Pubblicato su Proceedings of the national academy of sciences (PNAS) uno studio sugli effetti del lockdown sulla mobilità in Italia di Giovanni Bonaccorsi, Francesco Pierri, Matteo Cinelli, Andrea Flori, Alessandro Galeazzi Francesco Porcelli, Ana Lucia Schmidt, Carlo Michele Valensise, Antonio Scala, Walter Quattrociocchi e Fabio Pammolli. Le misure hanno ridotto in media del 70% gli spostamenti individuali con marcate differenze territoriali, con alcuni paradossi. Ad esempio, in alcune delle Regioni più colpite quali Lombardia e Veneto la diminuzione della mobilità è stata più bassa, mentre è stata più elevata in Regioni meno colpite quali Abruzzo e Calabria.

Una recente nota di Robert E. Hall, Charles I. Jones e Peter J. Klenow pubblicata dal National Bureau of Economic Research (NBER) affronta il tema spinoso del compromesso tra ammontare massimo di consumo e i decessi dovuti al coronavirus. L’entità del consumo dipende dalla mortalità dell’infezione: nell’ipotesi di un tasso mortalità tra la popolazione dello 0.81%, come inizialmente ipotizzato dell’Imperial College di Londra, l’ammontare di massimo di consumo annuo a cui si è disposti a rinunciare è 41%. Nell’ipotesi di una mortalità più bassa, 0.44%, il 28%.

Un recente lavoro italiano propone un approccio statistico alternativo del calcolo dell’indice della forza dell’epidemia di Covid-19 in Italia. Utilizzando tecniche mutuate dalla meccanica, viene misurata la relazione tra la probabilità di sviluppare una patologia critica e i rischi di decesso analogamente alla correlazione tra distribuzione spaziale statistica della dimensione delle crepe in un materiale e sviluppo delle fratture dato un livello predefinito di stress.

La Consulta Scientifica del Cortile dei Gentili ha pubblicato un documento di riflessione e di proposte su come cogliere opportunità di rigenerazione da una crisi sanitaria che sta trasformando in profondità il mondo. Il volume affronta diversi temi in una prospettiva non solo nazionale: dalla scarsità delle risorse (specie in sanità), al welfare, allo sviluppo sostenibile, alla tecnologia, ai sistemi di governo. Un punto importante è il capitolo dedicato alle proposte di rilancio della ricerca di base, settore dove l’Italia è in forte ritardo e investe tradizionalmente meno rispetto a Paesi di analoghe dimensioni.

Cattive notizie sul fronte del processo di digitalizzazione italiano. Nell’ultima edizione del Digital Economy and Society Index 2020 (DESI), pubblicato dalla Commissione europea, l’Italia occupa la 25 posizione con 43.6 punti contro una media UE28 di 52.6. Pesano sul risultato, in peggioramento di due posizioni rispetto all’edizione del 2018, la copertura della banda larga, in aumento ma ancora lontana dalla media UE, e soprattutto le lacune della popolazione nelle competenze digitali dove il nostro Paese è all’ultimo posto in classifica con un punteggio di 32.5 contro una media UE28 di 49.3.

GLI EFFETTI PARADOSSALI (E DANNOSI) DEL LOCKDOWN

L’efficacia del lockdown nel contrasto non farmacologico all’infezione Covid-19 è oggetto di dibattito non solo da parte degli epidemiologi ma anche degli economisti i quali ritengono eccessivi i costi economici di tali misure e non alla portata di tutti gli attori in gioco.

I governi del G20, in risposta alla crisi, hanno messo in campo 8 trilioni di dollari e ingenti misure monetarie. Secondo un editoriale del New York Times, il lockdown sarebbe una misura di lusso e danneggerebbe i poveri.

Il paper analizza che cosa è accaduto in Italia a partire dall’8 marzo e individua, attraverso l’analisi delle variazioni della mobilità, le condizioni economiche dei territori interessati in misura maggiore o minore.

