La rassegna della settimana: #1 Banca d’Italia: in Italia i divari territoriali possono essere colmati migliorando la produttività del lavoro in linea con i Paesi europei. #2 VoxEU: gli effetti della guerra in Ucraina presentano delle analogie con la crisi petrolifera degli anni ‘70 ma la stagflazione sembra lontana. #3 IMF: il sistema economico italiano è resiliente ma la ripresa è messa in pericolo dall’inflazione con rischi al ribasso. #4 mpra: i cambiamenti climatici influenzano le dinamiche d’impresa. Il tasso di ingresso subirà una contrazione e il tasso di uscita, un incremento. #5 La Voce: la stagione della valutazione delle opere pubbliche sembra conclusa. Le ultime valutazioni del MIT usano criteri che sopravvalutano il surplus del consumatore.
Per ridurre i divari territoriali tra Mezzogiorno e Centro-Nord, alla luce delle previsioni demografiche non favorevoli per le Regioni meridionali, è necessario recuperate il terreno perso sul fronte della produttività del lavoro e favorire la più ampia partecipazione al mercato del lavoro. In Quaderno di economia e finanza della banca d’Italia “La crescita dell’economia italiana e il divario Nord-Sud: trend storici e prospettive alla luce dei recenti scenari demografica” di De Philippis, Locatelli e Torrini, sostengono la possibilità per l’Italia di tornare alla crescita che, a determinate condizioni, potrà essere dello 0,8% annuo fino al 2040. (Leggi)
La guerra in Ucraina ha esacerbato l’inflazione, già in crescita inattesa dalla seconda metà del 2021. Un articolo di Verwey, Bardone e Orsini pubblicato su VoxEU intitolato “Russian invasion tests EU economic resilience“, evidenzia in che misura la guerra in Ucraina abbia influenzato l’outlook dell’UE. La Commissione europea nelle previsioni d’estate ha rivisto al ribasso la crescita al 2,7% per l’Area euro rispetto al 4% delle previsioni provvisorie di inverno e al 4,3% delle previsioni di autunno 2021. L’inflazione è stimata in ulteriore aumento al 6,1% e in diminuzione nel 2023 ma sempre al di sopra della soglia del 2%, ed è inevitabile il rischio di una stagflazione. (Leggi)
Al termine delle consultazioni secondo l’articolo IV in Italia, in cui lo staff dell’IMF valuta gli sviluppi economici e finanziari du un Paese e discute e le politiche economiche e finanziarie con il governo e la banca centrale, è stato emesso un comunicato in cui si osserva la resilienza del sistema economico. La crescita, dopo la robusta ripresa del 2021, è messa in pericolo dall’inflazione provocata dalla guerra in Ucraina. Le previsioni sono sotto lo scenario di base con rischi al ribasso. Il sostegno alle famiglie per fronteggiare la crisi energetica sarà limitato per l’esiguo spazio di manovra. (Leggi)
I cambiamenti climatici possono influenzare la dinamica delle imprese e modificare la struttura del mercato. Sono i principali risultati contenuti in un paper di Casarano, Natoli e Petrella, intitolato “Entry, exit and market structure in a changing climate”. Vi sarà un minor tasso di entrata un maggior tasso di uscita e un effetto non significativo sulle riallocazioni. Le grandi imprese riusciranno ad adattarsi velocemente incrementando produzione e ricavi, al contrario le piccole imprese soffriranno di più. Vi sarà anche un incremento del divario tra le aree più cade è quelle più fredde del pianeta. (Leggi)
La pubblicazione da parte del Ministero dei trasporti delle analisi costi-benefici di nuovi progetti infrastrutturali, ha riaperto il dibattito sulla valutazione dell’impatto economico delle opere pubbliche. In un articolo intitolato “La valutazione delle infrastrutture è passata di moda?“, pubblicato su La Voce.info, F. Ramella prende atto che le criticità contenute nelle nuove valutazioni del MIT non hanno suscitato l’interesse né degli addetti ai lavori né dell’opinione pubblica. Tutte le valutazioni sono positive ma la metodologia utilizzata o non è corretta o si avvale di parametri differenti da quelli definiti dalla commissione europea. (Leggi)
CRESCERE CON L’EUROPA PER RIDURRE I DIVARI TERRITORIALI
Una nuova ricostruzione storica degli andamenti dell’economia volta ad analizzare i divari tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso è stata operata da una pubblicazione della banca d’Italia che si è basata sull’edizione più recente dei conti territoriali ISTAT e sui dati pubblicato dallo SVIMEZ nel 2011 e sui dati AMECO della commissione europea. Dalla prima metà degli anni ’70 le Regioni meridionali hanno avuto crescita inferiore a quella del resto del Paese per il sottoutilizzo della forza lavoro (tasso di occupazione inferiore a quello del Centro-Nord).
