La rassegna della settimana: #1 CEPS: vi sono dubbi sulla riforma del Patto di Stabilità e crescita in quanto non è stata risolta la principale criticità che ha portato al fallimento del Patto. Una proposta per salvarlo. #2 CEPR: la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita sposta l’attenzione sulla sostenibilità a lungo termine della finanza pubblica rispetto a quanto avviene ora su un orizzonte annuale ma questo aspetto potrebbe essere un punto di debolezza. #3 Banca d’Italia: nel primo trimestre 2023 le aspettative delle aziende con più di cinquanta addetti sono migliorate rispetto al trimestre precedente. Migliorano sia le aspettative di crescita, sia quelle sull’inflazione. #4 ISTAT: le crisi degli anni 2019-2022, soprattutto il ritorno dell’inflazione, hanno avuto un impatto sulla competitività dei settori produttivi italiani e sul loro posizionamento all’interno degli scambi internazionali.
La riforma del Patto di Stabilità e Crescita (SGP), proposta dalla Commissione europea a novembre dello scorso anno, è partita con il piede sbagliato in quanto non risolve la principale criticità che ha contribuito al fallimento dello SGP fin dalla sua nascita. In un CPES Policy Brief (2023), intitolato “How to save the Stability and Growth Pact” M. Kraemer e R. Rickes ritengono la proposta non sufficiente in quanto, sebbene sia stata presentata sotto una nuova forma, ha un contenuto vecchio perché non risolve la principale contraddizione del Patto, ossia la mancanza di volontà politica di attuare le disposizioni in assenza di un sistema di sanzioni credibili. (Leggi)
La visione a lungo termine della sostenibilità della finanza pubblica è la più importante novità della proposta di riforma del Patto di Stabilità Crescita e va nella giusta direzione. Secondo C. Wyplosz in un Policy Insight CEPR intitolato “The European Commission’s expenditure benchmark”, l’enfasi posta sul benchmark di riferimento (CAB) potrebbe vanificare la riforma. L’autore passa in rassegna i benchmark adottati in precedenza osservando come non siano riusciti a stabilire una disciplina fiscale. La versione migliorata dello SGP può portare alla disciplina fiscale, ma per come è stata concepita, è troppo tecnica e poco chiara per cui sarà difficile discutere la disciplina di fiscale con gli stati membri. (Leggi)
I primi mesi del 2023 sono contraddistinti da un rasserenamento dell’attività economica rispetto all’ultimo trimestre 2022. L’Indagine della Banca d’Italia sulle aspettative di inflazione e crescita del 1° trimestre 2023, somministrata aa un campione di aziende con più di cinquanta addetti, ha registrato un miglioramento della situazione corrente, testimoniato da giudizi meno diffusi sul peggioramento della situazione economica generale. Hanno favorito i giudizi positivi la ripresa della domanda e l’allentamento della morsa dei prezzi dell’energia. Migliorano anche le aspettative di inflazione: 6,4% sull’anno e 5,8 e 4,8% rispettivamente tra due anni e tra 3 e 5 anni. (Leggi)
Il periodo 2019-2022 è stato caratterizzato, a livello globale, dalla crisi pandemica, dal recupero repentino dei livelli di attività economica precisi e poi dal ritorno dell’inflazione. L’undicesima edizione del rapporto sulla Competitività dei settori produttivi dell’ISTAT, ha esaminato il meccanismo di trasmissione dell’incremento del livello del prezzi internazionali sugli scambi interni del sistema produttivo italiano e sul meccanismo di diffusione dell’inflazione a livello settoriale. Sono stati individuati i settori maggiormente esposti allo shock d’inflazione e misurate le capacità di traslazione dei rincari sui prezzi di vendita. (Leggi)

UN’AUTORITÀ DI POLITICA FISCALE PER SALVARE IL PATTO DI STABILITÀ
Sin dalla sua nascita il Patto di stabilità e crescita ha sofferto di una debolezza intrinseca in quanto le politiche fiscali sono stabilite da governi democraticamente eletti. I decisori delle politiche fiscali sono chiamati a giudicare se le politiche adottate sono conformi al quadro giuridico concordato, con una conseguente contraddizione nel caso di violazione delle regole. Dalla nascita dell’Area euro, nonostante le varie versioni dello SGP, non sono stati notati miglioramenti apprezzabili della situazione fiscale dei Paesi. Il rapporto debito PIL è aumentato, così come la dispersione mentre il merito creditizio dei debiti sovrani si è deteriorato. Dall’introduzione dell’euro sono state avviate 38 excessive deficit procedure (EDP) senza che il Consiglio d’Europa abbia mai comminato una sanzione a uno Stato membro.
