La rassegna della settimana: #1 NBER: quando la BCE non raggiunge gli obiettivi di politica monetaria vi sono delle conseguenze molto eterogenee nella finanza pubblica dei Paesi dell’area euro. #2 ECB: continua la fase restrittiva di politica monetaria. Nell’ultima riunione la Banca centrale europea ha aumentato i tre tassi di riferimento di 50 punti base. #3 Banca d’Italia: l’espansione dell’occupazione generata dal PNRR potrà incontrare ostacoli legati alla rigidità dell’offerta in alcuni settori e ad altri elementi strutturali. #4 IAB: il credito d’imposta sugli investimenti ha avuto effetti positivi sull’attività produttiva delle imprese manifatturiere tedesche dopo la riunificazione.
Il non raggiungimento degli obiettivi di politica monetaria da parte del BCE ha conseguenze fiscali eterogenee sulla finanza pubblica dei Paesi dell’area euro. In working paper NBER “The Fiscal Consequences of Missing an Inflation Target“, M. Andreolli e H. Rey (2023) hanno esaminato nesso tra la politica monetaria e quella fiscale, un nesso considerato cruciale per il funzionamento dell’economia dell’area. Sono state analizzate, a scopi comparativi, anche le conseguenze fiscali anche del mancato obiettivo della politica monetaria della FED e della Banca d’Inghilterra con risultati analoghi. (Leggi)
Nella riunione del 2 febbraio scorso il Consiglio direttivo delle BCE ha incrementato i tre tassi di riferimento dell’area euro di 50 punti base, con la prospettiva che lo stesso possa avvenire nella prossima riunione di marzo. Secondo le indicazioni del consiglio, solo proseguendo nella stretta monetaria sarà possibile il ritorno all’inflazione a un tasso prossimo al 2% in tempi brevi. L’incremento dei tassi di interesse riduce l’inflazione attraverso l’attenuazione dei consumi e può contribuire a evitare che le aspettative di inflazione si spostino verso l’alto in modo duraturo. Viene confermato anche l’approccio decisionale riunione per riunione a seconda dei dati sottostanti. (Leggi)
Nel 2024 gli investimenti del PNRR creeranno una domanda di lavoro aggiuntiva pari a 300.000 unità corrispondente all’1,7% dell’occupazione dipendente del 2019. Un Occasional Paper della Banca d’Italia di G. Basso, L. Guiso, M. Paradisi e A. Petrella (febbraio 2023) intitolato “L’occupazione attivata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue caratteristiche” evidenzia la connotazione dei nuovi occupati, individua i settori maggiormente interessati e le potenziali criticità nel reclutamento. La domanda di lavori più qualificati sarà significativa ma potrà essere ostacolata dal lato dell’offerta in questa tipologia intrinsecamente più rigida. (Leggi)
Il credito d’imposta sugli investimenti ha influenzato positivamente l’attività delle imprese in Germania dopo la riunificazione. In un discussion paper IAB intitolato “Investment Tax Credits and the Response of Firms“, A. Lerche (2022), ha trovato una corrispondenza tra credito d’imposta e incremento dell’occupazione e del capitale nelle imprese manifatturiere. La domanda di lavoro nelle industrie ICT ad alta intensità si orienta verso lavoratori con titolo di studio universitario. L’effetto dell’occupazione viene spiegato con lo spostamento di lavoratori dai servizi e dalla non occupazione e non dallo spostamento all’interno del settore manifatturiero. (Leggi)
LA POLITICA MONETARIA IN PAESI FISCALMENTE ETEROGENEI
Il dibattito economico, a partire dalla teoria valutaria ottimane di Mundell, ha tenuto in considerazione la peculiarità dell’area dell’euro in cui, a una moneta comune, corrispondevano politiche fiscali eterogenee. Per evitare il rischio l’azzardo morale e dell’esternalità negative del debito di un Paese membro sugli altri, sono stati elaborati i parametri di Maastricht e successivamente il patto di stabilità e crescita, in cui sono stati definiti dei parametri arbitrari di deficit e debito. Alcuni studi in passato avevano esaminato il ciclo vizioso tra debito sovrano e settore bancario, la stabilità finanziaria e il ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE.
