Le previsioni dell’ISTAT per l’economia italiana nel biennio 2019-2020 confermano il rischio di un rallentamento legato sia alle incertezze dello scenario internazionale (Brexit, guerre commerciali), sia a peculiarità interne dove pesa sostanzialmente la bassa crescita della produttività degli ultimi venti anni.

L’annuale rapporto OASI di CERGAS Unibocconi sottolinea quanto sia necessario ridefinire le priorità e la mission del Sistema Sanitario Nazionale in un comparto, come quello della salute, sempre più ampio e diversificato. In questo contesto il SSN non è più in grado di soddisfare la crescente domanda di salute della popolazione e di provvedere alla totalità dei bisogni.

Il report congiunto della Commissione europea e dell’OCSE evidenzia il buon stato di salute degli italiani, nonostante le differenze regionali. Si evidenziano altresì i punti di forza e di debolezza del Servizio Sanitario Nazionale. Si sottolinea anche come, a partire dalla crisi finanziaria, la spesa sanitaria a carico dei pazienti (out-of-pocket) sia notevolmente aumentata superando la media europea.

Il focus sulla Sanità dell’Ufficio parlamentare di bilancio, fa il punto della situazione sul SSN e sul rapporto Stato/Regioni alla vigilia della stipula del nuovo patto per la salute 2019-2021 in cui sono previsti 2 miliardi di finanziamenti aggiuntivi nel 2020 e 3,5 miliardi nel 2021.

Un paper della Banca d’Italia del 2018 fornisce una spiegazione della “stagnazione” della crescita economica italiana basata sulla demografia. L’invecchiamento della popolazione riduce la quota degli individui in età lavorativa e modifica le preferenze di spesa verso i servizi, settore i cui investimenti sono caratterizzati da una produttività più bassa rispetto a quella in beni di consumo durevoli. Il contributo dell’immigrazione alla crescita.

RALLENTANO GLI INVESTIMENTI

Per il 2019 la crescita del PIL per l’Italia è stimata +0.2%, in lieve aumento nel 2020 dove è previsto un +0.6%. Nell’Area euro le previsioni sono rispettivamente di +1.1% nel 2019 e 1+.2% nel 2020, in diminuzione rispetto al +1.9% del 2018.

A fronte di una dinamica positiva del mercato del lavoro, 10% del tasso di disoccupazione nel 2019 e 9.9% nel 2020, preoccupa la frenata degli investimenti. Nel 2019 il tasso di crescita degli investimenti fissi lordi (stock di capitale al lordo degli ammortamenti) è stimato a +2.2% in diminuzione rispetto al 2018 di 1 punto percentuale (p.p.). Nel 2020 è stimata un’ulteriore diminuzione a 1.7%, quasi la metà del 2017.

Gli investimenti sul PIL, in lieve aumento rispetto al 2018, nel 2019 (18.4% contro 18.1%) saranno inferiori a quelli dell’Area euro 21.2%. La componente che rallenta di più è quella in investimenti in macchinari (la parte più produttiva), stabile o in modesto aumento la componente legata alle costruzioni (la parte meno produttiva degli investimenti fissi).

Secondo l’ISTAT questo scenario sarebbe dovuto al mutato quadro internazionale sul commercio e allo stop dei benefici fiscali, sebbene in ripresa nel 2020. Non sono presi in considerazione altri fattori strutturali decisivi, quali dimensioni medie delle imprese, troppo piccole per investire in modo produttivo, bassa spesa in ricerca e sviluppo, contesti istituzionali sfavorevoli.

ISTAT – Le prospettive per l’economia italiana nel 2019-202

https://www.istat.it/it/archivio/236396

PROMUOVERE L’INNOVAZIONE NEL SSN TRA STANDARDIZZAZIONE E PERSONALIZZAZIONE

L’accresciuto ruolo delle capogruppo regionali in sanità a partire dal 2008 ha comportato una focalizzazione sugli aspetti amministrativi e contabili a scapito di quelli gestionali e manageriali tipico delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere.

Il cambiamento di paradigma e l’obiettivo del contenimento dei costi ha comportato, nel recente passato, scelte che nel breve periodo hanno drenato risorse principalmente destinate all’innovazione tecnologica e di processo in un settore che presenta tassi di ammortamento annui molto alti (78%).

Le tendenze in atto sono divergenti: da un lato la standardizzazione di numerosi servizi, necessita di un’integrazione verticale a livello regionale, dall’altro la personalizzazione e la differenziazione delle cure richiede una grande redistribuzione di risorse e di modifiche agli assetti istituzionali.

Necessaria anche una migliore strutturazione dei servizi territoriali per la presa in carico delle cronicità e della Long Term Care (LTC), alla luce che il minor ricorso ai ricoveri ha incrementato sensibilmente la complessità della casistica ambulatoriale.

Tutto ciò non può prescindere da un rilancio della cultura gestionale nelle aziende sanitarie e del management che faccia dell’innovazione tecnologica la propria “cifra identitaria”.

