La rassegna della settimana: #1 ISTAT: fase congiunturale del 2023 migliore di quanto previsto. Il PIL reale è cresciuto dello 0,6% 0,1 p.p. in più rispetto alle stime preliminari dello scorso aprile. #2 Corte dei Conti: l’analisi delle numerose stime dell’impatto del PNRR sul PIL evidenzia come esse varino a seconda delle modalità con le quali il Piano sarà implementato, oltre che in base alle variazioni del contesto. #3 Brookings: contro l’opinione comune che il surriscaldamento del mercato del lavoro fosse stato alla base dell’inflazione del 2021, uno studio di Bernanke e Blanchard ha dimostrato come non sia andata così. #4 Ministero della salute: il Nuovo sistema di garanzia (NSG) per la valutazione dei LEA, nel 2021 presenta,alcune criticità negli indicatori CORE non distinguibili dall’emergenza pandemica, così come era accaduto per il 2020.
Buone notizie sul fronte dell’attività economica, nonostante il perdurare dell’inflazione: nel primo trimestre del 2023 il PIL reale, destagionalizzato e corretto per i giorni di calendario è cresciuto dello 0,6% in termini congiunturali e dell’1,9% in termini tendenziali. Le stime dei Conti economici trimestrali del I trimestre 2023 pubblicate dall’ISTAT, sono migliori di quelle preliminari dello scorso aprile in cui in PIL congiunturale era stimato in crescita dello 0,5% e quello tendenziale di 1,8%. I consumi finali sono aumentati dello 0,7% mentre gli investimenti fissi lordi dello 0,8%, in calo le esportazioni -1,4% e le importazioni -1%. (Leggi)
Nel DEF 2023 il Governo ha rivisto al ribasso le stime dell’impatto del PNRR sul PIL nel periodo 2021-2026 di 3,5 p.p. da 12,7 a 9,2 p.p. rispetto a quanto ipotizzato in prima battuta. Le stime del DEF2023 sono inferiori di 1,5 p.p. rispetto al DEF 2022. L’impatto sulla crescita del 2022 è stato rivisto in continuo ribasso nei DPB passando da 1,2 p.p. a 0,2 p.p. Alla luce delle continue revisioni ufficiali e delle varie valutazioni da parte di soggetti istituzionali, la Corte dei Conti nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2023 ha ritenuto opportuno fare il punto sullo stato di avanzamento del PNRR e ha effettuato una stima di consenso sugli effetti macroeconomici. (Leggi)
L’aumento dell’inflazione del 2021 è stato sottovalutato dai banchieri di USA e delle principali economie, che sono intervenuti lentamente nella convinzione sbagliata che il fenomeno fosse temporaneo. In un paper Brookings intitolato “What Caused the U.S. Pandemic-Era Inflation?” B. Bernanke ex Governatore della Fed e O. Blanchard ex capo economista del FMI, hanno analizzato le determinanti dell’inflazione, trovando che la maggior parte dell’impennata dell’inflazione iniziata nel 2021 è stata il risultato di shock sui prezzi, dati i salari, compresi forti aumenti dei prezzi delle materie prime e carenze settoriali. (Leggi)
Dopo il periodo di sperimentazione 2017-2019, il Nuovo sistema di garanzia (NSG) è entrato a regime, ma per gli effetti della pandemia i risultati sono diffusi solo a titolo informativo. Nella Relazione sul Nuovo sistema di garanzia per gli indicatori 2021 è stato stabilito il carattere non valutativo del monitoraggio a causa dell’impossibilità di distinguere tra le carenze effettive da quelle dovute dagli eventi pandemici. Per il 2021 sono state riscontrate diverse criticità per le tre macro aree (Area Prevenzione, Area Distrettuale e Area Ospedaliera) riguardo gli indicatori CORE – ossia i 22 indicatori che hanno sostituito la Griglia LEA dall’anno 2020. (Leggi)
PIL OLTRE L’INFLAZIONE
Dopo la frenata dell’ultimo trimestre del 2022, quando il PIL reale si era contratto dello 0,1%, nei primi mesi del 2023 si registrano i primi segnali di ripresa nell’economia italiana. Il PIL reale a prezzi concatenati, destagonalizzato e corretto per i giorni di calendario è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% mentre in termini congiunturali dell’1,9%. In seguito a questi dati, la crescita acquisita nel 2023 è dello 0,9%. Dal lato della domanda interna i consumi finali sono cresciuti dello 0,7%, gli investimenti fissi lordi dello 0,8%, mentre le importazioni sono diminuite dell’1% e le esportazioni dell’1,4%.
