Nel 1992 è stato firmato il trattato di Maastricht contenente le regole del limite del 3% del deficit pubblico e del 60% del debito sul PIL successivamente, nel 1997 fu istituito il Patto di stabilità e crescita. A più di 20 anni e in uno scenario economico profondamente cambiato caratterizzato da bassi tassi di interesse, bassa crescita, bassa inflazione e un indebolimento dell’azione di riforma, la Commissione europea lancia un dibattito in vista di una necessaria riforma della “governance framework”.

Nel 2019 in Italia in Italia si è avuto un saldo naturale di – 212mila unità. Con questa tendenza il ricambio naturale della popolazione è sempre più a rischio, in quanto a ogni 100 decessi corrispondono solo 67 neonati, contro i 96 del 2009. Positivo il contributo della fecondità delle immigrate ma non sufficiente. Non basta neppure il saldo migratorio con l’estero, sempre in attivo di 143mila unità ma non sufficiente.

Continua il dibattito sull’intervento di O. Blanchard nel 2019 che ha messo in discussione la visione tradizionale negativa su deficit e debito pubblico elevati sostenendo che un loro incremento non è associato a nessun costo fiscale. L’autore del paper NBER dimostra al contrario che i costi fiscali ci sono: tasse più elevate e redditi futuri più bassi, all’estremo, inflazione o altri seri problemi finanziari e disuguaglianza intergenerazionale.

L’output-Gap, ossia la distanza (positiva o negativa) del prodotto di un Paese rispetto a un livello definito come potenziale, è un concetto importante per la valutazione dell’azione di politica economica dei Paesi membri dell’Unione europea. Esso è alla base della moderna politica monetaria. L’output gap a sua volta dipende dal prodotto potenziale, una variabile latente non osservabile direttamente, oggetto di stima. Stime inaccurate possono dar luogo ad errori nelle politiche macroeconomiche.

Margrethe Vestager, Vicepresidente esecutivo della Commissione europea per l’età digitale ha conservato la carica di Commissario europeo alla concorrenza, nomina risalente al 2014. Questo duplice mandato è sicuramente complementare ma, allo stesso tempo, contiene implicitamente un potenziale conflitto di interessi. L’agenda digitale europea e l’interazione tra industria e intelligenza artificiale, sarà il banco di prova.

COME CAMBIA LA GOVERNANCE EUROPEA

Rispetto a dieci anni fa, quando i bilanci pubblici erano stati messi alla prova dai postumi dalla grande crisi finanziaria e dalle crisi del debito sovrano, il contesto macroeconomico in Europa è molto migliorato.

Nel 2011 erano soggetti alla procedura per eccesso di deficit 24 Paesi membri, mentre attualmente nessuno. Nel 2019 il deficit pubblico è in media dello 0.9% sul PIL quando nel 2010 era del 6.4%.

Anche il mercato del lavoro ha mostrato segnali stabili di ripresa: il tasso di disoccupazione è diminuito al 6.4% dal 9.7% del 2010. Sebbene il debito pubblico sia di nuovo al di sotto del 60% nella metà dei Paesi membri (media 85% nell’area dell’euro), vi sono tuttavia ancora delle criticità. In alcuni Paesi membri (Grecia, Italia e Portogallo), il livello del debito è sempre ben al di sopra del 60% con un deficit ancora non stabilmente lontano dal 3%.

Il processo di riforma prenderà l’avvio da un dibattito a più livelli lungo l’arco del 2020. L’obiettivo della Commissione è di rivedere nel complesso l’intero quadro normativo. Il cosiddetto Six pack del 2011 composto da cinque regolamenti e una direttiva la 2011/85 e il Two pack del 2013 composto dal due regolamenti avevano rafforzato la sorveglianza fiscale e ampliato l’ambito della sorveglianza per includere gli squilibri macroeconomici.

La revisione dovrà tenere conto anche del programma di investimenti green recentemente avanzato dalla Commissione.

European Commission – Economic governance review

https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/economic-and-fiscal-policy-coordination/eu-economic-governance-monitoring-prevention-correction/stability-and-growth-pact/economic-governance-review_en

IL RICAMBIO NATURALE DELLA POPOLAZIONE È COMPROMESSO

La popolazione italiana diminuisce rispetto al 2018 del 1.9 per mille residenti soprattutto nel Mezzogiorno dove si è avuta la maggiore diminuzione per ripartizione, -6.3.

Prosegue l’incremento della popolazione al Nord dell’1.4 per mille, mentre al Centro la diminuzione è stata del 2.2 per mille. Nel Mezzogiorno, in particolare, si evidenzia la situazione della Basilicata (-11.3 per mille) e del Molise (-10.4 per mille) dove si è registrata una diminuzione della popolazione pari all’1% del totale nell’arco di un solo anno.

Tra le Regioni del Nord la crescita maggiore si riscontra nelle Provincie autonome di Trento e Bolzano, rispettivamente del 3.6 e 5 per mille. Se scomponiamo il risultato del Mezzogiorno, il saldo naturale incide per il -2.9 per mille, mentre il saldo migratorio interno di -3.8 per mille.

Il tasso di fecondità totale, dato dal numero di nati vivi diviso la numerosità media delle donne in età fertile (15-49), è di 1.29 lo stesso livello del 2018. Vi è una significativa differenziazione tra le Regioni, ad esempio nella Provincia di Bolzano il tasso è 1.69, in Lombardia 1.36 mentre nel Mezzogiorno 1.26.

Disaggregando il dato della fecondità tra donne italiane e quelle straniere si ha che il tasso di fecondità delle prime è di 1.22 (stesso livello del 2018), per le seconde, caratterizzate da una struttura per età generalmente più giovane, è di 1.84 sebbene sia in diminuzione rispetto al 2018 (1.98).

