Un mix che dovrebbe far paura non solo ai Governi, ma anche agli operatori sul mercato e alle loro rappresentanze

I dati ISTAT diffusi il 25 Giugno mostrano una riduzione significativa del valore delle vendite (prezzi per quantità) del commercio fisso al dettaglio[1]: – 2,3 per cento tra Aprile 2007 e Aprile 2008. Il dato matura soprattutto sul fronte dei beni non alimentari (-3,4 per cento), ma anche gli alimentari, la cui domanda è notoriamente più rigida, fanno rilevare una riduzione (-0,8).
È utile, per dare la migliore lettura, riflettere sugli spaccati per forma distributiva, dimensione di impresa, tipologia merceologica e ripartizione geografica:
L’arretramento matura interamente nelle imprese operanti su piccole superfici (-4,1 per cento), mentre la grande distribuzione riesce a mantenere il passo (+ 0,3).
L’arretramento matura quasi interamente nelle imprese fino a 5 addetti, mentre quelle di dimensione maggiore riescono a reggere (quelle con più di 20 addetti fanno anche risultare un aumento, +1,3 per cento).
3.All’interno delle categorie merceologiche, l’arretramento maggiore è dei beni voluttuari o meno essenziali (abbigliamento e pellicceria, calzature e articoli di cuoio e da viaggio, giochi e accessori per sport e campeggio), ma tutte fanno registrare riduzioni (anche gli alimentari, i prodotti farmaceutici, i generi casalinghi durevoli e non durevoli), a dimostrazione di una correzione al ribasso che interessa il commercio in generale.
4.Se si guarda allo spaccato territoriale, in tutte le aree geografiche le vendite diminuiscono, ma la riduzione è molto più evidente nel Sud e Isole (- 4 per cento) e nel Centro (- 3,4) che nel Nord (- 1,1).

Lo spaccato è utile perché fornisce una evidenza del nesso causale tra diminuzione delle vendite, arretramento della domanda aggregata, e inefficienza e anticoncorrenzialità dell’offerta che si traduce in politiche di prezzo con eccessivi margini di intermediazione (i mark-up dei commercianti). Le riduzioni, infatti sono tanto maggiori:
– negli esercizi diversi dalla grande distribuzione, i punti vendita diffusi nelle città e per i quali si pone il problema di un corpo normativo antiquato e anticoncorrenziale (soprattutto per quanto riguarda il contingentamento delle autorizzazioni all’apertura e i limiti per l’avvio di strutture di vendita di dimensione medio-grande);
– nel Sud e Isole, dove il più basso reddito medio disponibile per le famiglie rende più probabile il contenimento/razionamento della domanda di fronte alla crescita dei prezzi.

A convalidare questa lettura, di una offerta anticoncorrenziale che si autosottrae domanda, giungono anche le dichiarazioni del Presidente della Banca Centrale Europea sul pericolo inflazione che ancora rimane elevato in tutta l’area Euro, e che potrebbe portare ad un aumento del tasso di sconto; e giunge anche la recente Segnalazione dell’Antitrust (la AS453) sui limiti alla concorrenza che frenano il Paese.
A proposito del commercio al dettaglio, la Segnalazione recita: “L’industria distributiva nazionale presenta, tuttora, una struttura non efficiente e sottodimensionata rispetto a quella di altri Paesi europei, proprio a causa di una regolazione che ostacola l’apertura di punti vendita con grandi superfici e in genere l’attivazione di nuovi esercizi. Occorre dunque eliminare questi vincoli ed evitare che siano riproposti nella normativa attraverso lo strumento della disciplina urbanistica o ambientale. Vanno abrogati i divieti in materia di vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio, e i vincoli presenti, nella normativa nazionale e locale, alla determinazione dei prezzi di vendita (per es. la regolamentazione in materia di vendite sottocosto e straordinarie) e alle modalità di esercizio dell’attività (per es. la regolamentazione di turni e orari – minimi e massimi – di apertura). L’Autorità ricorda che l’attuale struttura della distribuzione commerciale comporta minore possibilità di scelte e prezzi più alti per i consumatori. La mancanza di grandi operatori esclude inoltre la presenza all’estero di catene commerciali italiane che potrebbero invece costituire un importante supporto per l’estero alle produzioni nazionali. Nel settore agroalimentare vanno individuate normative che, promovendo la concorrenza, migliorino le modalità di funzionamento e l’efficienza del settore con l’accorciamento della filiera” (cfr. Comunicato stampa dell’11 Giugno 2008 dell’AGCM).