Il contributo al PI dovuto alla domanda nazionale al netto delle scorte è di 0,7 p.p. così suddiviso: +0,3 p.p. i consumi delle famiglie e ISP, +0,2 p.p. gli investimenti fissi lordi e la spesa delle AP. La variazione delle scorte e della domanda estera netta hanno entrambe contribuito negativamente per 0,1 p.p. Il dato delle scorte è positivo perché si è scongiurata una crescita dovuta all’accumulo di scorte. Le ore lavorate sono aumentate dell’1,3% mentre le posizioni lavorative dello 0,8% e le unità di lavoro dell’1,1%. Nei Paesi dell’Area euro vi è stata una crescita congiunturale dello 0,1% e tendenziale dell’1,1%: in Francia il PIL reale è aumentato di 0,2% in termini congiunturali e +0,8% in termini tendenziali; in Germania si è avuta una contrazione dello 0,3% in termini congiunturali e 0,2% in termini tendenziali. Negli Stati Uniti si è registrato un aumento dello 0,3% in termini congiunturali e dell’1,6& in termini tendenziali.
Il valore aggiunto a prezzi di base nell’Industria in senso stretto si è contratto dello 0,2% in termini congiunturali, del 2,7% nel settore Finanziario e assicurativo e dello 0,7% nell’Amministrazione pubblica. L’andamento è stato positivo nei settori delle Costruzioni, nelle Attività immobiliari e nelle Attività professionali, ricerca e servizi di supporto. Le ore lavorate sono aumentate dell’1,3% rispetto al trimestre precedente: le ore nei servizi sono aumentate dell’1,4%, dell’1,9% nell’industria in senso stretto e dello 0,3% nelle costruzioni. Colpisce il dato dell’industria in senso stretto: contrazione del valore aggiunto a fronte dell’incremento delle ore lavorate, sintomo dei cronici problemi nella produttività del lavoro del nostro Paese.

QUAL È VERO IMPATTO DEL PNRR
Le stime iniziali dell’impatto cumulato sul PIL in Italia nel periodo 2021-2026, formulate secondo il modello QUEST della Commissione europea, erano di 12,7 p.p. (mentre il modello Modello MACGEM-IT di MEF e DT aveva previsto 14,5 p.p. circa). La valutazione è stata effettuata tenendo conto solo degli investimenti aggiuntivi, escludendo gli investimenti del Piano che si sarebbero comunque realizzati. Dal 2022 nei documenti ufficiali di finanza pubblica l’entità dell’impatto cumulato sul periodo è gradualmente diminuita: nel DEF2022 la stima elaborata in base al modello QUEST è diminuita di 2 p.p. mentre quella stimata dal modello MACGEM-IT è diminuita di 1,6 p.p.
Nel DEF 2023 la stima secondo il modello QUEST III R&D dell’impatto cumulato sul PIL (deviazione cumulata dallo scenario di base senza PNRR) è sceso ulteriormente a 9,2 p.p. corrispondente a una revisione al ribasso di 3,5 p.p. Scomponendo per ciascun anno la revisione per il 2021 è stata di -0,4 p.p. per il 2022 -1,0 p.p. (la revisione più ampia) per il 2023 -0,9 p.p. per il 2024 -0,6 p.p. per il 2025 -0,4 p.p. e per il 2026 -0,2 p.p. La Corte dei conti sulla base di queste continue revisioni e vista anche l’eterogeneità degli impatti cumulati delle stime prodotte da altri soggetti istituzionali è intervenuta con un’analisi degli investimenti del PNRR e dei canali di trasmissione per spiegare le diverse valutazioni dell’impatto del Piano.
La Corte ha evidenziato che l’aumento del livello dei prezzi ha modificalo lo scenario di fondo in quanto le risorse nominali (a prezzi del 2018) sono rimaste invariate. La quantificazione dell’incremento di prezzi non è possibile nell’immediato ma secondo alcune stime basate sulla revisione dei deflatori dei consumi, degli investimenti e del PIL nei DEF dal 2021 al 2023 vi sono dagli 8% a 15% di differenza nel delatore del PIL tra il 2021 e il 2023. Secondo una simulazione basata sui dati di consenso per il biennio 2021-2022 la crescita stimata è di 0,4 p.p. per il 2021 e 1,0 p.p. per il 2022, valori in linea con le previsioni del DEF 2022 ma lontane da quelle del DEF 2023. Per il quadriennio successivo 2023-2026 le stime di consenso danno 1,6 p.p. per il 2023, 1,6 per il 2024, 1,8 per il 2025 e 1,7 per il 2026 per un totale cumulato di 8,1 p.p.