CERGAS Bocconi – Rapporto OASI 2019

http://www.cergas.unibocconi.eu/wps/wcm/connect/cdr/cergas/home/observatories/oasi

GARANTIRE UN EQUO ACCESSO AL SSN

Come sottolineato da tutti i rapporti pubblicati di recente in sanità, i dati sulla salute degli italiani sono generalmente buoni e la spesa è sotto controllo. Le principali apprensioni vengono dall’invecchiamento della popolazione e dalle cronicità.

Alcuni aspetti meritano un approfondimento: a partire dalla crisi finanziaria, la spesa sanitaria out-of-pocket è passata dal 21% del 2009 al 23.5% del 2017, Ciò è principalmente dovuto agli obblighi di compartecipazione alla spesa e all’acquisto dei farmaci in alcune regioni. Difatti la spesa privata si concentra in assistenza ambulatoriale e farmaci (15.7%). Nell’Unione europea la spesa media è più bassa di 6.5 p.p.

Per quanto riguarda le liste di attesa, per la chirurgia elettiva (quella programmabile, non di urgenza), in Italia si hanno tempi di attesa inferiori a molti Paesi europei.

Si sottolinea infine che la spesa farmaceutica può essere contenuta facendo ricorso ai farmaci biosimilari, tuttavia la loro diffusione non è omogenea nei vari ambiti terapeutici. Riducendo la variabilità di diffusione si otterrebbero risparmi consistenti.

OECD & EC – The State of Health in the EU’s 2019 Companion Report

https://ec.europa.eu/health/state/country_profiles_it

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE: CRITICITÀ E QUESTIONI IRRISOLTE

L’adozione della normativa sui piani di rientro nel 2006 ha portato cambiamenti sostanziali nel Sistema sanitario Nazionale. Dal 2009 al 2017 si è assistito alla diminuzione del personale sanitario, passato dalle 694 mila unità del 2009 alle 647 mila del 2017 (-6.8%).

Contestualmente si è avuto un ridimensionamento dell’offerta ospedaliera soprattutto nelle Regioni con maggior disavanzo. Come risultato il numero di posti letto ordinari, che nel 2004 era di 4 per 1000 abitanti, è arrivato a 3.2 nel 2016. Per avere un metro di paragone con esperienze diverse, in Germania e Francia si hanno nel 2016 rispettivamente 8.1 e 6.0 posti letto per 1000 abitanti.

La progressiva centralizzazione della sanità ha avuto successo nel controllo della spesa sanitaria (6.5% sul PIL nel 2018 contro la media OCSE del 6.6%) e la riduzione dei disavanzi dei sistemi sanitari regionali. Al contrario per quanto riguarda il potenziamento dell’offerta territoriale e l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) l’intervento è stato meno incisivo e disomogeneo dal punto di vista territoriale.

L’ultimo Patto per la salute vigente è il 2014-2016. Nelle more della stipula di un nuovo patto, i vari governi che si sono succeduti hanno operato una decurtazione del finanziamento programmato. Probabilmente lo stanziamento di maggiori risorse nel nuovo patto della salute, in discussione in questi giorni, non riuscirà ad arginare l’arretramento del settore pubblico a garanzia del servizio sanitario universale.

UPB – Lo stato della sanità in Italia

https://www.upbilancio.it/pubblicato-il-focus-n-6-lo-stato-della-sanita-in-italia/

DIVIDENDO DEMOGRAFICO: UNA SPIEGAZIONE DELLA BASSA CRESCITA ECONOMICA ITALIANA

Il lavoro copre un arco di circa duecento anni in quanto è un’analisi della crescita italiana a partire dall’unità con proiezioni fino al 2060.

Il dividendo demografico è la quota di crescita economica dipendente dall’incremento della popolazione in età lavorativa (classe di età 15-64).

Quando la forza lavoro aumenta più velocemente della popolazione, il contributo demografico alla crescita è positivo mentre se aumenta meno velocemente, il contributo è negativo.

Dal 1911 al 1991, con eccezione nel decennio 1961-1971, il contributo dell’andamento demografico alla crescita è stato positivo. In particolare, nel decennio 1981-1991, il contributo è stato dello 0.52% annuo grazie ai “baby boomers” in età lavorativa.

A partire dagli anni Novanta, il contributo è diventato negativo con un minimo nel decennio 2001-2011 di -0.29% annuo.

L’immigrazione ha parzialmente limitato gli effetti in quanto non è riuscita a invertire il segno. Nel decennio 2001-2011 il contributo complessivo dell’immigrazione al prodotto pro-capite è stato dell’1%, limitando la diminuzione all’1.9% che in assenza di immigrazione sarebbe stata del 3.0%.

Nelle proiezioni dal 2016 al 2060 in uno scenario in cui i tassi di occupazione degli immigrati sono uguali a quelli degli italiani, si avrebbe una diminuzione del PIL pro capite del 17.2%, in assenza di immigrazione, una diminuzione del 33.3%.

Banca d’Italia – Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di “storia” italiana

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2018-0431/index.html