La selezione della settimana – Nei Paesi industrializzati torna la paura dell’inflazione: gli esperti si chiedono se il è fenomeno temporaneo o duraturo, sia da freno o stimolo alla ripresa; il PNRR può essere l’occasione per rilanciare la ricerca e sviluppo pubblica in Italia: dall’analisi delle mission del PNNR emerge un quadro in cui i fondi destinati alla ricerca pubblica sono insufficienti a colmare il divario con Francia e Germania e solo di carattere straordinario; ha avuto una grande eco mediatica l’annuncio del Primo Ministro Boris Johnson di voler incrementare i contributi sociali per finanziare i maggiori costi l’assistenza sociale; il consolidamento dei conti pubblici non sembra compatibile con politiche pubbliche di investimento richieste dal green new deal: per superare questa impasse potrebbe essere necessaria una “green golden rule”; l’invecchiamento della popolazione modifica le politiche di welfare e di controllo sull’immigrazione: un paper NBER ne analizza le determinanti.
Gli ultimi dati sull’andamento dell’indice dei prezzi al consumo in Europa e negli USA evidenziano la ripresa dell’inflazione con il superamento del livello considerato ottimale dalle rispettive banche centrali (2%). Il dibattito è incentrato sia sulla temporaneità del fenomeno sia sull’influenza che può avere sulla ripresa post lockdown. Alcuni osservatori la ritengono una conseguenza della crescita economica avvenuta con una velocità senza precedenti. Altri sono preoccupati di un eventuale cambio di rotta delle politiche monetarie espansive. Una breve rassegna della letteratura e i rischi per l’Italia. (Leggi)
In Italia la spesa in R&S è troppo bassa: nel 2019 è stata l’1,47% sul PIL e sebbene sia più vicina all’obiettivo 1,53% di Europa 2020 è ancora lontana rispetto alla media dei Pesi OCSE del 2,48% e alle media EU di 2,11%. Il PNRR potrebbe essere l’occasione per riportare il livello della R&S su livelli più vicini agli standard internazionali, soprattutto per quanto riguarda la componente pubblica. Un contributo su Costituzionalismo.it intitolato “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il finanziamento della ricerca”, analizza gli interventi del Piano per verificare se questa occasione è stata davvero colta. (Leggi)
Nel Regno Unito il Primo Ministro Johnson ha annunciato l’introduzione di una tassa sanitaria e sociale per tagliare le liste di attesa dell’NHS formate durante la pandemia e per rivedere la spesa sociale. Da aprile 2022 i contributi sociali aumenteranno di 1,25 punti percentuali per lavoratori e datori di lavoro e e dello stesso ammontare per i dividendi azionari, nel 2023 il prelievo diverrà strutturale e sarà applicato anche ai pensionati ancora in attività. La misura è stata criticata perché graverebbe sui giovani lavoratori e quelli con le paghe più basse senza risolvere i problemi strutturali. (Leggi)
Nei prossimi anni nella UE vi sarà un trade-off tra il consolidamento dei conti pubblici e gli investimenti pubblici green. Secondo un paper Bruegel “A green fiscal pact: climate investment in times of budget consolidation” una soluzione praticabile per risolvere questa aporia è una “green golden rule” in base alla quale gli gli investimenti verdi netti sono esclusi dagli indicatori di bilancio utilizzati per misurare la conformità alle regole di bilancio. La regola scongiurerebbe, come è accaduto in passato nei casi di consolidamento fiscale, la contrazione degli investimenti pubblici. (Leggi)
L’invecchiamento della popolazione implica cambiamenti strutturali sia nella forza lavoro sia nel finanziamento dello stato sociale. All’incremento della percentuale di ultra-sessantacinquenni sulla popolazione segue una contrazione della forza lavoro e una maggiore dipendenza dai sistemi di welfare. Un paper NBER intitolato “Ageing and Welfare-State Policy: Macroeconomic Perspective”, cerca di comprendere, in relazione all’invecchiamento della popolazione, qual è il motore delle politiche sui benefici sociali, la tassazione del reddito da lavoro e quella del capitale, assieme alle politiche cardine del controllo dell’immigrazione. (Leggi)
IL RITORNO DELL’INFLAZIONE
Nei Paesi industrializzati il ritorno dell’inflazione evoca scenari a cui non si era da tempo abituati. In agosto l’inflazione su base annua in EU è stata del 3,2%, negli USA il 5,3%, in Italia del 2,5% e Germania 3,4%. Sono valori superiori all’obiettivo del 2% fissato dalla FED e dalla BCE. L’inflazione attuale è probabilmente conseguenza di un tasso di crescita dell’economia molto elevato e di alcune strozzature nelle catene globali di approvvigionamento ma quali ripercussioni può avere sulla ripresa nel breve e lungo periodo?
