Dopo l’approvazione del PNRR italiano i riflettori sono puntati sull’andamento dei saldi di finanza pubblica e, soprattutto, sulla ripresa degli investimenti pubblici, al palo dal 2009. L’eterogenea gestione regionale della pandemia ha aperto il dibattito su federalismo e la riforma del Titolo V della costituzione. Quando il differenziale tra crescita e tassi è ampio il debito pubblico potrebbe aumentare senza costi ma vediamo perché non è possibile. Dal Report EFPIA, abbiamo qualche numero sul settore farmaceutico in Europa nel 2020 in una prospettiva globale.
Analisi dell’andamento della finanza pubblica e delle prospettive economiche nei quadri programmatici DEF2021 e NADEF2020; focus sulla riforma dell’IRPEF e dell’IVA; analisi di alcune misure pensionistiche, primo esame della spesa sanitaria nell’anno della Covid-19, oggetto di nostro commento, e dei bilanci delle Regioni; nella sezione dedicata a investimenti e opere pubbliche, un approfondimento sulla transizione verde. Questi i principali temi trattati dalla Corte dei Conti nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021. (Leggi)
In un periodo di tassi di interessi bassi, come quello degli ultimi 10 anni, l’indebitamento pubblico può aumentare senza costi soprattutto in quei Paesi dove è ampio il differenziale tra la crescita economia e i tassi di interesse privi di rischio. Secondo l’economista O. Blanchad questa ipotesi è verosimile negli USA. Un paper NBER del 2021 intitolato “When Interest Rates Go Low, Should Public Debt Go High?”, tra i cui autori si segnala L. Kotlikoff, dimostra quanto sia implausibile la provocazione di Blanchard. (Leggi)
Lo sviluppo in tempi relativamente brevi di diversi vaccini efficaci contro il SARS-CoV-2 ha sottolineato l’importanza strategica del settore farmaceutico. L’EFPIA ha pubblicato il rapporto annuale sull’industria farmaceutica nel 2020 in cui si evidenzia un mercato europeo in controluce: investimenti per 39 miliardi di euro in ricerca e sviluppo e valore della produzione per 310 miliardi. Il settore conta 830mila occupati con un impatto indiretto di circa 2.400.000 unità, mentre resta ancora ampio il divario con l’industria farmaceutica del Nord America. (Leggi)
La crisi sanitaria del 2020 in Italia è stata gestita dalle Regioni in modo eterogeneo con esiti molto diversi. Secondo alcune voci critiche, questo sarebbe dipeso dalla riforma del Titolo V della costituzione del 2001. Nel volume dell’Associazione per Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa intitolato “Il federalismo alla luce della crisi sanitaria” si affronta la delicata questione sottolineando il carattere regionale attribuito al SSN da leggi ordinarie già prima della riforma costituzionale. (Leggi)
Gli investimenti pubblici in Italia sono tornati a crescere dal 2019 e, nonostante la pandemia, sono aumentati in valore assoluto anche nel 2020 arrivando a 44,1 miliardi di euro. L’Osservatorio sui conti pubblici italiani ha pubblicato un articolo in cui si discute sull’evoluzione della spesa pubblica per investimenti prevista dal DEF2021. Nel 2021 gli investimenti pubblici dovrebbero raggiungere i 55 miliardi di euro e, al termine dell’orizzonte temporale di previsione nel 2024, a 63 miliardi, sebbene non manchino le criticità. (Leggi)

LA SPESA SANITARIA IN AUMENTO DEL 6,71% NEL 2020
Nel Rapporto sul coordinamento 2021 sono pubblicati i dati preliminari della spesa sanitaria pubblica del 2020 di contabilità nazionale: 123,5 miliardi di euro in aumento di 7,8 miliardi rispetto all’anno precedente +6,71% con un’incidenza del 7,5% sul PIL ossia +1.0 p.p. e 2,6 miliardi in più rispetto alle previsioni del NADEF 2020.