Le sanzioni sono simboliche in quanto può essere comminato al massimo lo 0,5% del PIL da versare in un deposito senza interessi che si trasforma in un versamento a fondo perduto nel caso che nel biennio non sia stata perseguita la riduzione del deficit. Negli scorsi anni, quando i tassi di interesse erano a livelli molto bassi, un versamento con queste caratteristiche non ha agito da deterrente allo sforamento dei limiti, con il risultato che alcuni Paesi hanno registrato livelli di deficit/PIL superiore al 3% per lunghi periodi. Tra il 2001 e il 2019 Grecia, Portogallo, Francia, Spagna e Italia hanno trascorso proporzionalmente in anni rispettivamente il 79%, 74%, 74%, 47% e 42% del periodo con un livello di indebitamento superiore a quanto stabilito dal Patto.
La proposta della Commissione europea ha conservato, nonostante alcune apprezzabili novità, alcuni elementi di debolezza intrinseca insiti nel suo disegno istituzionale. Se i governi mancano di credibilità nella valutazione delle proprie politiche fiscali, la contraddizione potrebbe essere superata con la creazione di un istituzione fiscale indipendente (IFC) tramite un potenziamento istituzionale dell’European Fiscal Board. La politica fiscale resterebbe nelle mani dei governi eletti ma la valutazione sarebbe demandata a un organismo indipendente sovranazionale. Nel caso questa proposta sia considerata troppo estrema, gli autori propongono una soluzione più leggera ossia creare un sistema di incentivi per imporre le sanzioni dovute e rendere il Consiglio d’Europa più ligio alle regole: ad esempio un sistema di sanzioni automatiche in forma di versamenti a fondo perduto.

IL NUOVO PATTO DI STABILITÀ NON PORTA ALLA DISCIPLINA FISCALE
La proposta di riforma del Patto di Stabilità e crescita (SGP) ha il merito di fare pulizia nella sedimentazione delle riforme del SGP che si sono accumulate nel corso delle numerose riforme degli anni precedenti. Secondo C. Wyplosz, sebbene la r vada nella giusta direzione, vi sono degli elementi di debolezza che possono vanificare la riforma. La proposta della Commissione sposta l’attenzione sulla sostenibilità a lungo termine invece che sulle finanze pubbliche annuali. La proposta si allontana anche dalle valutazioni del saldo di bilancio e sottolinea invece il parametro di spesa come misura centrale (CAB). Il CAB è stato introdotto nella riforma del 2011 dal cosiddetto six pack.
Nell’ambito del parametro di riferimento, gli incrementi di spesa che superano il tasso di crescita potenziale vanno accompagnati da ulteriori misure discrezionali in materia di entrate. Secondo l’autore il CAB ha delle debolezze in quanto si concentra solo sulla spesa ciclica per la disoccupazione e sulla previsione del tasso di crescita potenziale. Inoltre si basa anche sulle variazioni delle entrate discrezionali fornite dagli Stati membri, ma la misurazione di tali variazioni delle entrate – equivalenti a entrate straordinarie o mancate – è imprecisa e destinata a essere soggetta a contestazione. Il parametro di riferimento della spesa è stato sviluppato per catturare gli imprevisti e le carenze causati da fluttuazioni cicliche che influiscono sul budget e per impedire una contabilità creativa, ma queste fluttuazioni non influiscono sulla sostenibilità del debito a lungo termine e sono generalmente ignorate nelle stime del CAB.
Nonostante la Commissione abbia lasciato intendere che l’output gap, una misura considerata da sempre molto controversa, sia scomparsa dal quadro fiscale europeo, questo in realtà potrebbe non accadere in quanto resta come parametro di riferimento per l’analisi di sostenibilità di medio lungo periodo del debito. Il potenziamento del benchmark implica anche la stima del PIL su un arco temporale di 4 anni, operazione considerata poco precisa e trasparente. L’approccio anno per anno è sostituito con uno di medio-lungo periodo che, fissando arbitrariamente il percorso di crescita della spesa pubblica nel tempo, persegue di fatto gli stessi obiettivi.
CEPR – Policy Insight 121: The European Commission’s expenditure benchmark
https://cepr.org/about/news/press-release-policy-insight-121-commissions-new-expenditure-benchmark
LE ASPETTATIVE DELLE IMRESE ITALIANE PER IL 2023
Il rallentamento dell’inflazione, la lieve ripresa dei consumi e il ripristino delle catene globali di approvvigionamento stanno contribuendo a rasserenare il clima economico anche nel nostro Paese. L’indagine periodica della Banca d’Italia, somministrata a un campione di imprese con più di 50 addetti nei settori di industria in senso stretto, servizi e costruzioni, ha registrato un diffuso miglioramento. Più in dettaglio, rispetto alla precedente indagine, le aziende con aspettative negative sull’attività economica in generale si sono dimezzate al 23,7% mentre sono più che raddoppiate le imprese con giudizi positivi, aumentate dal 6,3% al 14,9%. Sono migliorate anche le prospettive sulle proprie condizioni operative in un orizzonte di tre mesi: nel quarto trimestre del 2022 lo scarto tra la percentuale di aziende con aspettative negative e positive era di 17,6 p.p. mentre nel primo trimestre 2023 si è ridotto a 0,7 p.p.
