Questa settimana focus su crescita, valutazione delle politiche economiche e intelligenza artificiale.
La nota dolente dell’economia italiana è la bassa crescita soprattutto delle regioni del Sud e delle Isole. La tendenza è confermata da una pubblicazione istituzionale che vede al ribasso le stime per il 2019. Un recente volume passa in rassegna le più recenti politiche di sviluppo territoriale. Ai fini di una puntuale valutazione delle policy è necessaria un’ampia disponibilità di dati mentre l’uso pionieristico di tecniche di Machine Learning dimostra che il loro impatto può essere migliorato. L’ultimo rapporto annuale dell’INPS, che fa il punto su alcune misure di welfare controverse, ha il merito di fornire una grande quantità di dati utili per stimare non solo gli effetti di queste ultime ma anche di altre azioni. Se il razionale degli interventi pubblici nel meridione aveva l’intento di colmare le differenze territoriali e favorire la convergenza tra regioni, un articolo di un autorevole think tank statunitense offre alcuni importanti spunti di riflessione. L’intelligenza artificiale, infine, farà perdere posti di lavoro? In quel caso come sarà finanziato il welfare? La risposta è urgente e non può essere tramandata alla posterità.

PREVISIONE DI CRESCITA RIVISTE AL RIBASSO, FRENANO GLI INVESTIMENTI
Nell’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia, la previsione di crescita del PIL per il 2019 è dello 0.1%.
È al ribasso rispetto alle previsioni di inizio anno che erano dello 0.6%. Si prevede una lieve ripresa nel 2020 e nel 2021 quando sono previsti rispettivamente +0.8% e +1.0%.
Lo scenario macroeconomico del 2019 è caratterizzato da un rallentamento negli investimenti. Gli investimenti fissi lordi nel 2019 sono previsti in crescita dell’1.3% contro il 3.2% dell’anno precedente.
Pesano su queste decisioni, oltre l’incertezza congiunturale, la diminuzione degli investimenti in beni strumentali (-1.3%) dovuta alla fine degli incentivi fiscali a partire dal 2020.
Altro elemento di criticità è il perdurare dello spread sovrano elevato che irrigidisce, secondo Bankitalia in modo graduale, le condizioni di finanziamento. A maggio 2019 i prestiti bancari sono diminuiti dello 0,2 rispetto allo stesso mese del 2018, con una stima annualizzata di -0.8% nel 2019.
REDDITO DI CITTADINANZA E QUOTA 100, I PRIMI NUMERI
L’ultimo rapporto INPS fa il punto su due misure di welfare lungamente dibattute: reddito e pensione di cittadinanza (RdC/PdC) e quota 100. I beneficiari del RdC/PdC sono complessivamente poco più di 2 milioni di individui così distribuiti: 21% al Nord, 14% al Centro e 65% al Mezzogiorno.
Il 62% delle domande sono state accolte, il 27% respinto, il restante 11% è ancora in stato di elaborazione. Rispetto al reddito di inclusione il cui importo medio era di 239 euro quello del RdC/PdC è più del doppio, 489 euro.
I beneficiari di quota 100 sono poco più di 150mila: 74% uomini e 36% donne. L’importo medio della prestazione è di 1.967 euro. Tra i richiedenti, dipendenti privati sono in numero doppio rispetto quelli pubblici 103mila contro 50mila. La differenze di genere dell’importo medio delle prestazioni nel settore è privato è del 24% mentre nel settore pubblico è del 10%.
È necessario del tempo per valutarne gli effetti attesi nel mercato del lavoro: turnover di 3 a 1 che implicherebbe nel 2021 un effetto positivo sull’occupazione dello 0.5%, sebbene vi siano fondati dubbi a riguardo.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE PAGHERÀ LE NOSTRE PENSIONI?
La rapida diffusione dell’intelligenza artificiale (AI) rischia di mettere in pericolo, nei prossimi anni, numerosi posti di lavoro e di rendere insostenibile i sistemi di welfare dei paesi dell’Unione Europea. Una prima questione nasce dai cambiamenti in atto nel mercato del lavoro dove una quota sempre maggiore o lavora in proprio o con forme non tradizionali. Questo aumenta la difficoltà di finanziamento dei sistemi di protezione sociale.
Un secondo elemento di criticità è che alcuni lavori tradizionali tendono a scomparire, privando del lavoro una percentuale significativa di lavoratori poco qualificati (circa il 56% per l’Italia). L’impatto dell’AI non ha empiricamente una direzione univoca perché da un lato diminuisce la domanda di lavoro non qualificata che sarà controbilanciata dall’incremento della domanda di lavori con elevate competenze. Quale sarà l’effetto dominante? Nell’attesa di misurane gli esiti, il “Brussels European and Global Economic Laboratory” (Bruegel) fornisce, come di consueto, elementi utili al dibattito.

LA VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI DEL MEZZOGIORNO, IMPRESCINDIBILE ESERCIZIO DI IMPATTO DELLE POLICY
Negli ultimi 25 anni il Mezzogiorno d’Italia ha ricevuto trasferimenti per diversi miliardi di euro ma gli effetti sulla riduzione del divario con il resto del Paese sono stati irrilevanti.
Un agile pamphlet, di carattere divulgativo pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni (IBL), fa il punto su diverse politiche di sviluppo territoriale, concludendo che nella maggior parte dei casi sono state fallimentari o dagli effetti limitati nel tempo. L’aspetto più desolante è che i trasferimenti hanno contribuito a deteriorare il capitale sociale innescando un circolo vizioso politica/criminalità/comunità locale difficile da spezzare.
Senza entrare nei dettagli delle misure esaminate, l’idea di fondo, ampiamente condivisibile, è che sarebbe necessario, in via preliminare, una robusta analisi macroeconomica mentre, in sede di valutazione, una stima rigorosa dei risultati. A questo riguardo segnalo nell’ultimo capitolo un’applicazione originale del principio di valutazione ex ante ed ex post sulla misura degli 80 euro con tecniche di Machine Learning, dagli sviluppi promettenti.
LA CRESCITA, QUESTA SCONOSCIUTA
Nel dibattito economico si è radicata l’idea che nel tempo, tra i paesi poveri e quelli ricchi non vi sia stata convergenza nei livelli di reddito pro-capite. La convergenza incondizionata si basa sull’ipotesi che minore è il livello del reddito pro-capite maggiore sarà il tasso di crescita dell’economia. L’evidenza empirica ha confutato l’ipotesi dimostrando che dal 1960 all’inizio degli anni 90 i paesi più poveri non sono cresciuti a un tasso maggiore di quelli ricchi. Nel caso ciò sia avvenuto, il differenziale di crescita non è stato sufficiente a colmare il divario tra Paesi.
Negli ultimi 20 anni queste evidenze non reggono più ma la letteratura economica non ha ancora dibattuto a sufficienza sul cambiamento dei modelli. L’articolo del Peterson Institute for International Economics (PIIE) offre un’esauriente rassegna delle letteratura più recente, evidenziando come siano soprattutto i Paesi a medio reddito a crescere più velocemente dei Paesi ricchi.
PIIE – Everything You Know about Cross-Country Convergence Is (Now) Wrong