento e invecchiamento, contribuiranno ad ampliare i divari in termini di reddito rispetto all’Europa, soprattutto nel Mezzogiorno. In mancanza di politiche occupazione e produttività, nel 2023 il divario sarà destinato ad aumentare in tutto il territorio nazione e in particolare nel Mezzogiorno.
ISTAT – La politica di coesione e il mezzogiorno – Vent’anni di mancata convergenza

UNO SGUARDO D’INSIEME DELL’ECONOMIA ITALIANA
Uno strumento prezioso di consultazione per lo studio e l’analisi delle tendenze di lungo periodo dell’economia italiana, è disponibile sul portale del DIPE. I grafici sono costruiti con dati provenienti da varie fonti Istat, Eurostat, Banca d’Italia, OCSE, FMI e sono organizzati in nove sezioni: Prodotto Interno Lordo, Finanza pubblica, Prezzi, Occupazione, Commercio estero, Investimenti, risparmio e patrimonio, Reddito pro capite e povertà, Economia reale e Popolazione. I grafici sono corredati di note esplicative e, in alcuni casi, sono associati agli obiettivi quantitativi dei Governi in carica formulati nei documenti programmartici DEF e NADEF.
Analizzando la sezione dedicata alla Finanza pubblica, osserviamo come l’andamento dell’indebitamento netto della Pubblica amministrazione segua un andamento dal 1990 essenzialmente pro-ciclico: negli anni ‘90 si è avuto un trend di graduale miglioramento rispetto al picco negativo di -11% raggiunto nel 1990 per arrivare a valori inferiori al -2% del 2000. Prima del 1995 gli andamenti dell’indebitamento italiano d UE erano divergenti mentre dopo quella data si osserva una sostanziale sincronia. Durante la grande crisi finanziaria (2007-2008) e la crisi covid-19, si sono raggiunti di nuovo picchi negativi sopratutto nel 2020 quando l’indebitamento è arrivato a -8,9% anche per effetto della revisione dei metodi di contabilizzazione. Le stime programmatiche del DEF 2023 indicano un ritorno vicino al 3% nel 2026.
L’andamento del debito pubblico, a confronto con la media UE mostra come solo tra il 1994 e il 2008 vi sia stato un “timido” percorso di convergenza con l’obiettivo un rapporto debito/PIL più basso ma sempre troppo lontano dal 60%. Dopo la grande crisi finanziaria e, soprattutto la crisi del debito sovrano del 2011, il rapporto debito/PIL è tornato a crescere e ha superato nel 2013 il 130% sul PIL. La situazione si è aggravata durante la crisi da covid-19 quando il rapporto ha superato il 150%. Le stime programmatiche del DEF 2023 indicano un lento rientro verso valori più sostenibili nel prossimo triennio ma sempre superiori al 130%. Sono dati di estrema rilevanza, se letti con la lente della riforma del patto di stabilità e crescita, da cui emerge l’incapacità di raggiungere gli obiettivi di indebitamento del 3% e del debito 60% con le vecchie regole della governance economica europea.
DIPE – Gli andamenti di lungo periodo dell’economia italiana
https://www.programmazioneeconomica.gov.it/andamenti-lungo-periodo-economia-italiana/
AGIRE SUL PNRR, SUPERARE IL RISTAGNO DELLA PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO
Il Governatore Visco nelle sue ultime Considerazioni finali, tra i vari argomenti trattati, ha ribadito l’importanza delle riforme associate al PNRR e ha sottolineato che la più importante criticità del Paese è il ristagno persistente della produttività del lavoro. Secondo Visco la riforma del fisco è fondamentale perché il sistema tributario grava sulla capacità di crescita dell’economia italiana. In passato si è sempre intervenuti senza un disegno organico: il sistema tributario è attualmente complesso: “Una ricomposizione del prelievo che riduca il peso della tassazione sui fattori produttivi può stimolare l’occupazione e gli investimenti.” Vanno rimosse le misure che influenzano negativamente le scelte dimensionali e organizzative delle imprese e rafforzate quelle che incentivano la patrimonializzazione al fine di migliorare l’efficienza.
Le modifiche alla tassazione personale riguardano anche gli effetti redistribuivi e non vanno decontestualizzate dalle caratteristiche delle misure esistenti di sicurezza sociale. Per quanto riguarda il PNRR, il Governatore ritiene che siano possibili miglioramenti ma come prerequisito è necessario un confronto continuo con la Commissione europea anche alla luce degli accordi stipulati in precedenza. “Oltre agli investimenti e agli altri interventi di spesa, è cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto”.
Tra le più rilevanti criticità dell’economia italiana Visco segnala il perdurante ristagno della produttività del lavoro, questa è stata determinata sia dalla bassa efficienza dei processi produttivi, sia dalla debole dinamica della accumulazione del capitale determinatasi in seguito alla grande crisi finanziaria. Negli ultimi venticinque anni il prodotto per ora lavorata è cresciuto “di appena lo 0,3 per cento all’anno, meno di un terzo della media degli altri paesi dell’area dell’euro”. All’introduzione di elementi di flessibilità nel mercato del lavoro, non sono seguiti investimenti tecnologici adeguati e il capitale umano è ancora troppo poco qualificato. Continua il governatore: “non ne hanno beneficiato né la redditività delle imprese, né le retribuzioni orarie, la cui crescita al netto dell’inflazione è stata tra le più deboli in Europa”.
Banca d’Italia – Relazione annuale sul 2022. Considerazioni finali del Governatore