Il 60% delle malattie infettive emergenti è rappresentato dalle zoonosi (malattie trasmissibili dagli animali all’uomo e viceversa come l’attuale epidemia da coronavirus Covid-19) di cui si assiste da tempo a un incremento della frequenza. Contestualmente ai rischi per la salute e la vita dell’uomo vanno misurati anche quelli per il sistema economico. Un esercizio complesso per il duplice shock dal lato della domanda e dell’offerta e per una sempre maggiore integrazione dei settori produttivi nelle catene globali del valore.

Il sistema fiscale italiano va riformato complessivamente. Da un lato è necessaria una semplificazione del sistema, dall’altra una riduzione delle aliquote fiscali marginali, possibilmente con effetti neutrali sulle entrate. Ciò può essere ottenuto allargando la base, semplificando le spese fiscali, diminuendo l’aliquota marginale e, soprattutto, il cuneo fiscale.

Circa il 30% dell’occupazione nei Paesi OCSE è sostenuta dalla domanda finale estera. Per la maggior parte di essi la domanda finale dipende da quelli confinanti. Anche quei Paesi in cui la dipendenza è relativamente bassa, come gli USA in cui solo il 9% degli occupati dipende dalla domanda finale estera, i valori assoluti sono rilevanti. Le attuali statistiche sull’occupazione non sono in grado esplicitare l’origine delle interdipendenze globali.

La valutazione e il monitoraggio delle misure di politica economica a livello nazionale, passa per l’implementazione di una serie di indicatori. In particolare, a partire dal 2018 è stata prevista la pubblicazione di alcuni indicatori di benessere equo e sostenibile, in un’ottica “beyond-GDP”, nel Documento di economia e finanza (DEF) in un’apposita sezione.

L’ultimo rapporto del Global Infrastructure Hub stima che nel in 56 Paesi, fino al 2040, saranno necessari circa 94 trilioni di dollari mentre il trend corrente ne coprirebbe solo 75. Per l’Italia, dove da più di un decennio gli investimenti pubblici sono in diminuzione, in il gap è stimato in 373 miliardi di dollari. I privati possono avere un ruolo nel colmare il gap.

I SISTEMI ECONOMICI E IL RISCHIO EPIDEMIE

Recenti stime sul rischio economico delle epidemie quantificano la perdita dovuta a una pandemia di influenza in 500 miliardi di dollari all’anno circa lo 0.6% del PIL globale.

Come indicato dagli autori ( Fan, Jamison and Summers 2018 ) il dato è sottostimato perché non tiene conto delle reazioni sproporzionate della popolazione, dovute alla copertura mediatica, anche in presenza di epidemie deboli. Per cui anche epidemie senza vittime possono modificare i comportamenti degli individui causando gravi perdite economiche.

La stima del rischio economico di un’epidemia dipende oltre che dalla malattia, da altri fattori quali l’esposizione, la vulnerabilità e la resilienza, quest’ultima intesa come tempo impiegato dal sistema economico a ritornare ai livelli pre-crisi.

L’esposizione è legata a indicatori riguardanti essenzialmente la densità abitativa, della popolazione e infrastrutturale, in quanto gli episodi sono più frequenti in aree densamente popolate e caratterizzate da un incremento della popolazione. La vulnerabilità è legata alle grandezze economiche, allo stato di salute alla copertura vaccinale e alla spesa sanitaria.

Le aree più ad alto rischio sono quelle dove è più elevata la probabilità di insorgenza delle malattie infettive emergenti: Africa, Sud Est asiatico e Cina. Alcuni Paesi sono più resilienti rispetto a quelli confinanti come l’Argentina e il Cile, meno frazionati e più omogenei da un punto di vista socioculturale, altri come Russia e Arabia saudita, perché meno esposti i flussi turistici con economie basate su vaste esportazioni di petrolio.

CESIFO – Measuring the Economic Risk of Epidemics

https://www.cesifo.org/en/publikationen/2019/working-paper/measuring-economic-risk-epidemics

COME RIFORMARE L’INTRICATO SISTEMA FISCALE ITALIANO

Il sistema fiscale italiano è ipertrofico, la pressione fiscale nel terzo trimestre 2019, sebbene in lieve flessione rispetto al corrispondente trimestre del 2018, è al 40.3% sul PIL.

Il cuneo fiscale, come recentemente ribadito dall’OCSE, è tra i più elevati nei paesi OCSE. Il ricorso a bonus fiscali, con la rimodulazione delle aliquote marginali, sta aumentando la complessità del sistema.

La normativa italiana sull’IVA prevede diverse aliquote 4%, 10%, 22%, esclusione su alcuni beni e servizi alle quali si è aggiunta quella del 5% introdotta dal 1° gennaio 2020. Dal lato delle spese fiscali, la Commissione per la redazione del rapporto annuale sulle spese fiscali nel 2017 ha evidenziato l’elevato numero di misure adottate nel 2017, 632, quantificando il mancato gettito in -72 miliardi di euro.

Simulazioni basate su EUROMOD, il modello di microsimulazione per gli stati membri dell’Unione Europea, mostrano alcuni scenari possibili di riforma del sistema fiscale italiano. Una semplificazione dell’IRPEF (costo stimato in 36 miliardi di euro ossia circa il 2% del PIL) può attuarsi riducendo le fasce di reddito da cinque a quattro e diminuendo l’aliquota sulla prima fascia al 9%.