I risultati del paper confermano quanto ipotizzato: in primo luogo il blocco sembra aver influenzato in modo disomogeneo la frazione più povera della popolazione. In secondo luogo, la riduzione della mobilità e della connettività indotta dal blocco è più pronunciata per i comuni con una maggiore capacità di bilancio.

La distribuzione del reddito è rilevante, in quanto i comuni in cui la disuguaglianza è maggiore hanno contrazioni più marcate della mobilità. I risultati suggeriscono una sfida fiscale senza precedenti: da un lato, le entrate fiscali centrali e locali saranno inferiori.

Contemporaneamente, sono necessarie risorse aggiuntive per sostenere la ripresa della parte più debole della popolazione. In assenza di linee di intervento mirate, molto probabilmente il blocco può aver causato un ulteriore aumento della povertà e della disuguaglianza.

PNAS – Economic and social consequences of human mobility restrictions under COVID-19

https://www.pnas.org/content/early/2020/06/17/2007658117

Open access – distribuito sotto licenza CC BY NC ND

CONSUMI O DECESSI?

Gli economisti così come i governi si trovano ad affrontare un terribile dilemma: qual è il massimo dei consumi e del PIL a cui si è disposti a rinunciare per evitare il numero dei decessi dovuti alla pandemia?

Se da un lato l’obiettivo delle misure di contenimento è quello di salvare il maggior numero di vite umane possibile, dall’altro un freno troppo prolungato al sistema economico può avere effetti devastanti sul tessuto socioeconomico. L’evidenza suggerisce che negli USA il distanziamento sociale colpisce maggiormente i lavoratori a basso reddito.

La relazione consumo-decessi può essere espressa tramite una funzione di welfare utilitaristico tenendo conto di vari parametri: tasso di mortalità, aspettativa di vita degli individui e valore di un anno di vita espresso in termini di consumo pro-capite (v). Per cui la frazione di consumo che la società è disposta a rinunciare in un anno è semplicemente questo prezzo (v) moltiplicato per la quantità attesa pro-capite di anni di vita persi a causa della pandemia. Quindi la frazione di consumo che la società è disposta a rinunciare è la somma del numero atteso di morti per pandemia a ogni età, ponderato per il valore della vita a quelle età come percentuale del consumo.

Nell’ipotesi di un tasso di mortalità dello 0.81% per tutte le classi di età la percentuale del consumo massimo a cui si è disposti a rinunciare è il 44% del consumo annuo. Considerando che il Covid-19 colpisce maggiormente le classi di età 65+, sulla base di tassi di mortalità specifici per età, il consumo a cui si rinuncia è crescente a crescere dell’età degli individui.

NBER – Trading Off Consumption and COVID-19 Deaths

https://www.nber.org/papers/w27340

LA FORZA DELL’EPIDEMIA

Per misurare gli effetti della pandemia possono essere mutuati, in via sperimentale, metodologie di altre discipline. Nel paper di Pisano e Royer Carfagni vi è il tentativo di definire quantitativamente, su base statistica, gli effetti di epidemie, tramite metodi consolidati nella meccanica stocastica di materiali fragili.

Il modello meccanico utilizzato consente una corrispondenza intuitiva tra stato di stress di un corpo, concetto noto agli ingegneri, e mortalità dell’epidemia. L’approccio è complementare a quello dei modelli compartimentali SIR/SEIR (Susceptible, Exposed, Infected and Recovered) attualmente utilizzati in diverse varianti.

Viene proposto un nuovo metodo per quantificare la forza di un’epidemia a partire da un particolare trattamento statistico dei dati misurabili della mortalità in un determinato territorio, in un determinato periodo di osservazione, che deve necessariamente considerare l’età delle vittime. Si giunge alla definizione di un indice Ie di epidemia per misurare la sua forza, a partire della probabilità teorica di morte in funzione della gravità dell’epidemia e dell’età degli individui.

Il confronto dei risultati con i dati di mortalità dell’ISTAT indicano che il modello predice con accuratezza i decessi delle classi delle età più anziane e di quelle di mezzo ma non quelle più giovani, a causa del limitato numero dei casi.