La voce di maggiore impatto in valore assoluto è l’incremento di 6,2 miliardi di euro dei servizi non market riconducibile all’Assistenza ospedaliera e ad Altri servizi sanitari di cui, nel complesso, l’incremento maggiore è costituito dai consumi intermedi +12,8%. L’assistenza medico generica e specialistica dei servizi market ha registrato un incremento di 1,2 miliardi di euro a fronte di una contrazione dei ricavi di 1,3 miliardi di euro, di minori ticket per 500 milioni di euro e una riduzione dell’intramoenia di 300 milioni.
Dall’analisi preliminare dei conti economici consolidati regionali, ancora al vaglio dei tavoli di monitoraggio del MEF, emerge una non omogenea rendicontazione, da parte di alcune Regioni, dei fondi Covid per cui è stato deciso di omettere, per il momento, la pubblicazione dei risultati di gestione. L’evidenza principale è l’incremento di 3,3 miliardi degli accantonamenti rispetto all’anno precedente per cui solo una parte delle maggiori risorse attribuite è stato speso entro l’anno.
Corte dei Conti – Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2021
MENO DEFICIT E PIÙ CONDIVISIONE DEL RISCHIO TRA GENERAZIONI
La riflessione di Blanchard presentata in un articolo del 2019 apparso su AAE ed intitolato “Public Debt and Low Interest Rates” è rivolta non tanto a supporto di un incremento indefinito del debito pubblico ma a una riflessione sui costi dell’indebitamento e nei rapporti tra generazioni. Nel caso di aspettative nel lungo periodo sui tassi di interesse risk free inferiori alla crescita economica, come negli USA, un incremento del debito pubblico potrebbe non avere effetti fiscali nel futuro come, ad esempio un incremento delle tasse per ridurre il debito pubblico.
Gli autori del paper NBER ipotizzano la predisposizione di un sistema di sicurezza sociale a benefici definiti e a pagamento per finanziare il deficit. Sotto queste ipotesi un miglioramento Paretiano è possibile solo grazie ad in altri meccanismi: per un miglioramento della condivisione del rischio tra generazioni oppure per l’impoverimento dei Paesi vicini o per entrambi.
Nel caso di un’economia chiusa, come nel modello di Blanchard, l’incremento dell’utilità attesa ex-ante avviene in modo efficiente solo quando un disavanzo finanziario è preceduto da misure che migliorino la condivisione del rischio tra generazioni: in alcuni Stati i giovani danno ai vecchi mentre in altri avviene il contrario. Per evitare il free riding sui capitali internazionali e scongiurare i cosiddetti effetti dell’impoverimento del vicino, la misura migliore è sempre la condivisione del rischio.
NBER – When Interest Rates Go Low, Should Public Debt Go High?

LUCI E OMBRE NEL MERCATO FARMACEUTICO EU
Il rapporto EFPIA descrive un quadro del mercato farmaceutico EU nel 2020 in chiaroscuro. Nonostante tutte le grandezze fondamentali siano in aumento rispetto all’anno precedente quali valore della produzione +5,7%, esportazioni +8,7%, la spesa per R&S +3,3%, occupazione +0,7% e attivo della bilancia commerciale +10,6%, le tendenze più importanti riguardano altri mercati.
Nel 2020 dal Nord America proviene il 49% delle vendite mondiali e dall’Europa il 23,9%. Tra il 2015 e il 2020 i mercati del Brasile, India e Cina sono cresciuti in media dell’11%, del 10% e del 4,8, rispetto al 5,0% dei primi 5 mercati EU e il 4,9% del Nord America. La presenza di mercati più dinamici, i Pharmerging che al momento rappresentano solo l’1,8% della produzione mondiale 2015-2020 ma sono in rapida espansione, sta provocando lo spostamento delle attività economiche e di ricerca dall’Europa verso altri Paesi.
Anche la produzione di nuovi medicinali avviene altrove: sempre nel periodo 2015-2020 il 63.7% dei nuovi farmaci è stato lanciato negli USA mentre solo il 17,4% nei primi 5 mercati EU. Un ulteriore elemento di criticità è la frammentazione del mercato europeo all’origine di un fiorente ma poco sicuro mercato parallelo dal valore di quasi 5,8 miliardi di euro nel 2019 e per 1/4 nelle mani della Danimarca.

