Il rischio della crescita virtuale, e la “vittoria di Pirro” dell’indicizzazioneL’ISTAT comunica che nel mese di Maggio i prezzi alla produzione dei prodotti industriali sono aumentati del 7,5 per cento rispetto al Maggio 2007. Anche al netto del comparto industriale dell’energia (+21,5 per cento), l’aumento rimane del 3,8 per cento, un tendenziale che, scaricandosi sui prezzi al consumo, fa apparire arduo il raggiungimento del target dell’1,7 per cento inserito in DPEF. E, infatti, sempre l’ISTAT diffonde un indice provvisorio dei prezzi al consumo (NIC) per il mese di Giugno in aumento del 3,8 per cento rispetto al Giugno 2007.
Crescono tanto i prezzi e, nel contempo, ristagna la produzione industriale, come emerge dall’Indagine diffusa dal Centro Studi di Confindustria il 30 Giungo 2008 (“Indagine rapida sulla produzione industriale”): misurata a parità di giornate lavorative la riduzione è dello 0,3 per cento tra Giugno 2007 e Giugno 2008; e se si guarda agli ordinativi, Giugno su Giugno sono diminuiti del 7,5 per cento, dopo essere diminuiti del 5,9 Maggio su Maggio.Forse è eccesivo parlare di situazione di raggiunta stagflazione, ma il segnale non va sottovalutato. Soprattutto se si guarda a come si sono evoluti nell’ultimo decennio prezzi, retribuzioni, PIL per occupato e valore aggiunto per occupato (dati di fonte ConISTAT).
Fonte: elaborazioni di CERM su ConISTAT
Dal 1996 al 2007 (grafico qui sopra), le retribuzioni lorde per occupato (di operai ed impiegati) si sono evolute più velocemente dei prezzi (NIC e FOI[1]): l’indice delle retribuzioni (linea rossa) parte da un valore inferiore nel 1996 e nel 2007 compare al di sopra dell’indice dei prezzi (linea nera o linea grigia). Tuttavia, se si considerassero le dinamiche della prima metà del 2008 (con la forte ripresa dell’inflazione), forse si può anche parlare di sostanziale coevoluzione.
Fonte: elaborazioni di CERM su ConISTAT
Sempre tra il 1996 e il 2007 (grafico qui sopra), si registra una quasi perfetta coevoluzione tra le retribuzioni e la produttività (PIL per occupato e VA per occupato, entrambi destagionalizzati). Al di là delle fluttuazioni, l’indice della produttività mostra una crescita decennale identica a quella delle retribuzioni lorde (se si osservano i punti di partenza e quelli di arrivo degli indici).
Se, infine, si osserva l’evoluzione dei prezzi e della produttività (grafico qui sotto), emerge una doppia evidenza:
– è vero che tra il 1996 e il 2007 la produttività è cresciuta maggiormente dei prezzi (si confrontino i punti di partenza e di arrivo degli indici) …
– … ma questo è avvenuto interamente prima del 2000, perché poi dal 2000 al 2007 la coevoluzione è quasi perfetta, e il prodotto e il valore aggiunto per occupato crescono quasi unicamente in valore nominale.
L’evidenza del secondo periodo (2000-2007) sarebbe rafforzata se si aggiungessero i dati del primo semestre 2008. Anzi, non sarebbe remoto osservare una minor crescita della produttività rispetto ai prezzi, dal momento che all’infiammata inflazionistica sta facendo eco (gli ultimi dati lo dimostrano) una riduzione sia della produzione (prezzi per quantità transate sul mercato) sia degli ordinativi.
Fonte: elaborazioni di CERM su ConISTAT
Quali indicazioni trarne, soprattutto considerando che in Italia il costo del lavoro, le retribuzioni nette e la produttività hanno valori tra i più bassi nell’area OCSE?
1) L’indicizzazione all’inflazione (primo grafico) non risolve, è una “vittoria di Pirro” che, di fronte alle spinte inflazionistiche degli ultimi tempi, non solo non migliora le condizioni di vita delle famiglie, ma può avviare verso sentieri di instabilità monetaria da cui trarrebbero vantaggio gli operatori con più potere di mercato e più possibilità di “gareggiare” nell’aumento dei prezzi.
2) Il legame tra crescita delle retribuzione e crescita della produttività (secondo grafico) va inteso come un vincolo, al di fuori del quale si violano le compatibilità economiche della produzione, determinando o una perdita di competitività (con i conseguenti effetti occupazionali e di sviluppo), oppure una recrudescenza delle politiche di prezzo per gli operatori in grado di esercitare potere di mercato (con il conseguente controeffetto di riduzione/annullamento, in termini reali, dei vantaggi acquisiti dalle retribuzioni tramite l’indicizzazione). Il vero snodo è l’innalzamento del livello di (crescita della) produttività a cui quel vincolo si realizza.
3) Se sino al 2000 la produttività è cresciuta più dei prezzi facendo registrare aumenti reali del PIL/VA per occupato, dal 2000 in poi (quest’anno sembra quasi una cesura) le due dinamiche si sovrappongono, e PIL/VA per occupato aumenta in valore ma non in unità reali. Indipendentemente dalle spiegazioni che si possono dare per l’andamento pre 2000 (effetti delle riforme e del risanamento della finanza pubblica per l’ingresso nell’Euro?), dal 2000 in poi appare imboccato un sentiero di crescita solo virtuale del prodotto di cui è parte integrante la crescita delle retribuzioni connessa alla sola indicizzazione all’inflazione.
Emerge, chiaro, un grande problema sistemico di crescita reale che rischia di essere offuscato dal dibattito sull’inflazione e sull’indicizzazione delle retribuzioni.
Per aumentare le retribuzioni nette e l’occupazione bisognerebbe confidare di più nell’autorità della Banca Centrale Europea, imparare ad accettare i rialzi dei tassi di interesse come strumenti guida della policy, e convogliare energie sulle riforme strutturali: apertura a concorrenza dei mercati (per la rimozione delle rendite e la promozione dell’efficienza produttiva); rinnovamento della Pubblica Amministrazione; nuova contrattazione del costo del lavoro (per premiare il capitale umano, il merito e la produttività); ridisegno del welfare system (per ampliare le possibilità di partecipazione al mercato del lavoro e di occupazione[2]); riduzione del cuneo fiscale e contributivo fondata sulla riqualificazione delle spese.
Sono questi i fronti su cui il Sindacato dovrebbe stimolare e misurare l’azione di Governo.