Il lavoro di Andreolli e Rey (2023) si inserisce in questo filone e considera alcuni aspetti non ancora evidenziato a sufficienza: uno di questi è l’asimmetria della trasmissione della politica monetaria nei Paesi dell’area dell’euro a causa delle diverse strutture finanziarie e del debito pubblico. Un altro aspetto rilevante, è la relazione tra una politica monetaria comune e politiche fiscali eterogenee tra Paesi. Le differenze nelle scadenze del debito pubblico hanno non solo effetti sulla corretta trasmissione della politica monetaria ma anche importanti implicazioni nella relazione tra politica monetaria e politica fiscale. In un contesto in cui una banca centrale credibile, come la BCE, non raggiunge l’obiettivo di politica monetaria per molti anni, strutture del debito di durate eterogenea, portano ad effetti significativi di politica fiscale.
In uno scenario di tassi di interesse in costante diminuzione, come è avvenuto dalla nascita dell’euro, i Paesi con debito con una scadenza più lunga pagano costi del servizio più elevati rispetto a quei Paesi con scadenza del debito più breve. Questo accade perché le obbligazioni a breve termine sono prezzati valutando l’inflazione effettivamente realizzata mentre quelle a lungo termine sono prezzate con le aspettative di inflazione vicine all’obiettivo. Nel caso di mancato raggiungimento sistematico dell’obiettivo, come nel caso della BCE, per alcuni paesi il servizio del debito aggiuntivo cumulato raggiunge i 30 p.p. rispetto al PIL come nel caso di Belgio e Italia nel periodo 2000-2021, isci sono state preferite strutture del debito più di lunga durata rispetto ad altri Paesi.
NBER – The Fiscal Consequences of Missing an Inflation Target

STRETTA MONETARIA AGLI SGOCCIOLI ?
In una recente intervista, rilasciata una settimana dopo la decisione di politica monetaria del 2 febbraio scorso, il Vice presidente della BCE Luis de Guindos ha confermato l’orientamento della BCE di proseguire nella direzione fino ad ora imboccata. L’inflazione è in diminuzione e la pressione dei prezzi dell’energia si sta allentando ma la riapertura della Cina può far ripartire domanda provocando un nuovo rincaro dei prezzi dell’energia, metalli e materie prime. Vi sono all’orizzonte anche i primi aumenti salariali che seppur legittimi devono essere valutati con molta attenzione per evitare l’innescarsi della dinamica salari-prezzi che porterebbe l’inflazione di nuovo fuori controllo.
Dall’intervista emerge chiaramente come le decisioni della BCE, seppur seguendo l’approccio decisionale riunione per riunione, siano improntate alla massima prudenza e che per i prossimi mesi la politica monetaria restrittiva difficilmente sarà allentata. L‘inflazione nel 2023 è prevista al 6% mentre nell’ultimo trimestre del 3,6% ma nonostante questa tendenza i prezzi difficilmente torneranno ai livelli del 2021. Secondo de Guindos la BCE ha sottovalutato la persistenza dell’inflazione e sarebbe dovuta intervenire prima. La decisione di incrementate i tre tassi di riferimento di 50 punti base deriva dal persistere dell’inflazione elevata a gennaio 2023 all’8,5% nonostante il dimezzamento dei prezzi dell’energia e del 5,2% dell’inflazione core che non ha mai raggiunto livello così elevato dalla nascita dell’Unione monetaria.
Di conseguenza il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale e i tassi di interesse sulla linea di rifinanziamento marginale e sulla linea di deposito sono stati aumentati rispettivamente al 3,00%, 3,25% e 2,50% con effetto dall’8 febbraio 2023. Un’altra importante decisione ha riguardato la definizione dettagliata delle modalità di riduzione dei titoli detenuti nell’ambito del Asset purchase programme (APP) attraverso il parziale reinvestimento delle quote capitale dei titoli in scadenza. Il rimborso previsto è di 15 miliardi di euro mensili in media fino alla fine di giugno, le somme in eccesso ai 15 miliardi saranno riallocate proporzionalmente tra i tre programmi costituenti l’APP: il Public Sector Purchase Programme (PSPP), l’Asset-Backed Securities Purchase Programme (ABSPP), il terzo Covered Bond Purchase Programme (CBPP3) e il Corporate Sector Purchase Programme (CSPP).
ECB – Monetary policy decisions
https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2023/html/ecb.mp230202~08a972ac76.en.html
PNRR E CREAZIONE DI OCCUPAZIONE
Il complesso dei finanziamenti dei programmi del PNRR (NGEU, ReactEU e fondi complementari), pari a 235,6 miliardi di euro (13% PIL), dovranno essere utilizzati entro il 2026. Il 2024 sarà l’anno in cui la spesa prevista raggiungerà il massimo. Si stima che nel periodo 2021-2026 gli investimenti incrementeranno il valore aggiunto dei settori interessati e di riflesso anche l’occupazione. Nel 2024, in particolare, è stata stimata la creazione di 300.000 posti di lavoro, una cifra compresa tra l’1,4% e il 2,1% dell’occupazione dipendente del 2019. L’ampiezza dei potenziali risultati è tale da rendere necessaria un’analisi su quali settori beneficeranno di più dagli investimenti sia in termini di valore aggiunto, sia in termini di nuova occupazione.