Corte dei Conti – Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2023

INFLAZIONE DA PREZZI, NON DA SALARI
Nel 2021 i banchieri centrali delle economia avanzate sono intervenuti con ritardo sul mercato monetario convinti che l’inflazione dipendesse dal surriscaldamento del mercato del lavoro e che fosse un fenomeno temporaneo. Tra il 2020 e il 2021 negli Stati Uniti le previsioni dell’inflazione del Federal Open Market Committee (FMOC) sono cambiate di poco e vi era la convinzione che l’obiettivo del 2% potesse essere raggiunto nel 2023, nonostante il Congresso avesse approvato un disegno di legge nel dicembre 2020 che includeva 900 miliardi di dollari per i soccorsi covid e il piano di salvataggio americano da 1,9 trilioni firmato dal presidente Biden nel marzo 2021.
Questi due interventi si sono aggiunti ai 2,2 trilioni di dollari del CARES Act approvato dal presidente Trump nel marzo del 2020 che avevano già rinforzato i bilanci delle famiglie e incrementato la loco capacità di spesa. Secondo la teoria economica convenzionale una politica fiscale espansiva porta all’inflazione se ad essa segue un surriscaldamento del mercato del lavoro e il prodotto eccede il livello potenziale. Alcune prime analisi, tra cui anche una dello stesso Blanchard, avrebbero avvalorato questa possibilità, sebbene riconoscendo l’incertezza sulle grandezze economiche causa della molteplicità dei variabili e delle grandezze in gioco. Altri sostenevano che la curva di Phillips era piatta per cui le aspettative di inflazione sarebbero comunque rimaste ancorate a livelli bassi.
Altri osservatori, tra cui sempre Blanchard, avevano sostenuto che i pezzi sarebbero potuti aumentare molto di più di quanto stimato dai calcoli sulla curva di Phillips. L’analisi dimostra che che la maggior parte dell’impennata dell’inflazione iniziata nel 2021 è stata il risultato di shock sui prezzi, dati i salari, compresi forti aumenti dei prezzi delle materie prime e carenze settoriali. Sebbene la rigidità del mercato del lavoro non sia stata finora la principale causa dell’inflazione, gli effetti del surriscaldamento del mercato del lavoro sulla crescita dei salari nominali e sull’inflazione sono tuttavia più persistenti degli effetti degli shock del mercato dei prodotti. Il controllo dell’inflazione richiederà il raggiungimento di un migliore equilibrio tra domanda e offerta di lavoro.
IL NUOVO SISTEMA DI GARANZIA: SUI LEA PESANO GLI EFFETTI PANDEMICI
Anche nel secondo anno in cui il monitoraggio sui Livelli essenziali di assistenza è stato effettuato tramite gli indicatori CORE del NSG, non è stato possibile distinguere se le carenze riscontrate siano state causate dagli effetti della pandemia oppure no. Il Rapporto 2021 è stato redatto a scopo informativo sia per il sottoinsieme degli indicatori CORE sia per quello degli indicatori NO CORE. Scorrendo i risultati della prima Macro Area dedicata alla Prevenzione CORE emerge che per l’indicatore P01C – Copertura vaccinale nei bambini a 24 mesi per ciclo base (polio, difterite, tetano, epatite B, pertosse, Hib) non sia stato raggiunto, a livello nazionale, il valore del 95% – considerato soglia dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Disaggregando i dati per Regioni solo 8 hanno raggiunto il valore soglia (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio Molise e Campania), nell’indicatore P02C raggiungono il valore soglia soltanto 6 Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio). L’indicatore sintetico degli stili di vita P14C è in diminuzione rispetto al 2020, segnalando una riduzione dei comportamenti a rischio per la salute. Nell’area dell’assistenza distrettuale CORE l’indicatore D04C (tasso di ospedalizzazione standardizzato in età pediatrica per asma e gastroenterite) ricoveri prevenibili è in peggioramento rispetto al 2020 ma si attesta a valori inferiori rispetto al 2019. Nell’area dell’assistenza ospedaliera CORE l’indicatore H01Z Tasso di ospedalizzazione (ordinario e diurno) standardizzato per 1000 residenti è in aumento anche se non ha raggiunto i livelli del 2019.
Anche l’indicatore H02Z Proporzione di interventi per tumore maligno della mammella eseguiti in reparti con volume di attività superiore a 135 interventi annui, è in miglioramento. In sintesi solo 14 Regioni su 21 raggiungono il punteggio 60 di sufficienza (Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia.Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia e Basilicata); le Regioni che non raggiungono la sufficienza in una macro-area sono 4, Provincia Autonoma di Bolzano (Prevenzione), Molise (Ospedaliera), Campania (Distrettuale) e Sicilia (Prevenzione), in due macro-aree la Sardegna (Distrettuale e Ospedaliera) e in tutte le macro-aree Calabria e Valle D’Aosta. Di alcune
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