Fattori principalmente strutturali sono all’origine della frenata degli investimenti nel lungo periodo in Europa e nel Mondo. Quali sono le indicazioni di policy per una ripresa degli investimenti orientati soprattutto ai versanti tecnologico e “green”.

Secondo il Rapporto CREA Sanità la spesa sanitaria è sottodimensionata rispetto a quella dei Paesi occidentali e si avvicina invece ai livelli dell’Europa orientale. Quali sono i settori della salute trainanti per l’economia italiana.

La spesa farmaceutica convenzionata a luglio 2019 è in calo rispetto dello 0.3% rispetto allo stesso periodo del 2018 ed è sostanzialmente nei limiti di spesa. La farmaceutica per acquisti diretti non rispetta il tetto di legge. Si assiste, anche in questo settore, a sensibili differenze regionali.

La disponibilità di dati di lungo periodo consente all’analisi economica di indagare a fondo su relazioni altrimenti inesplorate. Il paper dell’NBER esamina la relazione tra volatilità dei redditi, volatilità della ricchezza e consumi in USA e in Italia, unici Paesi dove c’è una disponibilità sufficiente di dati.

Il dibattito sul federalismo fiscale e, attualmente, sul regionalismo differenziato pone l’accento sui possibili effetti dei nuovi assetti sull’equità, dove le Regioni del Mezzogiorno d’Italia, sarebbero le più penalizzate. Uno studio sul decentramento della sanità italiana dei primi anni Novanta mostra risultati parzialmente diversi.

IL CLIMA NON FAVOREVOLE AGLI INVESTIMENTI IN EUROPA

Il passo degli investimenti sta cambiando in negativo nel Mondo a causa di alcuni fattori strutturali.

Costituiscono un disincentivo all’investimento, il ribilanciamento dell’economa cinese verso i consumi e i servizi, il cambiamento della struttura del commercio internazionale, la mancanza di una visione univoca nella soluzione dei problemi legati ai cambiamenti climatici (si pensi alle industrie legate al carbone) e il preponderante ruolo della digitalizzazione in tutti i settori produttivi. Quest’ultimo aspetto rende difficile la competizione per gran parte delle aziende a causa degli elevati costi di R&S e delle elevate competenze necessaria a competere.

Anche in Europa gli investimenti stanno segnando il passo nel breve periodo con il rischio che la tendenza si propaghi nel lungo. Nell’ultima indagine della Banca europea degli investimenti su 12,500 imprese dell’EU, il numero delle aziende manifatturiere che prevede di ridurre gli investimenti è aumentato del 27%.

Questo dipende sia dalle aspettative di peggioramento del quadro economico sia di quello politico. Alcune azioni di policy possono invertire il trend soprattutto se mirate a correggere i fattori strutturali. Investimenti in R&S soprattutto nei settori legati al cambiamento climatico dove gli USA spendono di più dell’Europa rispetto al PIL (1,3% contro 1,2%).

Accelerare l’adozione delle tecnologie digitali dove anche qui si sconta un gap rispetto agli USA (in USA nei Servizi il 61% delle imprese sono digitali, in EU il 41%). Bilanciare infine il quadro macroeconomico.

Voxeu – Policy change needed to accelerate investment in structural transformation

https://voxeu.org/article/policy-change-needed-accelerate-investment-structural-transformation

LE “SCIENZE DELLA VITA” CRESCONO PIÙ DEL PIL

La spesa sanitaria in Italia è il 32% in meno rispetto a quella dei Paesi occidentali. Questo gap è destinato ad aumentare nonostante i due miliardi aggiuntivi previsti dalla legge di bilancio 2019 e altre risorse siano in arrivo nella legge di bilancio 2020.

Nel XV rapporto sono trattati vari aspetti del mondo della Sanità. Tra queste si segnala l’analisi dell’andamento dell’industria ad alto valore aggiunto delle cosiddette “Scienze della vita” (comprendente farmaceutico, biotencologico, nutraceutico, ICT per la salute e dispositivi medici).

La produzione del settore nel quinquennio 2012-2017 è cresciuta con una media annua del 4.4%, mentre il PIL nello stesso periodo è cresciuto solo dell’1%. Lo stesso si riscontra anche in altre economie avanzate quali la Danimarca, Norvegia, Svizzera e Finlandia.

In particolare, il comparto dei Dispositivi medici, è cresciuto del 3.2% annuo. Sebbene la bilancia dei pagamenti sia negativa, il contributo all’economia italiana di questi settori è rilevante. La riflessione verte sul ruolo delle politiche industriali in cui non si hanno orientamenti definiti a riguardo, rischiando di penalizzare un settore altrimenti in salute e con elevati potenziali di crescita ulteriore.

CREA – XV Rapporto Sanità

https://www.creasanita.it/index.php/it/ultima-edizione

LA RELAZIONE TRA VOLATILITÀ DELLA RICCHEZZA E DEI REDDITI

Secondo la teoria del ciclo vitale (Modigliani e Brumberg 1954) gli individui in età giovane e adulta tendono a risparmiare una parte del reddito che sarà destinata al consumo una volta raggiunta l’età della pensione. In base alla teoria la ricchezza può essere considerata un’autoassicurazione dagli shock di reddito.

