Entro il 20 ottobre il governo presenterà il disegno di legge di Bilancio, la vecchia Legge Finanziaria. Al netto di eventuali flessibilità aggiuntive, la cornice contabile è chiara. Dovremo conciliare due obiettivi apparentemente contrastanti: continuare nella riduzione graduale del deficit e del rapporto debito pubblico/Pil, ma anche dare corpo a una politica fiscale espansiva, che di impulso agli investimenti e riduca il carico fiscale sull’impresa e sul lavoro. Il rallentamento dell’economia ha acuito disuguaglianze che producono tensioni sociali, incertezza e ostacolano le stesse prospettive di ripresa. Per contrastare questa spirale, l’agenda dovrà tenere bene in alto le tutele per i redditi più bassi, il dossier pensioni, quello sanità, il rinnovo dei contratti per il pubblico impiego. Ma, per la crescita, redistribuzione ed equità non bastano. Lo stato di salute dei conti pubblici potrà migliorare solo quando l’economia reale riprenderà a marciare. Servono allora segnali diretti e forti, per un’iniezione di energia e ottimismo. Domani, nel discorso sullo Stato dell’Unione, Jean-Claude Juncker annuncerà il raddoppio del programma europeo per gli investimenti strategici, come impulso a settori ad alto moltiplicatore e come piattaforma per alzare la produttività. Proprio il potenziamento delle linee d’investimento dall’Europa imporrà, per l’Italia, un rafforzamento, non più rinviabile, delle strutture di programmazione e di gestione degli investimenti «sistemici». Ben venga, allora, lo stimolo europeo, anche come pungolo per modernizzare il ruolo dello Stato investitore. Il cuore della manovra per la crescita, però, va disegnato pensando al disperato bisogno di ossigeno fiscale del lavoro dipendente, delle imprese, degli artigiani, dei liberi professionisti e di tutto l’articolato popolo delle partite Iva. ULTIMI ARTICOLI ABBONAMENTO DIGITAL EDITION Brad e Angelina visti con gli occhi dei loro bimbi ESTER ARMANINO Un’arma per salvare l’Europa GIUSEPPE CUCCHI A Charlotte le tribù divise d’America GIANNI RIOTTA TUTTI GLI ARTICOLI COME PRIMA, PIÙ DI PRIMA » Una nuova versione web nativa digitale. » Una nuova app. » Una nuova offerta. Scopri tutti i modi di leggere La Stampa su pc, smartphone e tablet. VAI ALL’ABBONAMENTO DIGITAL EDITION 0 0 L’impegno del Governo alla riduzione della pressione fiscale è chiaro. I margini non sono ampi, e vanno messe a fuoco le priorità. Saranno rafforzati gli incentivi ai salari di secondo livello e mantenuto il super ammortamento per i beni strumentali, mentre non appare per il momento possibile metter mano a una riduzione del numero degli scaglioni Irpef e del carico sui redditi sino a 75.000 euro, correggendo lo «scalone» delle aliquote oltre la soglia dei 28.000 euro. Sarà confermata la riduzione al 24% dell’aliquota Ires, che servirà da ancoraggio anche per incentivare gli imprenditori a trattenere capitali in azienda, con la nuova Imposta sul Reddito Imprenditoriale (Iri). L’auspicio è che tra le priorità rientri un intervento capace di dar sollievo all’esercito delle partite Iva, rivedendo al rialzo le condizioni di accesso alle agevolazioni del regime forfettario e, soprattutto, riducendo il peso dei contributi. Ogni partita Iva sa quanto pesante sia il fardello della contribuzione pensionistica all’Inps. Il Governo, un anno fa, ha bloccato l’innalzamento della contribuzione al 33%, lasciando l’aliquota al 27,7%. Ora l’aliquota va ridotta al 24% previsto per artigiani e commercianti. Per queste storie lavorative, spesso discontinue e con alternanze di posizioni e di ruoli, sarà poi importante assicurare che il raggiungimento dei requisiti di pensionamento assicuri l’accesso effettivo alla pensione, senza oneri, complessità e incertezze per la ricongiunzione e il calcolo dei requisiti. In questa fase di trasformazione della nostra economia e di peso crescente dei servizi, mettere tra le priorità la riduzione della pressione fiscale e contributiva sulle partite Iva è utile: per liberare energie che aiutano la crescita, ma anche per iniziare finalmente a mettere in soffitta un paternalismo pensionistico che, con il passare degli anni, rischia di divenire sempre più odioso e sempre meno sostenibile.