La rassegna della settimana: #1 cesifo: la produttività totale dei fattori e la redistribuzione fiscale sono i driver principali delle differenze territoriali italiane. #2 OECD: l’incertezza economica e finanziaria dalla guerra in Ucraina indurrà i governi dei Paesi OECD a intervenire per proteggere dall’inflazione imprese e famiglie con un incremento conseguente del fabbisogno di prestiti sovrani. #3 Laboratorio futuro: da un indagine IPSOS è emerso che gli italiani conoscono poco il SSN, soprattutto tra la popolazione più anziana. Il lavoro ha anche indagato quale sanità vorrebbero gli italiani in futuro. #4 OECD: crescita globale bassa nel 2023 (+2,7%) e in leggera ripresa nel 2024. L’inflazione, nonostante il calo dei prezzi dell’energia, continua a restare elevata sopratutto nella componete core (alimentari e servizi).
A 162 anni dall’unificazione, i divari territoriali in Italia sono persistenti. Nel 2019 il reddito pro-capite della Lombardia era di 39,700 contro 17.300 euro della Calabria. In un paper cesifo J. Fernández-Villaverde, D. Laudati, L. Ohanian e V. Quadrini, intitolato “Accounting for the Duality of the Italian Economy” hanno analizzato le determinati dei divari territoriali utilizzando un modello bisettoriale dell’economia italiana per la misurazione dei “cunei”. Le maggiori cause dei persistenti divari sono due: la differenza nella produttività totale dei fattori e la redistribuzione fiscale. Questi due fattori da soli spiegano il 70% della differenza di prodotto tra Nord e Sud. (Leggi)
Nel 2023 il fabbisogno di prestiti sovrani nei Paesi OCSE aumenterà del 6% arrivando a 12,9 trilioni di dollari dai 12,2 del 2022. L’incremento del fabbisogno previsto nel “Sovereign Borrowing Outlook 2023” dell’OCSE dipenderà principalmente dalle ricadute finanziarie ed economiche della guerra in Ucraina, in seguito alle quali molti Paesi cercheranno di proteggere imprese famiglie dall’aumento dei prezzi. Anche il fabbisogno netto di finanziamento dovrebbe aumentare da 10,2 a 10,6 trilioni nel 2023. I costi dell’indebitamento sono più che raddoppiati dal 2021 passando all’1,4% nel 2021 al 3,3% nel 2022, con prospettive di ulteriore crescita nel 2023. (Leggi)
Gli investimenti previsti nella Mission 6 del PNRR hanno l’obiettivo di ridisegnare il SSN al fine di colmare le carenze emerse nel corso della pandemia. Nell’ultimo biennio, nonostante il Fondo Sanitario Nazionale sia aumentato ad un tasso superiore rispetto al 2019, restano forti incertezze sull’entità del finanziamento. In un lavoro di Laboratorio futuro intitolato “I dilemmi del Servizio Sanitario Nazionale presente e futuro”, si è indagato su che cosa pensano gli italiani del SSN, quanto lo conoscono e quale sanità vorrebbero nel futuro. Per misurare il grado di correttezza della percezione, vi è un confronto costante tra la realtà dei dati e quanto è emerso dalle interviste IPSOS. (Leggi)
La crescita globale nel 2023 sarà del 2,7%, il valore più basso dalla grande crisi finanziaria (escluso il 2020). L’OECD Economic Outlook di giugno 2023 ha stimato un lieve miglioramento della crescita nel 2024 +2,9% anche se il trend dell’andamento del PIL reale del biennio si manterrà sotto la media. Nel corso del 2024, quando l’inflazione sarà più moderata e i salari reali si saranno consolidati, vi sarà una ripresa graduale. Segnali contrastanti arrivano dal fronte dei prezzi: se l’inflazione complessiva è scesa in gran parte dei Paesi grazie alla frenata dei prezzi dell’energia, l’inflazione “core” resta alta con i prezzi degli alimentari e dei servizi che continuano a crescere. (Leggi)
DIFFERENZE TERRITORIALI: TRASFERIMENTI NOCIVI PER IL SUD
All’interno del nostro Paese esistono differenze economiche territoriali molto ampie, riscontrabili solo tra Paesi diversi. La differenza di 22.400 euro nel 2019 tra il reddito pro-capite della Lombardia e quello della Calabria, è simile a quello del 2019 tra Germania 41.500 euro in parità di potere di acquisto e Grecia, 17.500 euro. Tali eterogeneità sono spiegabili tra Paesi diversi mentre lo sono meno all’interno di uno stesso Paese. Lo studio di Fernández-Villaverde et. al, ha utilizzato un modello macroeconomico che ha l’obiettivo dell’individuazione dei “cunei” che variano nel tempo, ad esempio efficienza, lavoro, investimenti e consumi pubblici, per spiegare le fluttuazioni del ciclo economico nel tempo.