Riprendendo la letteratura di qualche decennio fa, secondo uno studio di Robert J. Barro sull’andamento dei prezzi in 100 Paesi dal 1960 al 1990, un incremento dell’inflazione media di 10 punti percentuali riduce il PIL di 0,2-0,3 p.p. in un anno e il rapporto investimenti su PIL di 0,4-0,6 p.p. Sebbene nel breve periodo l’impatto appaia modesto, nel lungo periodo gli effetti sono rilevanti: dopo 30 anni in cui l’inflazione media sia aumentata di 10 p.p. ogni anno, il livello del PIL reale è più basso del 4%-7%. Questi argomenti sono alla base del controllo dell’inflazione da parte delle Banche Centrali negli ultimi 20 anni.
L’inflazione attuale è dal lato dei costi ma un ruolo cruciale è giocato anche dalle aspettative e, al momento, si ritene l’incremento dei prezzi ancora un fenomeno non preoccupante. Nel caso l’inflazione elevata diventi permanente, le Banche centrali sarebbero costrette a una politica monetaria restrittiva potenzialmente rischiosa per la ripresa del nostro Paese perché il servizio del debito aumenterebbe e la politica monetaria fisserebbe un tasso non ottimale frenando il recupero dell’attività economica. Anche il Presidente del consiglio Draghi, intervenendo all’Assemblea di Confindustria, ha sottolineato i rischi per l’Italia della ripresa dell’inflazione, sottolineando l’importanza di incrementare la produttività per non perdere in competitività.
EUROSTAT – Annual inflation up to 3.0% in the euro area
https://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/11563283/2-17092021-AP-EN.pdf

PNRR INSUFFICIENTE A RILANCIARE LA R&S
L’esperienza della pandemia ha mostrato l’importanza della scienza e della ricerca, settore in cui l’Italia destina pochi fondi, soprattutto nella ricerca pubblica. La R&S pubblica in Italia segna il passo rispetto ai principali Paesi industrializzati: dai dati Eurostat nel 2019 la spesa pubblica in R&S in Italia è stata dello 0,18% sul PIL, inferiore sia a quella della Francia 0,27%, della Germania, 044% e della media EU27 0,25%.
Scomponendo la spesa per settore, la R&S in Italia è sempre la più bassa tra i Paesi considerati: la spesa nel settore privato è lo 0,9% sul PIL contro l’1,44 della Francia, il 2,19% della Germania e l’1,46% della EU27. Nel settore dell’istruzione superiore spendiamo solo lo 0,33% del PIL meno di Germania 0,55%, Francia 0,44% e media EU 0,48%. Nel PNRR, nella componente 2 della Missione 4, sono previsti finanziamenti per la R&S di base per un ammontare di 9 miliardi di euro in 6 anni mentre per la R&S d’impresa sono previsti, sommando anche i Fondi complementari e REACT EU, 12,9 miliardi di euro dal 2021 al 2026. Per la ricerca di base il 13,2% sono finanziamenti a fondo perduto e l’86,8% sono erogati sotto forma di finanziamento.
Secondo l’autore questi fondo sono insufficienti a colmare il gap con Francia e Germania in quanto, riprendendo uno studio dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani (OCPI), sono necessari in totale 30 miliardi di euro in sei anni per colmare il gap con la Francia e 60 miliardi per colmare il divario con la Germania. Il PNRR, inoltre, prevede solo interventi di natura straordinaria mentre per stabilizzare la ricerca è necessario incrementare le dotazioni ordinarie, in linea anche a quanto proposto di recente nel Piano Amaldi.
Costituzionalismo.it – Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il finanziamento della ricerca
LA VIA INGLESE AL FINANZIAMENTO DELL’ASSISTENZA SOCIALE
L’annuncio del Primo Ministro inglese dell’istituzione di un’imposta sanitaria e sociale, per cui il premio previdenziale nazionale è incrementato di 2,5 punti percentuali, ha avuto ampia risonanza mediatica e politica. Ha destato scalpore sia il venir meno delle promesse della campagna elettorale del 2019, sia l’entità dell’aumento: con la nuova tassa l’aliquota salirà al 13,25% per i dipendenti e al 15,05% per i datori di lavoro.
