Il governo ha licenziato il cosiddetto “Decreto Rilancio”, un pacchetto di misure per 55 miliardi di euro, pari al doppio dell’ultima manovra di bilancio. Gli interventi di maggiore portata sono 16 miliardi di sostegno alle imprese: finanziamenti a fondo perduto per piccole e medie imprese e capitalizzazione per le grandi; 25 miliardi per gli ammortizzatori sociali (proroga della cassa integrazione fino a 9 settimane e allargamento della platea dei beneficiari), 3 miliardi per sanità e 1.4 miliardi destinati all’istruzione.

In seguito alle restrizioni per il contrasto alla pandemia, l’indice della produzione industriale in Italia a marzo 2020 è crollato del 28.4% per tutti i comparti: beni strumentali (-39.9%), beni intermedi (-27.3%), beni di consumo (-27.2%) e l’energia (-10.1%). Il rapporto sui settori produttivi dell’ISTAT, pubblicato nel pieno della crisi sanitaria, è utile per valutare lo stato dell’industria italiana al 2019 e, grazie all’analisi territoriale delle interconnessioni, per prevedere gli effetti sui settori.

Il Documento di economia e finanza prevede numerose misure per il settore socio-sanitario. Presentiamo una rassegna delle principali policy adottate, dall’incremento del Fondo sanitario nazionale per il 2020 e 2021, ai principali provvedimenti per il contrasto della pandemia, alle novità del nuovo patto per la salute 2019-2021, approvato nel dicembre 2019. Nessuna novità per il settore farmaceutico, dove i tetti di spesa restano invariati e resta in vigore il payback nel caso di sforamenti dei tetti di spesa.

Alla vigilia della cosiddetta Fase 2 la situazione sanitaria tra le Regioni resta eterogenea. L’istant report dell’Altems, fa il punto della situazione sulla pandemia nelle Regioni e analizza il grado di preparazione (readiness) di ciascuna di esse con un focus particolare per quelle dove il contagio è stato maggiore (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Marche e Lazio). In questa fase sarà decisivo il monitoraggio territoriale e quello delle Residenze sanitarie assistenziali dove si stima sia avvenuto circa il 40% dei decessi complessivi.

L’automazione di alcune occupazioni, soprattutto ad alta intensità di attività routinarie, ha cambiato in profondità il mercato del lavoro negli ultimi 30 anni. Un report del Brookings Institute analizza questi cambiamenti con tecniche di Machine Learning (ML) e individua le categorie di lavoratori più colpite. Sono i lavoratori dal salario medio, i quali attualmente o lavorano con salari nella parte inferiore della distribuzione o sono fuori dal mercato del lavoro, che hanno maggiormente risentito dell’innovazione.

SARÀ VERO RILANCIO?

Il decreto-legge approvato dal Consiglio dei Ministri il giorno 13 maggio, contiene una serie di misure per sostenere, e nelle parole del Governo, rilanciare tutti i settori produttivi colpiti dall’emergenza, tutelare i lavoratori, rifinanziare sanità e scuola.

I primi commentatori esprimono perplessità sia sugli strumenti utilizzati, nella fatispecie il decreto-legge, sia sui tempi. Forti perplessità anche sull’autorizzazione data a Cassa depositi e prestiti (CDP) alla costituzione di un patrimonio destinato, denominato “Patrimonio Rilancio”, in quanto di fatto, sebbene il Governo non sia d’accordo con questa definizione, potrebbe dare l’avvio a una nuova IRI che costringerà le imprese più efficienti e virtuose a restare sottocapitalizzate per non sottostare ai vincoli della politica. Oppure ancora si ritiene che le misure siano più di sostegno che di vero rilancio.

Per quanto riguarda la sanità sono stati stanziati ulteriori 3,220 miliardi di euro, suddivisi in 1,256 miliardi per l’assistenza territoriale, 1,467 miliardi per gli ospedali, 430,9 milioni per interventi sul personale sanitario e 95 milioni per finanziare ulteriori 4.200 contratti di specializzazione medica.