Questo modello non individua le cause ultime delle distorsioni ma evidenzia i settori dell’economia dove le allocazioni dei fattori sono particolarmente problematiche, solo dopo l’individuazione dei cunei è stata effettuata un’analisi più approfondita e dettagliata. La mancata convergenza è sorprendente e, secondo gli autori, non è possibile attribuine le cause alle istituzioni ufficiali in quanto le politiche economiche sono centralizzate e il contesto normativo è omogeneo in tutto il Paese. L’ampiezza delle istituzioni informali oppure l’effettiva implementazione delle istituzioni formali avrebbero potuto spiegare differenze territoriali così ampie. Nonostante le differenze istituzionali siano marcate tra Nord e Sud, il modello non ha trovato “cunei” significativi.
Nel modello sono state considerate due macroregioni, la prima rappresentativa del Nord e del Centro, la seconda del Sud e delle Isole. Guardando attraverso la lente del modello, il Mezzogiorno ha un reddito pro-capite più basso del Centro-Nord per l’esistenza di alcuni “cunei” che distorcono del decisioni ottimali di famiglie e imprese. I due principali cunei, che spiegano il 70% delle differenze territoriali, sono la produttività totale dei fattori e i trasferimenti fiscali interregionali. L’analisi del secondo cuneo ha le implicazioni più rilevanti: i trasferimenti ricevuti dal Sud sono pari al 6,56% della produzione totale del Mezzogiorno, mentre rappresentano il 2,08% di quella del Centro-Nord. L’eliminazione di questi trasferimenti avrebbe un effetto reddituale positivo sull’offerta di lavoro nel Mezzogiorno e un effetto reddituale negativo sull’offerta di lavoro nel Nord. Nell’ipotesi di assenza di trasferimenti fiscali, l’output gap tra il Sud e il Nord si ridurrebbe di un quarto.
cesifo – Accounting for the Duality of the Italian Economy
https://www.cesifo.org/en/publications/2023/working-paper/accounting-duality-italian-economy
AUMENTA IL FABBISOGNO DI PRESTITI IN UN CONTESTO DI COSTI CRESCENTI
Le politiche economiche adottate dai Paesi OCSE, per salvaguardare dall’inflazione imprese e famiglie, determinerà un incremento nel 2023 del fabbisogno di prestiti sovrani del 6% rispetto all’anno precedente: un’inversione di tendenza rispetto al 2022 quando si era registrata una contrazione del 20% rispetto agli anni cruciali della pandemia. Nello stesso anno anche il rapporto debito sul PIL è diminuito all’83% rispetto all’88% degli anni precedenti. Nonostante la contrazione, il livello del fabbisogno di prestiti sovrani resta del 43% superiore alla media del periodo 2011-2019 mentre il debito totale sul PIL è superiore di 10 p.p. della media dello stesso periodo. Circa la metà dell’ammontare del debito negoziabile andrà in scadenza nei prossimi tre anni.
Rispetto agli anni precedenti la politica monetaria accomodante aveva consentito di minimizzare il costo di indebitamento e il rischio di rifinanziamento, ma a partire dalla fine del 2022 il contesto è mutato profondamente: i tassi di interesse sono aumentati ma soprattutto la domanda di obbligazioni delle banche centrali è quasi del tutto svanita. Il settore privato dovrà assorbire in futuro nuove emissioni e rifinanziamenti con conseguenti rischi e costi crescenti. La contrazione della liquidità dei mercati ha aumentato i costi di finanziamento e ha limitato la capacità di azione dei gestori del debito. In questo contesto, i Paesi emergenti e in via di sviluppo affronteranno i rischi maggiori in quanto gli investitori stranieri si rivolgeranno verso Paesi considerati più sicuri.
Le economie emergenti affrontano rendimenti più elevati, una domanda degli investitori più incerta e sono più esposti al rischio di cambio. La qualità del debito sovrano di queste economie è diminuita tra il 2021 e il 2022 a cui sono seguiti 40 declassamenti del rating concentrati in Europa e in America Latina. Il rapporto OCSE dedica un focus sulla capacità dei Paesi di canalizzare gli investimenti sostenibili: le obbligazioni sostenibili hanno superato il 325 miliardi di dollari, il 75% dei quali è incentrato su progetti climatici e ambientali. Il valore totale delle obbligazioni sostenibili è diminuito tra il 2021 e il 2022 ma nel contempo sono aumentati sia i Paesi che concorrono a tali emissioni, +14 tra il 2022 e i primi mesi del 2023, sia l’interesse degli investitori, previsto in aumento anche nei prossimi anni.
OECD – Sovereign Borrowing Outlook 2023
https://www.oecd.org/finance/oecd-sovereign-borrowing-outlook.htm

GLI ITALIANI E IL SSN
Ha destato scalpore la stima della Fondazione Gimbe nel 2019 sul definanziamento di 37 miliardi di euro del SSN – dato dalla differenza tra le risorse programmate e quelle effettivamente assegnate – tra il 2010 e il 2019. Sulla base di questo calcolo si è diffusa l’opinione comune che la spesa sanitaria si sia ridotta ai minimi termini. Guardando ai dati, tra il 2000 e il 2019 la spesa sanitaria procapite nominale è aumentata del 61% passando da 1.179 a 1.904 euro mentre il finanziamento ordinario è aumentato del 39% in termini nominali dal 2000 al 2010 e dal 2010 in poi a un ritmo di un miliardo all’anno, tranne nel 2013 quando a una contrazione di importo analogo è corrisposta una contrazione del PIL che ha pareggiato il rapporto.