Il capitale, che aveva contribuito allo sviluppo fino alla seconda metà degli anno ’90 si è ridotto a tassi maggiori che nel resto del Paese. Le crisi finanziarie che si sono avvicendate nel corso degli ultimi 15 anni hanno determinato un trend negativo delle ore lavorate e dello stock di capitale. Negli ultimi 25 anni le Regioni italiane più avanzate hanno perso terreno rispetto a quelle più ricche d’Europa mentre il Mezzogiorno non solo ha perso terreno nei confronti del Centro nord ma anche rispetto alle aree meno avanzate dell’Europa. Prima della pandemia vi erano alcuni segnali positivi dovuti per ritornale alla crescita sebbene vi era l’evidenza della necessità di maggiori investimenti e di una maggiore partecipazione al mercato del lavoro.
Dopo la grave risi economica del 2020 alla luce delle prospettive demografiche, le prospettive dell’economia italiana non sono favorevoli perché si stima una contrazione della crescita di lungo periodo per il Paese e più marcatamente nel Mezzogiorno per le condizioni demografiche peggiori dovute al saldo migratorio negativo. L’Italia potrebbe avere ampi margini crescita nel caso si riuscisse a recuperare i ritardi accumulati nella produttività del lavoro. Nell’ipotesi che la produttività nel Mezzogiorno e al Centro-Nord cresca agli stessi tassi previsti per l’Area euro, tra il 2024 e il 2040 il PIL crescerebbe in media dello 0,8% all’anno anche nello scenario di partecipazione al mercato del lavoro peggiore.
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2022-0683/index.html
UN RITORNO AGLI ANNI ’70?
Vi sono delle analogie tra l’incremento dell’inflazione in seguito alla guerra in Ucraina e quanto si è verificato negli anni 70 quando l’OPEC tagliò le forniture del greggio in risposta alla guerra dello Yom Kippur. L’entità dell’incremento del prezzo del gas al momento di 6 volte il livello dei prezzi precedente alla pandemia è superiore all’incremento del prezzo del petrolio del tempo, mentre l’incremento del prezzo del petrolio, che rappresenta ancora la fonte primaria di energia per l’EU, di circa il 60% sopra il livello precedente alla pandemia è al momento inferiore di quello avvenuto negli anni ’70.
Vi sono anche delle differenze sostanziali: al tempo, l’OPEC controllava quasi il 60% delle forniture di petrolio mondiale, mentre oggi le forniture della Russia rappresentano il 12% per il petrolio e il 17% del gas globale. Inoltre negli anni ’70 i processi produttivi erano maggiormente dipendenti dal petrolio di quanto non accada oggi grazie ai progressi intervenuti nell’efficienza energetica e per una più ampia quota di servizi tra i settori produttivi. Lo scenario prefigurato nelle previsioni di estate, ossia l’aspettativa di una diminuzione dell’inflazione nel 2023, è lontano dalla stagflazione degli anni ’70. Le previsioni d’estate vedono la crescita dell’EU ridursi al 2,7% nel 2022 e al 2,3% nel 2023, entrambe al ribasso in confronto rispettivamente al 4,0% e al 2,8% rispetto alle precedenti previsioni.