FEDERALISMO E PANDEMIA
L’impatto della pandemia è stato eterogeneo nelle Regioni italiane: si vedano le rilevanti differenze di esiti tra Veneto e Lombardia nella prima ondata. Secondo alcuni osservatori, le difficoltà nel contrasto alla pandemia sono riconducibili ai differenti modelli organizzativi regionali scaturiti dalla riforma del titolo V della costituzione nel 2001. Nel 1° capitolo del volume dell’ASSBB G. Turati ricostruisce il percorso di regionalizzazione della sanità dall’istituzione del SSN con la legge n. 833 del 1978 che sanciva la prima forma di decentramento quello amministrativo (funzioni amministrative di un servizio pubblico svolte da un ente locale).
Con il D.lgs. n. 502 del 1992 si è realizzato il decentramento funzionale ossia quando è possibile emanare norme valide solo per i territori di riferimento. Con il D.lgs. n. 446 del 1997 veniva approntato il primo tassello del federalismo fiscale, con l’istituzione dell’IRAP e, qualche anno dopo, con il D.lgs. n. 56 del 2000 veniva perfezionato un sistema di governance della spesa sanitaria in cui gli enti locali erano responsabili di parte del finanziamento. Tralasciando l’utile ricostruzione storica di cui si consiglia la lettura, secondo Turati l’infrastruttura portante delle riforme di decentramento è stata realizzata a Costituzione invariata. I differenti esiti dipendono dalle incertezze e alla debolezza del Governo italiano che ha gestito la pandemia in via esclusiva fin dall’inizio.
È stato dedicato anche un capitolo di confronto internazionale dove si sostiene l’irrilevanza della forma istituzionale sugli esiti della pandemia. Ma le frizioni incontrate da molti Paesi con assetto federalista impongono un’ulteriore riflessione sul modello: Germania, Svizzera, comunità autonome spagnole e, sebbene con risvolti diversi, Brasile e USA.
ASSBB – Il federalismo alla luce della crisi sanitaria
https://www.assbb.it/il-federalismo-alla-luce-della-crisi-sanitaria/

LA NECESSARIA RIPRESA DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI
Negli ultimi due anni nelle principali economie dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia e Spagna) il livello degli investimenti pubblici sul PIL è aumentato, come non accadeva dalla Grande crisi finanziaria del 2008. In situazioni di crisi economica, in cui si verificano grandi contrazioni del PIL, la lettura di questi indicatori potrebbe risultare fuorviante a causa dell’anomala riduzione del denominatore.
Nel 2020, sebbene sia stata registrata una contrazione senza precedenti dell’attività economica dalla Seconda guerra mondiale, gli investimenti pubblici in valore assoluto sono aumentati, con l’eccezione della Francia, di un valore tale che, se nel 2020 si fossero confermati i tassi di crescita del 2019, il rapporto investimenti/PIL sarebbe cresciuto lo stesso. L’Italia nel 2018 ha raggiunto il livello più basso dal 1995 di 2,1% sul PIL, molto lontano dal valore del 2009, anno in cui gli investimenti pubblici sul PIL hanno registrato il valore massimo, sempre dal 1995, del 3,7%.
Spendere in modo efficace i fondi del PNRR può riportare in nostro Paese su un sentiero di crescita duratura, sebbene pesi l’incognita, secondo l’OCPI, dei costi delle opere pubbliche molto elevati rispetto agli altri Paesi europei soprattutto nel settore delle infrastrutture ferroviarie (nell’alta velocità 28 euro a km contro i 12 della Spagna, i 13 della Germania e i 15 della Francia). Dubbi confermati dalla Commissione che ha assegnato il punteggio più basso B ai Costi proprio per l’eccessiva genericità nella stima dei costi delle infrastrutture ferroviarie.
OCPI – La ripresa degli investimenti pubblici
https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-la-ripresa-degli-investimenti-pubblici