Nel 2020 il Ministro della salute è riuscito ad ottenere un incremento di 2 miliardi di euro anche se alla fine dell’anno l’incremento effettivo è stato di 4 miliardi di euro. Anche se si considera la spesa sanitaria in termini reali, ossia al netto dell’inflazione, l’andamento è stato analogo. Agli italiani è stato chiesto che cosa ne pendevano dell’affermazione che “Il finanziamento della sanità pubblica prima del Covid si è costantemente ridotto”. Il 49% dei rispondenti si è dichiarato abbastanza o molto d’accordo mentre il 32% si è dichiarato né d’accordo né in disaccordo. Chi non è assolutamente d’accorso è solo il 6% dei rispondenti. La percentuale di coloro d’accordo (abbastanza o molto) cresce con l’età: nella classe 55-64 anni la percentuale è del 60%.
Non vi sono differenze di genere, ma se si guardano alle differenze territoriali nel Nord-Est più alta è la percezione del definanziamento. Il dibattito pubblico, caratterizzato da elevata disinformazione, ha influenzato le opinioni in modo distorto anche su altri aspetti quali sanità territoriale, deospedalizzazione, cure territoriali, ruolo dei privati e chiusure dei piccoli presidi. Gli italiani sono stati chiamati a esprimersi anche sulle le incertezze del futuro: riguardo alla decentralizzazione emerge che per il 54% degli intervistati “ii) lo Stato deve definire le regole generali di funzionamento del sistema mentre alle regioni deve essere lasciata la gestione a livello locale”. Si tratta del sistema che ricalca la riforma costituzionale del 2001, che andrebbe fatto funzionare meglio, tramite la razionalizzazione ed efficientamento della spesa.
Laboratorio futuro: I dilemmi del Servizio Sanitario Nazionale presente e futuro
L’INFLAZIONE ELEVATA RALLENTA LA CRESCITA
Secondo le previsioni OCSE la ripresa percorrerà “una strada lunga e tortuosa”. Nel 2023 il tasso di crescita globale del PIL reale sarà del 2,7%, il valore più basso dalla grande crisi finanziaria. Nel 2024 il PIL crescerà dello 2,9%, favorito dal rallentamento dell’inflazione e dal conseguente consolidamento dei salari reali. La politica monetaria restrittiva, inaugurata nel 2022, rallenterà la domanda per qualche tempo e farà sentire i suoi effetti alla fine del 2023 oppure agli inizi del 2024. L’inflazione dovrebbe scendere al 6,1% nel 2023 e al 4,7% nel 2024 grazie alla diminuzione dei prezzi dell’energia, degli alimentari, alla moderazione della domanda e alla riduzione delle strozzature dal lato dell’offerta.
L’inflazione core sarà molto vischiosa e si allineerà verso l’obbiettivo delle economie avanzate alla fine del 2024. Il miglioramento della prima parte dell’anno in corso è dovuto al calo dei prezzi dell’energia iniziato dalla seconda metà del 2022 e dalle migliori prospettive della Cina. I prezzi del petrolio spot sono diminuiti sensibilmente rispetto ai picchi raggiunti nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina. In molti Paesi la frenata dei prezzi, tuttavia, non è ancora stata incorporata nei prezzi al dettaglio. Nonostante il conflitto in Ucraina il commercio globale nel 2022 è cresciuto del 5% ma nonostante la forte crescita, nel quarto trimestre di quell’anno si è registrata una forte contrazione pari al 7% annualizzato del volume degli scambi.
La domanda è stata ridotta a causa della politica monetaria restrittiva, dell’accumulo di scorte e dal rallentamento del ciclo dei semiconduttori. Una nuova ondata di Covid-19 in Cina ha limitato il commercio all’interno dell’Asia. Per il nostro Paese l’OCSE prevede un rallentamento della crescita del PIL reale dal 3,8% del 2022 all’1,2% del 2023. L’inflazione elevata sta erodendo i salari reali a fronte di una scarsa dinamica salariale, le condizioni finanziarie si stanno inasprendo mentre il sostegno fiscale varato per mitigare la crisi energetica è gradualmente dismesso, influenzando negativamente consumi privati e sugli investimenti. Sul fronte interno, i risparmi delle famiglie sono ancora elevati e potrebbero contribuire a sostenere la crescita mentre i ritardi nell’attuazione del PNRR potrebbero ridurre la crescita del PIL. La rapida attuazione delle riforme strutturali e dei piani di investimento pubblico nel PNR sarà fondamentale per sostenere l’attività a breve termine e gettare le basi per una crescita sostenibile a medio termine.