L’inflazione è prevista al 6,8% nel 2022 e al 3,2% nel 2023 in sensibile aumento rispetto alle previsioni d’inverno. La crescita è sostenuta dalla spinta della robusta ripresa del 2021 e dalla resilienza del sistema economico che è stato costruita dall’azione delle politiche della UE e a livello nazionale. Inoltre la situazione occupazionale in miglioramento e i risparmi accumulati, insieme all’applicazione del pacchetto del RRF e alle riforme associate sono di supporto ai consumi privati e agli investimenti. Alla luce degli scenari avversi, prefigurati nel caso peggiore di un taglio delle forniture di gas, il tasso di crescita del PIL reale si mantiene sotto 2,5 p.p. al di sotto dello scenario baseline nel 2022 e 2023.
VoxEU – Russian invasion tests EU economic resilience
https://voxeu.org/article/russian-invasion-tests-eu-economic-resilience
SCENARIO INCERTO PER LA CRISI ENERGETICA
A conclusione della missione annuale del FMI nel nostro Paese è stato emesso un comunicato in cui si sintetizza il risultato delle consultazioni tra lo staff del Fondo e il MEF, la Banca d’Italia e le istituzioni pubbliche e private. Dopo la robusta ripresa del 2021, che ha consentito di recuperare quasi completamente i livelli produttivi pre-covid, l’Italia, insieme all’UE sta affrontando nuove sfide dovute all’interruzione delle catene globali di approvvigionamento e alla guerra in Ucraina. Rispetto agli altri Paesi UE il nostro Paese potrebbe essere più colpito a causa della dipendenza dalle materie prime energetiche russe. Il clima di incertezza ha incrementato lo spread, i rendimenti dei titoli di stato sono aumentati, infondendo timori per l’elevata mole del debito pubblico.
L’economia si è dimostrata resiliente, sull’onda della crescita del 2021: nei servizi il turismo sta tornando ai livelli del 2019 e le costruzioni sono in crescita grazie alle generose misure governative. Anche l’industria manifatturiera si è ripresa rapidamente nonostante un secondo semestre 2021 in frenata. Le attuali previsioni di crescita sono influenzate dal contesto internazionale: nello scenario di base di graduale riduzione del importazioni di prodotti energetici dalla Russia, la crescita potrà attestarsi al 2,5% nel 2022 e all’1,75% nel 2023, con l’inflazione attesa al 5,5% annuo.
Nel caso di una rapida interruzione delle importazioni di materie prime, il prodotto potrebbe subire un ulteriore rallentamento anche nel caso di sostituzione parziale delle importazioni con altri fornitori. I costi di rifinanziamento del debito pubblico e del settore bancario aumenterebbero ulteriormente in corrispondenza di una contrazione delle entrate fiscali e della qualità dei prestiti bancari. È stato possibile gestire lo shock energetico grazie al piano REpowerEU attraverso il quale sono disponibili nuove fonti di approvvigionamento in sostituzione di circa la metà di quelle russe, ampliando i rigassificatori e riducendo l’eliminazione delle centrali a carbone. La revisione delle tariffe e gli incentivi fiscali possono limitare le rendite e l’impatto sugli utenti finali.
IMF – Italy: Staff Concluding Statement of the 2022 Article IV Mission

CLIMA E DEMOGRAFIA D’IMPRESA
I cambiamenti climatici possono influenzare la demografia d’impresa e l’output. Le ondate di calore hanno effetti sulla la produzione in quanto i lavori più esposti al caldo diventano meno produttive e incrementare i costi. Nel lungo periodo per alcune imprese questi effetti potrebbero scomparire grazie all’innovazione tecnologica che favorisce l’adattamento ma per altre restano persistenti. Gli studi pubblicati fino a questo momento hanno affrontato la questione solo analizzando grandi imprese quotate e inserite in complesse catene globali di approvvigionamento.