Una diminuzione del reddito è compensata da un’erosione della ricchezza che mantiene inalterato il livello di consumi. La teoria implica una maggiore volatilità dei redditi rispetto a quella della ricchezza.

La relazione tra consumi, reddito e ricchezza negli ultimi anni è ancora sostanzialmente inesplorata. Gli autori dello studio analizzano la volatilità individuale del reddito e della ricchezza dei cittadini statunitensi e italiani dal 2002 al 2014. I risultati sono contrari a quanto atteso dalla teoria del ciclo vitale: in entrambi i Paesi, la volatilità della ricchezza è stata superiore a quella dei redditi.

Ciò è dovuto essenzialmente alle variazioni del valore di mercato delle azioni e ai prezzi del mercato immobiliare. Sia la variabilità del reddito sia quella della ricchezza è stata superiore negli USA con un trend in aumento in entrambi i paesi. Durante gli anni della grande crisi la volatilità è stata più elevata che in altri anni, negli USA più che in Italia.

NBER – Income and Wealth Volatility: Evidence from Italy and the U.S. in the Past Two Decades

https://www.nber.org/papers/w26527

IL PUNTO SULLA SPESA FARMACEUTICA REGIONALE

Nel periodo gennaio luglio 2019, la spesa farmaceutica “convenzionata” netta è stata di 4.9 miliardi pari al 7.41% del Fondo Sanitario Nazionale (calcolato di competenza per luglio 2019 in 66.4 miliardi di euro). Viene rispettato il tetto di 7.69%. La spesa “per acquisti diretti” è stata di 6.7 miliardi di euro pari al 10,7% del FSN.

Sia la spesa farmaceutica convenzionata sia quella per acquisti diretti presentano marcate differenze regionali: il range di variazione è di 3.15 p.p. tra la spesa più elevata e quella più bassa per la convenzionata e di 4.13 p.p. in quella per acquisti diretti.

Per la prima, si va dall’8.30% sul Fondo Sanitario Regionale (FSR) della Campania, ai 5.15% sul FSR della Provincia Autonoma di Bolzano. Tra le Regioni che sforano il tetto vi sono Puglia (8.24%), Lombardia (8.19%), Calabria (8.19%), Abruzzo (8.17%) e Lazio (8.09%), tra quelle con una spesa inferiore vi sono l’Emilia-Romagna (5.81%) e il veneto (6.13%).

Per la seconda, calcolata al netto degli acquisti di gas medicinali, tutte le Regioni non rispettano il tetto di spesa anche qui con marcate differenze: si va dall’11.93% della Sardegna all’8.02% della Lombardia e al 7.80% della Val d’Aosta. Le altre Regioni che presentano valori superiori all’11% sul FSR sono Basilicata, Puglia, Friuli Venezia-Giulia, Abruzzo e Marche.

Aifa – Monitoraggio della Spesa Farmaceutica Nazionale e Regionale

https://www.aifa.gov.it/monitoraggio-spesa-farmaceutica

FEDERALISMO FISCALE, I VANTAGGI (E SVANTAGGI) POSSIBILI IN SANITÀ

A partire dalla riforma del Sistema Sanitario Nazionale del 1992, il governo ha cercato di sostituire parte dei trasferimenti dal centro con l’istituzione, nel 1998, di una nuova tassa regionale sul valore aggiunto IRAP e di un’addizionale regionale sull’IRPEF.

Contestualmente sono stati ridotti dello stesso ammontare i trasferimenti centrali in modo da lasciare inalterato il volume complessivo dei finanziamenti. L’impatto della riforma è stato rilevante in quanto tra il 1998 e il 2007 il contributo regionale alla spesa sanitaria è stato in media del 40%.

La Lombardia, regione più ricca contribuisce del 60% mentre quella più povera, la Calabria contribuisce solo del 10%. In media le Regioni del Nord hanno rinunciato a una quota maggiore di trasferimenti rispetto a quelle del Mezzogiorno.

La teoria del decentramento fiscale, sostiene che la spesa pubblica è più efficiente quando è gestita localmente e finanziata da tributi locali grazie a un’aumentata Accountability dei governi regionali. Alcuni critici sostengono che gli esiti della riforma potrebbero essere non ottimali dal punto di vista dell’equità in quanto le differenze regionali potrebbero aumentare e la qualità del welfare delle Regioni, diminuire.

Il risultato dello studio, basato sull’esperienza italiana, è che il decentramento non incrementa l’ineguaglianza tre Regioni ma può contribuire a ridurre quelle all’interno della regione. Le regioni più ricche tuttavia riescono meglio a contenere l’ineguaglianza.

Does fiscal decentralization affect regional disparities in health? Quasi-experimental evidence from Italy

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0166046218304186