Alle Costruzioni sono destinate le risorse maggiori pari al 40% di quelle complessive, seguito da quello della Programmazione informatica a cui sono destinate risorse per il 10%. Considerando gli investimenti in proporzione del valore aggiunto settoriale la Fabbricazione di computer e di prodotti di elettronica e ottica le costruzioni beneficeranno di risorse superiori al 20% del proprio valore aggiunto, mentre le costruzioni riceveranno risorse superiori al 20%. Il settore dell’elettronica e informatica in Italia è relativamente piccolo (2,7% sul totale dell’industria manifatturiera) mentre quello delle costruzioni è pari al 15% (dati al 2019). Il valore aggiunto attivato dal settore delle costruzioni sarà in media pari cura il 7% all’anno mentre per il computer, elettronica e ottica sarà pari al 5% annuo.
La ricerca e sviluppo attiverà valore aggiunto pari al 10% per ciascun anno di intervento. La nuova occupazione occupazione, calcolata nell’ipotesi di tecnologia costante, varia da 300.000 a 375.000 a seconda che si considerino i soli fondi RFF oppure il PNRR nel complesso. Sono segnalati alcuni elementi che possono limitare i benefici degli investimenti: l‘incremento dell’occupazione è stimato di durata temporanea mentre nel periodo 2021-2026 la popolazione in età lavorativa si contrarrà di circa 630mila unità. La diminuzione della forza lavoro potrà essere parzialmente compensata dall’incremento della partecipazione, dai flussi migratori e dalla riqualificazione dei disoccupati di lungo periodo. Il primo elemento è più critico in quanto può acuire la formazione di forza lavoro qualificata, già molto esigua nel nostro paese.
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2023-0747/index.html

I BENEFICI E I LIMITI DEL CREDITO D’IMPOSTA SUGLI INVESTIMENTI
In Germania dopo la riunificazione è stato introdotto un programma di credito di imposta sugli investimenti nel tentativo di colmare il gap tra le due Germanie: ad Est il PIL procapite era il 43% rispetto alla Germania dell’Ovest, lo stock di captale per lavoratore il 46% e il tasso di disoccupazione era di 3,7 p.p. maggiore. Il programma è stato varato nel 1991 e prevedeva delle agevolazioni molto generose con aliquote comprese tra il 5 e il 27,5%. Il credito era indipendente dall’ammontare delle imposte e per questo motivo può essere considerato uno strumento di riduzione dei costi di capitale. Il programma, terminato nel 2013, dal 1997 è stato indirizzato solo alle industrie manifatturiere con una costo medio di 1,5 miliardi di euro all’anno.
Erano previste differenze tra i tassi praticati alle imprese: per quelle sotto i 250 addetti l’aliquota del credito d’imposta su tutti gli investimenti in attrezzature era il 10% mentre per quelle con un numero di addetti superiore a 250 era il 5%; dopo il 1999 le aliquote sono aumentate rispettivamente al 20 e al 10%. Dall’analisi degli effetti diretti della misura sull’accumulazione di capitale si è osservato che le impese più piccole hanno registrato un incremento di capitale proporzionalmente maggiore di quelle più grandi. L’elasticità dell’investimento all’aliquota d’imposta è stimato in 2,4: questo significa che un incremento dell’1% dell’aliquota ha generato un aumento degli investimenti del 2,4%.
La produzione domestica è aumentata in proporzione quasi uguale a quella degli input. Vi è stato, inoltre, un effetto positivo nel mercato del lavoro in quanto le imprese dopo l’aumento di capitale hanno incrementato anche l’occupazione. L’incremento della domanda di lavoro con istruzione universitaria è stato piuttosto ampia, soprattutto in quei settori particolarmente dipendenti dalle tecnologie ICT. Tuttavia la differenza tra il tasso di incremento del output e quello dell’incremento dell’input di lavoro suggerisce che la imprese hanno avviato un processo di intensificazione del captale. L’analisi mostra una lieve diminuzione, sebbene statisticamente non significativa, della produttività del lavoro: questo può indicare che il credito di imposta nel medio e lungo termine può limitare gli incentivi al cambiamento della tecnologia.