La domanda complessiva è in ripresa: la percentuale delle imprese che hanno registrato un aumento della domanda è maggiore di 9,2 p.p. rispetto a quelle che hanno registrato una contrazione. Questo vale anche per la domanda estera dove la percentuale delle imprese che hanno registrato un aumento della domanda è maggiore di 11,4 p.p. rispetto a quelle che hanno registrato una contrazione. Le condizioni per investire sono meno negative: rispetto all’indagine precedente, dove il differenziale complessivo tra le aziende con un giudizio sfavorevole e quelle con uno favorevole era di 30,3 p.p., si è registrato un netto miglioramento soprattutto nel settore dell’industria in senso stretto dove il differenziale si è quasi dimezzato da 29,2 p.p. a 15,3 p.p.
Continua il buon momento dell’occupazione: il differenziale tra le imprese che prevedono di assumere quello delle imprese che prevedono una contrazione è di 17,8 p.p. un valore storicamente alto. Più della metà delle imprese ha affrontato difficoltà a causa dei prezzi dell’energia, per il 25% sono state inferiori e per il 9% superiori a quanto riscontrato nel trimestre precedente. L’inflazione è prevista in calo su tutti gli orizzonti temporali: a tre mesi il 17,8% contro l’8,9% della precedente indagine mentre a 12 mesi il 6,4% contro l’8,1% della precedente indagine. I prezzi alla vendita dell’industria in senso stretto saranno meno dinamici sui 12 mesi: +2,9% contro 4,0% della precedente indagine.
Banca d’Italia – Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita 1° trimestre 2023
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/indagine-inflazione/2023-indagine-inflazione/03/index.html
I SETTORI PRODUTTIVI ITALIANI ALLA PROVA INFLAZIONE
Il 2022 è stato contraddistinto da una crescita economica quasi dimezzata rispetto al 2021 (3,4% contro 6,2%) e dal ritorno dell’inflazione. I prezzi avevano iniziato a crescere dalla seconda metà di giugno 2021 ma dopo l’invasione russa dell’Ucraina, le tensioni sui mercati delle materie prime si sono acuite e hanno generato un incremento dei prezzi energetici e dei generi alimentari. Dopo l’intervento delle banche centrali nel primo trimestre del 2023, l’inflazione complessiva è tornata a scendere sebbene l’inflazione “core” (ossia al netto dell’energia e degli alimentari) abbia continuato ad aumentare sia negli Stati Uniti sia nell’Area euro (rispettivamente +5,5% e +5,6%).
Grazie a un esercizio di simulazione è stata stimata la capacità di traslazione dei rincari dei prezzi alla produzione dei settori italiani sui prezzi di vendita: in gran parte dei comparti industriali l’adeguamento dei prezzi di vendita ha più che compensato l’incremento dei prezzi alla produzione. Nel settore dei servizi la situazione è differente in quanto, in molti comprati, gli aumenti dei prezzi di vendita sono stati meno che proporzionali. Grazie a un secondo esercizio è stato possibile stimare l’impatto sui prezzi alla produzione differenziata per componente – energia, alimentari, manifattura – a livello territoriale: l’impatto dell’energia è stato superiore, a fronte di un’elevata variabilità territoriale, da +22,7% in Basilicata a +73,8% in Valle D’Aosta; l’impatto dei generi agricoli tra lo 0,6% del Lazio e il 7,5% dell’Emilia Romagna.
Nel 2021 numero delle imprese è rimasto sostanzialmente stabile rispetto al 2019 (-0,5%) così come l’occupazione (+0,4%). Si è osservata una ricomposizione settoriale dalla manifattura (-2,4% del numero di imprese e -0,5% degli occupati) al settore delle costruzioni dove si è registrato un incremento del numero delle imprese del 6,6% e degli addetti del 12,2%. La produttività del lavoro nelle costruzioni e nella manifattura è aumentata rispettivamente del 13,2% e del 4,9% sebbene nella manifattura si sia registrata una contrazione dell’occupazione dello 0,5%. Nelle grandi imprese all’incremento dell’occupazione è seguito una contrazione della produttività, diversamente da quanto accaduto nelle piccole e medie. Nei servizi, si contraggono le attività ristorazione e alloggio con -4,5% nel numero di imprese e -10,7% nel numero di addetti mentre nella manifattura si sono contratti il settore della manutenzione e istallazione di macchinari, delle pelli e dell’abbigliamento.
ISTAT – Competitività dei settori produttivi – Edizione 2023