Si intende in questo modo rendere stabili 3.500 dei nuovi posti letto di terapia intensiva attivati durante l’emergenza e incrementare il numero di personale infermieristico in un rapporto 8 su 50,000 abitanti per un massimo di 9,600 unità.

Governo italiano – Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (decreto-legge)

http://www.governo.it/it/articolo/consiglio-dei-ministri-n-45/14597

SETTORI E TERRITORI DI FRONTE ALLA CRISI

Uno dei principali elementi di criticità fronteggiati dalle imprese nel periodo di contenimento dell’epidemia è l’interruzione delle catene globali di approvvigionamento soprattutto quando scarseggiano forniture da imprese posizionate nei nodi essenziali per mancanza di canali alternativi.

L’ultimo rapporto dell’ISTAT sui settori produttivi italiani dedica un capitolo (il quarto) ai territori e alla loro sensibilità di reazione agli impulsi provenienti dall’estero. I restanti capitoli sono dedicati alle tradizionali analisi a livello macroeconomico in cui si individuano i Paesi con criticità negli scambi internazionali pre Covid (Regno Unito, Cina, Germania e USA); a livello mesoeconomico (intermedio tra macro e micro) in cui sono studiate le relazioni intersettoriali e a livello microeconomico.

Per quanto riguarda i territori si evidenzia che nel biennio 2018-2019 vi è stata una frenata delle esportazioni. Nel 2019 la crescita dell’export ha visto un rallentamento nel Nord-Est, dove il tasso di crescita si è dimezzato, e una contrazione per Nord-Ovest e Mezzogiorno.

I settori maggiormente reattivi agli shock esterni sono quelli aperti agli scambi internazionali come macchinari, chimica, tessile e abbigliamento, prodotti in metallo, alimentari e bevande. Le Regioni più reattive verso Regno Unito, Germania e USA sono Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia e Toscana. La reattività verso la Cina è più bassa e uniforme a livello nazionale: Campania e Basilicata le Regioni più sensibili.

ISTAT – Rapporto sulla competitività dei settori produttivi 2020

https://www.istat.it/it/archivio/240112

IL RIFINANZIAMENTO DELLA SANITÀ

Un primo segnale era contenuto nella legge di bilancio 2019 in cui il Fabbisogno sanitario nazionale era stato fissato a 114,448 milioni di euro, con la previsione di un incremento di 3.5 miliardi nel biennio 2020-2021, così suddivisi: 2 miliardi nel 2020 e 1.5 miliardi nel 2021.

Cifre ratificate nel Patto per la salute 2019-2021 e confermate nella legge di bilancio per il 2020. A consuntivo 2019 la spesa sanitaria pubblica corrente è stata di 115,448 milioni di euro (6.5% su PIL), circa un miliardo un più del fabbisogno, in aumento dell’1.4% rispetto al 2018, così suddivisa: 36,852 milioni in redditi da lavoro dipendente, 34,886 milioni per consumi intermedi e 40.584 per prestazioni sociali in natura da produttori market (farmaceutica, medicina generale, ecc.) di cui 26,329 per altre prestazioni (specialistica, riabilitativa, ecc.).

Nell’anno in corso a causa dell’emergenza sanitaria le previsioni della spesa sanitaria sono riviste al rialzo. Nel 2020 la spesa sanitaria pubblica corrente è stimata in 119,556 milioni di euro 7.2% sul PIL (nel caso il dato del PIL sia confermato a -8%), +3.6% rispetto al 2019.

In particolare, in redditi di lavoro dipendente 37.276 per incremento personale e straordinari, consumi intermedi 36.647 (+5%) dovuta principalmente alla spesa farmaceutica diretta, per il venir meno dell’effetto dell’incasso nel 2019 del payback 2013-2017, per prestazioni sociali in natura da fornitori market 42,503 milioni di cui 27,427 per altre prestazioni.