La novità dell’analisi di Casarano, Natoli e Petrella risiede nell’aver considerato l’intero settore delle società italiane escluse le ditte individuali dal 2005 al 2019 per tenere conto nel medio periodo delle implicazioni sulla demografia d’impresa disaggregando il fenomeno per tasso di entrata, di uscita e di ricollocazione. In aggregato, l’incremento nel medio periodo di giornate calde riduce il tasso di crescita delle imprese attive per la stessa area ed è persistente nell’arco dei 12 anni di analisi. Se si disaggrega per le componenti, il tasso di ingresso di nuove imprese si riduce in modo significativo, l’effetto sul tasso di uscita è positivo ma in misura minore mentre è irrilevante l’effetto riallocativo.
Le differenze territoriali suggeriscono come per le Regioni mediterranee il tasso di ingresso diminuisca e il tasso di uscita aumenti. Il contrario accade nelle zone meno calde: questo effetto è indipendente dalle preesistenti differenze territoriali tra Nord e Sud del Paese. Nello scenario medio di incremento delle temperature fino al 2030 il tasso di crescita delle imprese di riduce cumulativamente di 0.2 p.p. e a fronte di un incremento del settore delle imprese dell’1,5%. Per analizzare gli effetti sulla struttura dellE imprese sono state analizzate 10 milioni di imprese all’anno tra il 2005 e il 2019 di fonte CERVED micro imprese e ditte individuali incluse. Le piccole imprese soffrono i cambiamenti climatici perché riducono gli investimenti nel lungo periodo mentre sulle grandi e medie imprese l’impatto è positivo.

IL SURPLUS DEL CONSUMATORE NELLE OPERE PUBBLICHE
Nel 2019 sembrava che si fosse inaugurata una nuova stagione per le valutazioni costi benefici delle opere pubbliche, una stagione orientata alla valutazione secondo criteri in cui la tassazione è inclusa nel calcolo e i benefici trasferiti agli utenti sono calcolati con la Regola della metà (Il surplus del consumatore in seguito a un incentivo finanziario è pari alla metà della variazione del prezzo). Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva fatto analizzare a un team di esperti cinque grandi progetti: terzo valico tra Genova e Milano, il collegamento ferroviario Torino-Lione, l’alta velocità tra Brescia e Verona e il passante ferroviario sotterraneo di Firenze.
L’esito di quella valutazione fu positiva per l’opera fiorentina e per quella tra Brescia e Verona mentre le restanti tre furono bocciate. Numerose osservazioni critiche furono formulate sugli esiti sul fronte pubblicistico. Di recente il Ministero dei trasporti e della mobilità sostenibile ha pubblicato l’analisi costi benefici per alcune opere stradali e ferroviarie le quali hanno ricevuto tutte una valutazione favorevole. Secondo l’autore, gli elementi di criticità emersi in queste valutazioni non hanno avuto nessun riscontro ne tra gli addetti ai lavori né sulla stampa. Ad esempio le valutazioni più recenti è stato utilizzato, per il calcolo del surplus dei consumatori, il risparmio del costo di esercizio del mezzo di trasporto utilizzato in precedenza.
Secondo l’autore questo non è un approccio corretto perché, a fianco degli incentivi monetari, dovrebbero essere considerati anche gli elementi non monetari che influiscono sulla scelta del mezzo di trasporto. Per cui il surplus è una media tra chi non cambia mezzo di trasporto a fronte di un miglioramento di quest’ultimo e chi cambia il mezzo di trasporto. Considerare il surplus massimo porterebbe a una sovrastima dei benefici come è successo nella valutazione della Torino Lione del 2011. Anche la valutazione progetto del primo lotto della linea AV Salerno Reggio Calabria la stima dei benefici dei consumatori è sopravvalutata. La quantificazione delle esternalità infine non è conforme a le lune guida UE.
La Voce – La valutazione delle infrastrutture è passata di moda?