Il Rapporto annuale dell’ISTAT 2020 fa il punto sul primo semestre dell’anno in corso caratterizzato dalle difficoltà dovute alla crisi sanitaria. Il quadro macroeconomico è incerto, il commercio internazionale è in ritirata, soffrono la produzione e l’occupazione, i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private sono in forte contrazione mentre i conti pubblici sono sotto pressione. La crisi sanitaria è stata un duro banco di prova soprattutto per il Sistema Sanitario Nazionale reduce da 10 anni di politiche di controllo della spesa.
Pubblicate le previsioni economiche dell’estate della Commissione europea, in cui vengono aggiornate le stime delle previsioni di primavera. Le previsioni sul PIL sono riviste ulteriormente al ribasso in quanto “la revoca delle misure di blocco procede a un ritmo più graduale di quanto ipotizzato in primavera”. La crisi sarà ancora più profonda: una contrazione dell’8.1% nel 2020 nell’Area Euro (-1 p.p. rispetto a maggio), in Italia -11.2% (-9.5% a maggio). Rallenta anche la ripresa: nel 2021 nell’Area Euro vi sarà una crescita del 6.1% (-0.4 p.p. rispetto alle precedenti).
Secondo l’ultimo rapporto dell’UNCTAD, la crisi sanitaria potrà provocare una drastica contrazione degli investimenti diretti esteri (FDI) a livello mondiale fino al 40% nel 2020 e di un ulteriore 5/10% nel 2021. A causa del lockdown gli attuali progetti di investimento hanno subito dei rallentamenti mentre le multinazionali archivieranno alcuni dei nuovi progetti. Alcune zone come L’Unione Europea e hanno introdotto limitazioni agli investimenti da parte di Paesi non membri a protezione delle attività nazionali mentre alcuni Paesi, come l’Australia, ha introdotto un esame sugli investimenti per proteggere l’interesse nazionale. Le tensioni sul commercio internazionale rendono ancora più incerto il passo della ripresa prevista a partire dal 2022.
La crisi sanitaria ha colpito duramente il sistema economico mondiale. Secondo l’Employment Outlook 2020 dell’OCSE siamo di fronte alla peggiore crisi occupazionale dalla Grande depressione. L’impatto sui posti di lavoro è stato 10 volte maggiore di quello della crisi finanziaria globale del 2008. Il totale delle ore lavorate è diminuito del 12,2% nei primi tre mesi della crisi rispetto all’1,2% dei primi tre mesi della crisi finanziaria globale. Viene presentata una panoramica del mercato del lavoro di emergenza e delle misure di politica sociale attuate dai paesi dell’OCSE e si discutono le indicazioni per un ulteriore adattamento delle politiche man mano che i paesi escono dal lockdown.
Un libro bianco dell’Economist Intelligence Unit (EIU) ha valutato la risposta alla crisi sanitaria di 21 Paesi dell’area OCSE tramite un indice calcolato sulla qualità della risposta e su fattori di rischio della popolazione. Il risultato è di un quadro leggermente diverso da quanto percepito dai canali ufficiali italiani. La risposta alla pandemia in Italia non è giudicata sufficiente al pari del Belgio, Regno Unito e Spagna mentre Svezia e Stati Uniti ottengono un buon punteggio. La migliore risposta è stata dei Paesi dell’Oceania, Australia e Nuova Zelanda.
Il SSN alla prova del COVID
Il secondo Capitolo del Rapporto annuale 2020 dell’ISTAT è dedicato all’impatto della crisi sanitaria sul SSN ed è focalizzato su tre importanti aspetti. Quali conseguenze l’epidemia ha avuto sulla mortalità e sull’assistenza ospedaliera; lo stato del SSN alla vigilia del Covid-19 e le condizioni di vita e di salute della popolazione più colpita dal virus, ossia i più anziani.
Riguardo il primo punto, limitatamente all’assistenza ospedaliera, tutti i sistemi sanitari regionali hanno ridotto l’offerta ordinaria, hanno posticipato gli interventi programmati differibili ed hanno scoraggiato l’accesso per esigenze non urgenti. Nel primo trimestre del 2020, ad esempio, l’accesso al pronto soccorso è diminuito del 70% rispetto alla media del 2018-219.