MEF – DEF 2020 Le misure per la sanità

http://www.mef.gov.it/inevidenza/Approvato-il-DEF-2020-ripartire-dopo-lemergenza/

MODELLI ORGANIZZATIVI SANITARI NELLA FASE 2

Siamo alla vigilia della fase due delle misure di contrasto non farmacologiche del Coronavirus: sarà una fase delicata che vedrà in prima linea le Regioni italiane, in particolare il loro servizio sanitario. La probabilità di subire una seconda ondata di contagi è piuttosto elevata, il cui impatto, degli esiti non completamente prevedibili, ricadrà su servizi sanitari, meglio attrezzati ma molto provati.

L’instant paper Altems, focalizza l’analisi sul grado di preparazione “readiness” delle Regioni in vista della Fase 2, alla luce sia dell’eterogeneità dell’incidenza dei casi sia delle misure già poste in essere. La principale strategia da attuare è il tracciamento e i tamponi, sebbene le Regioni abbiano fino a questo momento seguito strade diverse: si va dai 2,64 tamponi per 1000 abitanti effettuati nella 1 settimana di maggio della Puglia ai 14,14 di Trento, ai 12.78 del Veneto.

Un’altra fondamentale misura è il monitoraggio e il controllo delle Residenze sanitarie assistenziali. La strategia, decisa dal Governo, è stata di prevedere a livello regionale con il Decreto-legge n. 14 del 9 Marzo 2020, le Unità speciali di continuità̀ assistenziale (USCA), una per 50.000 abitanti.

L’attuazione del decreto non è stata, tuttavia al momento uniforme con l’Emilia-Romagna che copre il 91% della popolazione mentre la Lombardia, la Regione che ne avrebbe più bisogno, solo il 20%. Anche per quanto riguarda i test sierologici, le Regioni si organizzano in ordine sparso.

Difficile immaginare come sarebbe andata se il coordinamento dell’emergenza fosse stata in capo al Ministero della salute ma la gestione, a tratti caotica, della pandemia evidenzato i limiti del federalismo italiano in materia di sanità.

Altems – Analisi dei modelli organizzativi di risposta al Covid-19 Instant report n. 6

https://altems.unicatt.it/altems-covid-19

CHI PERDE DALL’AUTOMAZIONE DEL LAVORO

A partire dagli anni ’90 si è assistito a una progressiva polarizzazione del mercato del lavoro. In questo campo si parla di polarizzazione quando i lavori medi (tipici della classe media), che richiedono un livello di competenze moderato, si riducono rispetto a quelli in basso, in cui sono necessarie poche competenze e a quelli in alto, in cui sono necessari livelli di competenza elevati.

La riduzione dei lavori medi, propria ad esempio delle occupazioni caratterizzate da operazioni routinarie, è dovuta essenzialmente alla diffusa introduzione di automazione. Il rapporto utilizza tecniche di ML, che consente di identificare i lavoratori con caratteristiche da lavori routinari senza ricorrere a schemi predefiniti.

Lo studio ha lo scopo di confrontare la partecipazione dei lavoratori routinari nell’attuale mercato del lavoro rispetto a quello di 30 anni fa, per valutare il conseguente impatto sull’ineguaglianza.

Sono considerate due coorti di lavoratori statunitensi di due periodi 1989-1990, e 2012-2013, periodi considerati rispettivamente pre e post polarizzazione. Il periodo 1990-2012 è stato caratterizzato da un rapido calo dei costi della robotica industriale, del calcolo e dell’informatica e da una diffusa introduzione di tecnologia nei processi lavorativi.

Tra i risultati più interessanti è che tra i lavoratori uomini di circa 30 anni di età a bassa capacità cognitiva è diminuita la percentuale nei lavori routinari dal 60% al 50%, è diminuita anche la percentuale di occupati in lavori non routinari cognitivi, è aumentata la percentuale fuori dal mercato del lavoro 12% contro il 9.6%, e anche la percentuale dei disoccupati è aumentata.

Brookings – The macroeconomics of automation: Data, theory, and policy analysis