Si tratta di un fenomeno di erosione demografica, non colmabile dalla sola immigrazione, che in futuro avrà ricedute sul mercato del lavoro e sul sistema pensionistico. Per ristabilire il dividendo demografico, secondo recente un focus di BNP Paribas, è necessario ricucire un dialogo cooperativo tra le generazioni.

ISTAT – Indicatori demografici | Anno 2019

https://www.istat.it/it/archivio/238447

GLI ALTI LIVELLI DI DEBITO PUBBLICO HANNO UN COSTO FISCALE

Secondo un recente intervento di O. Blacnhard, ex capo economista al Fondo monetario internazionale, in presenza di bassi tassi di interesse (depurati dal rischio di rendimento del capitale investito), il rinnovo del debito pubblico avviene in sostanziale assenza di costi fiscali.

Quando il tasso di crescita nominale dell’economia (tecnicamente denominato “g”) è maggiore del costo del debito (tecnicamente denominato “r”), quindi g > r, il rinnovo del debito pubblico o un suo incremento non implicheranno maggiori tasse in futuro. Il governo può prendere in prestito per pagare gli interessi ma il suo rapporto sul PIL nel tempo diminuisce gradualmente.

La novità di quest’idea risiede nell’ipotesi di g > r come regola, tranne negli anni 80 del secolo scorso quando i governi aumentarono i tassi di interesse per controllare il tasso d’inflazione, quando invece secondo la visione tradizionale della teoria economica, è considerata un’eccezione.

  1. Boskin partecipa al vasto dibattito sviluppatosi nell’ultimo anno, sostenendo la visione tradizionale, a fronte delle evidenze delle stime più recenti, relative all’economia statunitense, sulla relazione tra costo del debito e crescita, di segno inverso rispetto a quanto ipotizzato da Blanchard.

Ad esempio, il Congressional Budget Office stima r = 4.6% e g = 3.9%. Importanti, secondo l’autore, sono le ricadute intergenerazionali di un debito pubblico elevato il cui peso ricade per lo più sulle nuove generazioni.

NBER – Are Large Deficits and Debt Dangerous?

https://www.nber.org/papers/w26727

UN METODO PER LA STIMA DELL’OUTPUT GAP

L’output gap e il prodotto potenziale sono due importanti grandezze economiche del patto di stabilità e crescita quale misura dello stato di salute dell’economia di un Paese membro.

L’utilizzo di queste misure nel recente passato è stato accompagnato da numerose critiche soprattutto in occasione della valutazione della Commissione europea sullo stato dell’economia italiana nel secondo trimestre 2019 quando per il nostro Paese era stato stimato un output gap simile a quello della Germania (-0.25%).

Secondo la valutazione, nei due Paesi le indicazioni di policy avrebbero dovuto essere le stesse, nonostante la situazione economica differente (Italia bassa crescita, disoccupazione, al 10% e tasso di inflazione troppo basso).

In seguito agli evidenti controsensi ne è seguito un articolato dibattito in cui la metodologia è stata sottoposta a critiche sia concettuali sia empiriche. Un recente documento di discussione a cura dello staff della Commissione ha giudicato queste critiche deboli da un punto di vista concettuale e non rigorose da un punto di vista empirico (link2).

Il paper IMF interviene sul secondo aspetto, criticando metodologicamente l’uso dei filtri (Hodrick Prescott e Kalman) nel calcolo del PIL potenziale. I filtri separano dalla serie storica del PIL la componente ciclica da quella tendenziale ma sono troppo sensibili a shock transitori distorcendone la stima in modo pro-ciclico (si amplificano gli effetti di shock regressivi e quelli espansivi).

Dalle stime del PIL potenziale del Regno unito dal 2000 al 2016 si testano con una metodologia (SVAR) stime di output potenziali con migliori proprietà di risposta a un impulso.

IMF – Measuring Output Gap: Is It Worth Your Time?

https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2020/02/07/Measuring-Output-Gap-Is-It-Worth-Your-Time-48978

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E I RISCHI PER LA CONCORRENZA

Il settore dell’intelligenza artificiale sta conoscendo notevoli progressi nell’ambito del Machine Learning (ML) e sempre più imprese adottano tecnologie basate su questa tecnologia.

Secondo un’indagine McKinsey del 2019, l’adozione dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali standard cresce a ritmi del 25% l’anno. Da un altro rapporto McKinsey del 2018, su 650 aziende europee che usano la tecnologia su larga scala, il 18% ha adottato soluzioni legate al ML come tecnologia di uso generale.

Circa il 60% si affida a un software standardizzato, dove il difficile lavoro di addestramento è svolto dalle software house, mentre il 40% si affida a soluzioni sviluppate in house. I software standardizzati sono utilizzati per funzioni non essenziali e in genere standardizzate (ad esempio assistenti virtuali), i software in house sono utilizzati per svolgere funzioni core (ad es rating per il credit score nel settore finanziario).

La struttura del settore ML riguarda i seguenti segmenti: applicazioni, infrastruttura, hardware, infrastrutture software e servizi. In che modo possono sorgere ostacoli alla concorrenza?

I principali attori nel ML sono presenti in segmenti di mercato multipli e sono correlati sia verticalmente sia orizzontalmente tra di loro. Nel caso uno di questi attori ottenga potere in uno dei mercati rilevanti, potrà porre in essere pratiche lesive della concorrenza.

L’attuale legislazione europea, tuttavia, ha gli strumenti per proteggere la crescita e l’innovazione alimentate dall’IA da comportamenti anticoncorrenziali.

Bruegel – Do AI markets create competition policy concerns?

https://bruegel.org/2020/01/do-ai-markets-create-competition-policy-concerns/