Il mancato gettito può essere compensato in parte da una semplificazione dell’IVA (gettito previsto 1%/2% del PIL) con una riduzione dell’aliquota al 17,5% eliminando l’aliquota ridotta del 4%, in parte da una riforma dell’imposta sulla casa. Per quest’ultima, includendo anche l’abitazione principale, con valutazione basata sui prezzi di mercato consentirebbe di applicare un’aliquota dello 0.3% contro l’attuale 1.06% con un gettito stimato in 1% del PIL.

Un contributo utile al dibattito di riforma sempre più focalizzato su soluzioni di breve periodo, dall’esito incerto e difficilmente modificabili dai governi a venire.

IMF – Toward a Comprehensive Tax Reform for Italy

https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2020/02/21/Toward-a-Comprehensive-Tax-Reform-for-Italy-49023?cid=em-COM-789-41182

L’OCCUPAZIONE NELLE ECONOMIE GLOBALIZZATE

Negli ultimi 20 anno la Global Value Chain (GVC) è diventato il più importante sistema di produzione nel mondo.

Per le caratteristiche di questo paradigma è cambiato il modo di valutare le esportazioni di un Paese, non più considerate come indicatore di competitività del sistema e nemmeno sinonimo di elevato valore aggiunto. Nel nostro Paese il peso delle esportazioni inserite nelle GVC è cresciuto nel tempo ed è in media del 53.6%, soprattutto per le Regioni del Centro-Nord.

L’occupazione è sempre meno legata alla domanda interna, elemento da tenere in conto quando si invocano misure di sostegno ai consumi basati sulla spesa pubblica, tuttavia con i dati attualmente a disposizione non è agevole misurarne l’andamento derivante dalla domanda finale di un Paese estero.

Un nuovo database armonizzato predisposto dall’OCSE, sulla base dell’edizione del 2018 delle Inter-Country Input-Output (ICIO), combinata con le stime dell’occupazione provenienti da varie fonti, consente di colmare questa lacuna per gli anni dal 2005 al 2015.

Per l’Italia la percentuale dell’occupazione domestica sostenuta dalla domanda finale estera nel 2015 è del 22% (era il 20% dieci anni prima).

Tra i Paesi maggiormente dipendenti dalla domanda finale estera c’è l’Irlanda, tra quelli meno dipendenti la Cina, passata dal 16.8% del 2005 al 12.2% del 2015, orientata negli ultimi anni maggiormente al mercato interno.

OECD – Measuring employment in global value chains

https://www.oecd-ilibrary.org/science-and-technology/measuring-employment-in-global-value-chains_00f7d7db-en

LA VALUTAZIONE COME ESERCIZIO DI STILE

La valutazione delle politiche pubbliche è un’esigenza sempre più necessaria nel dibattito politico. Nonostante questa consapevolezza la cultura della valutazione stenta a decollare negli ambienti governativi del nostro Paese.

Una corretta valutazione, inoltre, necessita di una base dati adeguata e di una rigorosa metodologia statistica. Il dibattito, ormai di lungo corso, si avvale di numerosi contributi tra i quali si evidenziano i lavori di alcuni economisti della Banca d’Italia sulle valutazioni dell’impatto dei fondi strutturali europei nel Mezzogiorno. Con la legge 163 del 2016, che ha riformato la legge di bilancio dello Stato, la cultura della valutazione è stata recepita tramite l’adozione di 12 indicatori di benessere equo e sostenibile (BES), a cura dell’ISTAT, al fine di misurare l’impatto delle politiche economiche sulla qualità della vita dei cittadini.

Nella relazione per l’anno 2020, il Ministro dell’economia e delle finanze si attende un miglioramento di alcuni indicatori quali l’aumento del reddito disponibile, la diminuzione della disuguaglianza dei redditi e in campo ambientale la diminuzione delle emissioni dannose pro-capite.

Nonostante sia un timido passo in avanti, l’esercizio della valutazione resta relegato a livello macroeconomico nella stima di indicatori di carattere generale, senza entrare nel merito delle principali azioni di policy al fine di valutarne correttamente i costi e l’impatto sul sistema economico.

MEF – Relazione sul Benessere equo e sostenibile per il 2020

http://www.mef.gov.it/inevidenza/Cresce-il-reddito-disponibile-calano-le-disuguaglianze-e-le-emissioni/

IL GAP INFRASTRUTTURALE E IL RUOLO DEI PRIVATI

Globalmente il gap infrastrutturale fino al 2040 è stimato in 19 trilioni di dollari. Il settore delle infrastrutture è tradizionalmente di interesse del settore pubblico.

Il trend della domanda non accenna a calare e questo gap potrebbe essere colmato dagli investitori privati, interessati a diversificare il portafoglio in seguito alla diminuzione dei tassi di interesse a livello mondiale a partire dal 2008.

Per gli investitori istituzionali, tuttavia, ci sono delle limitazioni di carattere regolamentare. Ad esempio, al 60% dei fondi sovrani e dei fondi pensione, oggetto del presente report, non è consentito investire in infrastrutture, il 59% dei quali non entrerebbe nel Real asset, nemmeno se le condizioni cambiassero.

Gli investitori attivi nel Real asset investono il 24% delle loro risorse, l’85% delle quali in infrastrutture. In alcuni Paesi, come la Norvegia, stanno cambiando le regole, consentendo ai fondi pensione di investire in infrastrutture per l’energia rinnovabile. Il principale ostacolo per l’ingresso dei privati in questo mercato è la mancanza di benchmark affidabili.

Le opere infrastrutturali sono complesse e su misura. Il rendimento dipende dalla dimensione, dal settore dall’industria, dalla localizzazione e da molte altre variabili. Ciò rende ancora più complesso la costruzione di indicatori robusti ad uso di un benchmark.

OMFIF – Infrastructure and real estate