CVGMT – A statistical theory of the strength of epidemics. The Italian Covid-19 case

http://cvgmt.sns.it/paper/4673/

FINANZIARE LA RICERCA SCIENTIFICA DI BASE

La ricerca scientifica di base (ossia senza applicazioni dirette o uso) nel lungo periodo è all’origine dell’innovazione scientifica e tecnologica. La ricerca di base è importante perché nel lungo periodo può avere rendimenti maggiori della ricerca scientifica di base.

In questo campo l’Italia ha investito nel 2017 solo lo 0.30% del PIL, in diminuzione rispetto al 2015 dove la spesa era dello 0.33%. Nello stesso anno la Francia ha investito lo 0.50% e gli USA lo 0.42%. Secondo l’estensore della proposta, il fisico Ugo Amaldi, i benefici per la società avvengono attraverso quattro canali: nuova conoscenza, nuovo capitale umano, nuove tecnologie e metodi innovativi.

Nel capitale umano l’Italia è decisamente carente: nel 2018 hanno conseguito il dottorato di ricerca meno di 9.000 dottorandi contro 15.000 in Francia e 28.000 in Germania. Nonostante queste carenze la qualità della ricerca italiana è in miglioramento perché la percentuale delle pubblicazioni al top 10% è aumentata da 2.6% al 3.1% dal 2000 al 2014.

Nel nostro Paese la ricerca di base è finanziata principalmente dallo Stato e dall’Unione Europea. Secondo la proposta, la mano pubblica può da subito aumentare i finanziamenti alla ricerca in modo da raggiungere 1.1% del PIL nel 2026 e incrementare la ricerca di base di 0.2 p.p.

Le risorse necessarie sono una piccola percentuale rispetto a quelle messe in campo per sostenere il sistema economico nel breve periodo: 1.5 miliardi di euro nel primo anno, sia nella ricerca di base sia in quella applicata, in un rapporto di 2 a 1, con un incremento del 14% nei cinque anni successivi.

Corte dei Gentili – Pandemia e resilienza: persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19

ITALIA FANALINO DI CODA IN COMPETENZE DIGITALI

L’Italia fatica a colmare il gap con gli altri Paesi dell’UE sul fronte del progresso digitale. Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI), nel 2019 il nostro Paese è 25° su 28.

Durante il lockdown, le infrastrutture digitali hanno espresso tutto il loro potenziale sia per consentire di svolgere la modalità di lavoro agile nel pubblico e nel privato sia per il monitoraggio del virus sia per la ricerca e lo sviluppo di nuove terapie e di vaccini.

Inoltre, la ripresa post Covid-19 passerà principalmente per l’innovazione digitale dove sarà fondamentale la massima copertura 5G e delle reti ad altissima capacità, l’incremento in competenze digitali così come la digitalizzazione della pubblica amministrazione e delle imprese.

Alla vigilia della pandemia l’Italia aveva una situazione di sostanziale ritardo soprattutto nella dotazione di capitale umano. Le “bande pioniere” del 5G sono state tutte assegnate e sono partiti alcuni servizi commerciali mentre la pubblica amministrazione si colloca in posizione piuttosto elevata nell’offerta di servizi digitali (sebbene siano utilizzati poco).

Nonostante ciò solo il 74% degli italiani utilizza Internet abitualmente contro una media UE dell’85%. Il 17% non ha mai usato Internet contro una media UE del 9%. Scarso anche l’utilizzo di servizi digitali: il 48% fa uso di servizi bancari contro il 66% dell’UE, il 49% fa shopping on line contro il 66% UE.

La distanza è grande nelle competenze digitali: 42% ha competenze digitali di base contro il 58% dell’UE; 22% ha competenze superiori a quelle di base contro il 33% dell’UE. Infine, la quota degli specialisti in ITC è troppo bassa 2.8% contro il 3.9% della UE.

EC – The Digital Economy and Society Index (DESI)

https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/desi