Riguardo il secondo punto, il SSN è arrivato alla vigila della pandemia con alcune criticità. L’assistenza sanitaria in molte regioni non è riuscita ad arginare la diffusione dei contagi, scaricando tutto il peso sugli ospedali.
Questo è accaduto perché a fronte di un ridimensionamento dei finanziamenti, sono diminuiti gli investimenti nelle aziende sanitarie locali da 2.4 miliardi di euro nel 2013 a 1.4 miliardi di euro nel 2018 ed i principali risparmi si sono ottenuti grazie alla contrazione di personale.
Riguardo infine al terzo punto, la salute degli anziani, categoria più colpita dal virus nel nostro paese è migliorata negli ultimi 10 anni. La speranza di vita in buona salute a 65 anni è passata da 7.5 a 9.5 anni (Eurostat), sebbene in Europa gran parte dei Paesi abbia valori superiori.
CRISI LUNGA E DURATURA
Il blocco delle attività dovuto all’emergenza sanitaria rischia di provocare una recessione più profonda e duratura di quanto precedentemente stimato. Nelle previsioni d’estate la Commissione europea ipotizza per l’Italia una contrazione del PIL reale dell’11.2% e una ripresa, del tutto insufficiente per tornare ai livelli pre-crisi, del 6% nel 2021.
Il nostro Paese ha la peggiore performance dell’Unione europea, seguita da Spagna -10.9%, Francia -10.6% sebbene i due Paesi crescano più del nostro nel 2021 rispettivamente + 7.1% e 7.6%. La Germania -6.3% (+5.3% nel 2021). La Svezia, dove la strategia di contenimento è stata decisamente meno restrittiva rispetto ad altri Paesi, registrerà un calo, tra i più bassi, del 5.3%.
Le continue revisioni delle stime a cui si assiste negli ultimi due mesi indica che i modelli previsionali e non riescono a cogliere l’entità della crisi per l’enorme incertezza del quadro macroeconomico, rivelandosi inaffidabili.
L’ultima rilevazione congiunturale ISTAT per l’Italia mostra segnali una lieve ripresa dell’attività produttiva: +37.6% in termini congiunturali del commercio internazionale e nell’industria l’indice di fiducia del manifatturiero sale da 71,5 a 79,8.
Sempre secondo l’ISTAT una rilevante quota di aziende, il 38.8% del totale, denuncia il rischio concreto di sopravvivenza entro la fine dell’anno a causa di fattori organizzativi ed economici. Le aziende vulnerabili rappresentano il 22.5% del valore aggiunto corrispondenti a circa 165 miliardi di euro e il 28.8% dell’occupazione corrispondenti a circa 3.6 milioni di addetti.
European Commission – Summer 2020 Economic Forecast
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_1269

INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI IN FRENATA
La crisi sanitaria avrà pesanti effetti sugli FDI per i quali è prevista una contrazione tra il 30 e il 40% nel 2020 a livello mondiale. In assenza della crisi il trend sarebbe stato comunque stagnante -3% nel 2020 e +1% nel 2021.
Il modello di previsione si basa sulla proiezione delle sottostanti variabili fondamentali e non tiene conto dell’incertezza legata all’evoluzione della crisi sanitaria. Disaggregando le previsioni per Regioni e raggruppamenti economici, l’Europa, dove è prevista una contrazione tra il 30 e il 45%, è una delle più colpite tra le economie avanzate poiché l’intensità dell’epidemia ha aumentato la fragilità economica in diversi grandi Paesi.
Anche per le economie del Paesi in via di sviluppo è prevista una contrazione tra il 30 e il 45%. Queste economie sono più esposte a rischi sistemici, perché le produzioni e gli investimenti sono meno diversificati. La dipendenza dalle materie prime dell’America Latina e dalle industrie ad alta intensità di Global Value Chain in Asia spinge queste regioni in prima linea nella crisi dal punto di vista degli FDI.