Da un punto di vista macroeconomico le nuove aliquote porteranno a un incremento del gettito pari allo 0,5% del PIL e la pressione fiscale raggiungerà il 35,5%, un livello visto solo nel 1940 (per contestualizzare, in Italia nel 2020 ha raggiunto il 42,8%). Come sottolineato anche dal recente rapporto della Commission on the Funding of Care and Support (Rapporto Dilnot), la materia del finanziamento dell’assistenza sociale in UK andava riordinata, sia per garantire sostenibilità al sistema sia per evitare alcune distorsioni quali, ad esempio, la vendita dell’abitazione per sostenere i costi dell’assistenza per coloro che non dispongono di liquidità.
Sono stati formulati autorevoli rilievi a questa misura: l’incremento sarebbe regressivo in quanto il peso maggiore è sostenuto dai lavoratori con un reddito compreso tra i 9mila e i 50mila pound mentre, superata questa soglia, il premio previdenziale diventerebbe sempre meno oneroso in termini percentuali; una tassa con vincolo di destinazione (Hypothecated tax) è sempre stata ostacolata dai governi del Regno Unito: l’incremento dovrebbe, in un secondo momento, finanziare l’assistenza sociale ma gli osservatori ritengono difficile il mantenimento del vincolo in quanto la maggior parte del gettito resterà all’NHS (finanziato in UK dalla fiscalità generale).
LSE EUROPPBLOG – Health and social care tax to be introduced across UK
UN PATTO FISCALE PER GLI INVESTIMENTI GREEN
La ripresa è tornata nell’Unione Europea in uno scenario ancora caratterizzato da incertezza sull’evoluzione della pandemia: secondo la Commissione nel 2021 il tasso di crescita previsto sarà il 4,8% e nel 2022 il 4,5%. In questo contesto è sempre più attuale l’ipotesi di una strategia di uscita dalle politiche di sostegno monetarie e fiscali all’economia.
Allo stesso tempo, gli obiettivi del pacchetto ‘Fit for 55‘ lanciati per concretizzare il Green New Deal, necessitano di notevoli investimenti aggiuntivi e misure normative e fiscali rilevanti. Gli investimenti vanno finanziati con la spesa pubblica e questo renderà più difficili i compromessi della politica fiscale in una fase di consolidamento dei conti pubblici. Per superare questo potenziale situazione di stallo è necessario un patto fiscale verde che combini una politica regolatoria efficace e prezzi di emissione più elevati. In questo modo si possono incentivare gli investimenti privati verdi e ridurre i costi pubblici.
Secondo le proposte degli autori, il Green pact dovrebbe consistere nell’introduzione di una regola d’oro verde che escluda gli investimenti pubblici netti verdi dal calcolo del disavanzo e del debito, ai sensi delle regole di bilancio dell’UE senza un ulteriore allentamento dei percorsi di aggiustamento del disavanzo. I Paesi più deboli dal punti di vista fiscale dovrebbero basarsi solo sui progetti previsti nell’ambito del NGEU mentre gli investimenti privati andrebbero incentivati attraverso una regolamentazione e tassazione appropriata.
Bruegel – A green fiscal pact: climate investment in times of budget consolidation
WELFARE STATE E IMMIGRAZIONE: UN LEGAME STRETTO
Secondo Milton Friedman “It’s just obvious you can’t have free immigration and a welfare state.” Partendo da questa affermazione, gli autori presentano un quadro macroeconomico in cui si studia l’effetto dell’invecchiamento della popolazione sulle determinanti delle politiche di welfare, integrando nel modello anche le politiche di immigrazione. L’invecchiamento della popolazione ha effetti negativi sulla forza lavoro e sul sistema economico.
Per mitigare tali effetti sono possibili sia l’incremento dell’intensità di capitale attraverso l’importazione di capitali sia favorire l’immigrazione. Se nel primo caso non vi sono restrizioni nella circolazione di capitali, nel secondo caso l’immigrazione è sempre regolata. La regolazione dell’immigrazione avviene sia per preservare i salari e l’occupazione dei residenti sia per garantire la generosità del sistema di welfare. Questo avviene per varie ragioni: nel caso di immigrazione libera, vi sarà prevalenza di immigrati non qualificati, beneficiari netti l’ungo tutto l’arco della vita del sistema di welfare; in caso di restrizioni la prevalenza sarà di immigrati qualificati, contributori netti del sistema di welfare.
L’invecchiamento della popolazione aumenta la domanda di assistenza ma l’offerta di prestazioni sociali dipenderà dall’orientamento del decisore e dalla sua capacità di imporre un aumento della tassazione quando l’incremento dei pensionamenti riduce il gettito fiscale. Una questione sicuramente da porsi in Paesi dove il sistema di welfare è finanziato con incrementi del debito pubblico futuro.
NBER – Ageing and Welfare-State Policy Making: Macroeconomic Perspective