Queste economie a causa del loro spazio fiscale più stretto adotteranno misure più deboli per limitare la crisi e nel lungo periodo e potranno essere ulteriormente penalizzate dalla tendenza al reshoring (rientro al paese di origine) o alla regionalizzazione della produzione internazionale, che potrebbe accelerare in risposta alla crisi sanitaria.
UNCTAD – World Investment Report 2020
https://unctad.org/en/pages/PublicationWebflyer.aspx?publicationid=2769
L’OCCUPAZIONE A RISCHIO
Le misure di lockdown hanno interessato circa il 40% della forza lavoro dei Paesi OCSE. I settori maggiormente colpiti sono il Commercio all’ingrosso e a dettaglio, Alberghi ristoranti e viaggi aerei e Servizi professionali e immobiliare.
In alcuni di essi, soprattutto nelle attività di intrattenimento, alberghi e ristoranti, una percentuale rilevante dell’occupazione è rappresentata dai lavoratori non standard (part-time, contratti a termine, lavoratori autonomi) per questi settori la quota raggiunge quasi il 50% come in Italia, Grecia, Spagna e Paesi Bassi. Una quota della forza lavoro, sebbene difficile da stimare, è rappresentata dal lavoro informale.
Diversi Paesi OCSE hanno introdotto misure straordinarie per il sostegno anche ai lavoratori non standard. In Italia, ad esempio, è stato introdotto l’accesso alle assenze per malattia e l’accesso ai sussidi di disoccupazione anche i lavoratori a tempo. Per la ripresa dell’economia sarà cruciale la durata della pandemia.
L’evoluzione della crisi sanitaria ha tuttavia ancora molti margini di incertezza. Si conosce troppo poco del virus, il tasso di letalità è variabile da Paese a Paese, l’immunità di gregge è difficile da raggiungere e i sistemi sanitari sono sotto pressione.
L’OCSE ipotizza due scenari: double hit, in cui una seconda ondata dell’epidemia è prevista tra ottobre e novembre; single hit in cui il contenimento di questi mesi ha avuto efficacia e il numero dei contagi resta sotto controllo. Nel primo scenario nell’area OCSE l’occupazione si contrae del 5% mentre nel secondo scenario del 4.1%.

MALE ITALIA, BENINO SVEZIA, BENE USA
Le conclusioni del libro bianco dell’EIU, si basano su un indice costruito da un punteggio dipendente in parte da fattori preesistenti, denominati di rischio, in parte dalla qualità della risposta.
L’indice mostra quindi quali paesi hanno gestito meglio la pandemia, dati i loro profili di rischio. I fattori di rischio preesistenti sono il tasso di obesità nella popolazione standardizzato per età, la percentuale della popolazione di età superiore ai 65 anni e il numero di arrivi internazionali in percentuale della popolazione.
Per misurare la qualità della risposta sono utilizzati: la mortalità in eccesso per milione di abitanti, la percentuale di interventi legati al cancro cancellati e il numero di test somministrati per milione. Per l’Italia la situazione persistente era a rischio per l’elevata mobilità internazionale e l’alta incidenza degli ultrasessantacinquenni.
Nonostante il buon numero di tamponi e sebbene gli interventi di cancro non cancellati siano dell’ordine di 60/70%, l’eccesso di mortalità è stato troppo elevato (superiore ai 600 per milione). Probabilmente nel nostro Paese, così come in Spagna, tra i primi Paesi ad essere colpiti, non c’è stato tempo per organizzarsi.
Lo stesso non si può dire per il Regno Unito dove vi è stato un incremento più lento dei casi e più tempo per organizzarsi. In Svezia, nonostante non sia stato imposto il lockdown, l’eccesso di mortalità è stato inferiore di Spagna e Italia. In USA l’elevata mortalità riflette gli elevati fattori di rischio della popolazione come l’obesità e l’invecchiamento e, dato questo punto di partenza, il Paese ha fatto meglio di altri.
EIU – How well have OECD countries responded to the coronavirus crisis?
https://www.eiu.com/n/campaigns/oecd-countries-responded-to-the-coronavirus-crisis/