La stagflazione (inflazione e bassa crescita economica) non deve spaventare solo i Governi e stimolarli alle riforme strutturali. Dovrebbe spaventare anche gli stessi operatori incumbent (in questo caso, i commercianti) e le loro organizzazioni di rappresentanza. Perché, se le strutture e i modelli organizzativi non si rinnovano e le politiche di prezzo inglobano sovrapprofitti eccessivi, la domanda si riduce e con essa anche le vendite. Si alimenta un circuito depressivo di keynesiana memoria che alla lunga fa male agli stessi incumbent, soprattutto a quelli di loro più giovani e innovatori.

In conclusione, i dati ISTAT su vendite/consumi, assieme all’infiammata inflazionistica ancora persistente e ai problemi concorrenziali ribaditi dall’Antitrust, dovrebbero far comprendere la convenienza per tutti di procedere con le riforme strutturali. Anche per coloro che più direttamente sarebbero, nell’immediato, coinvolti dalle trasformazioni. Un lettura stimolata dal dato ISTAT sul commercio, ma che ha una validità trasversale a tutti i settori/comparti dell’economia, come trasversale è la Segnalazione dell’Antitrust (un punto di pregio del documento).

A completamento del discorso, il grafico qui sopra (fonte: ConISTAT) pone a confronto l’incide dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC, tabacchi inclusi) con tre serie dell’indice del valore delle vendite calcolato sui dati grezzi: quella dei valori all’Aprile di ogni anno, quella con le medie dei primi 4 mesi di ogni anno, e  quella con la media di tutti i mesi di ogni anno.

Sino al 2003, la serie dell’incide NIC e quella dell’indice medio annuo del valore delle vendite coevolvono: la dinamica dei prezzi si traduce in una speculare dinamica delle vendite (ovvero dei fatturati). Dal 2003, compare un cuneo, che divarica la dinamica inflazionistica da quella del valore delle vendite. Inflazione accompagnata da fatturati stagnanti: è la prospettiva di stagflazione vista dal lato del commercio.

Le indicazioni derivabili dai dati sono confermate se, invece della serie grezza, si prende a riferimento la serie destagionalizzata dell’indice del valore delle vendite (sempre fonte: ConISTAT). Infatti:

Forse sarà eccessivo parlare di fase di stagflazione raggiunta (sul Sole 24 ore del 25 Giugno, è molto critico verso questa prospettiva l’economista Solow, pur riferendosi agli Stati Uniti), ma di sicuro l’ultimo quinquennio porta i segni di un forte rallentamento dell’economia reale contemporaneamente al rincorrersi delle grandezze nominali.

Una situazione che, secondo Confidustria (ultimi “Scenari Economici”), dovrebbe continuare a tutti il 2008 e 2009, con tassi di crescita del PIL rispettivamente dello 0,5 e dello 0,9 per cento (ben al di sotto di quelli inserite nel DPEF), occupazione in rallentamento, inflazione al 3,4 per cento nel 2008 e al 2,5 nel 2009 (7 decimi sopra il target programmato nel DPEF), retribuzioni reali stagnanti (nonostante siano tre le più basse in area OCSE), e consumi pressoché fermi nel 2008 e con una lieve ripresa nel 2009 (+0,6 per cento, ma sempre la metà del tasso di crescita medio realizzato dal 2000).

Ne matura un quadro che richiede un impegno congiunto: del Governo nel procedere con le riforme strutturali dei mercati, per promuovere occupazione e produttività; delle parti sociali nel cooperare alle riforme, perché è sempre più chiaro a tutti che il benessere economico delle singole categorie non è perseguibile in un sistema economico così ingessato; di tutti, Istituzioni nazionali, operatori sui mercati, cittadini, nell’apprezzare il contrasto dell’inflazione su cui è fortemente impegnata la BCE. È interesse di tutti.


[1] La rilevazione mensile sulle vendite al dettaglio condotta dall’ISTAT si riferisce alle imprese commerciali operanti tramite punti di vendita al minuto in sede fissa, autorizzati alla vendita di prodotti nuovi (non usati), con esclusione dei generi di monopolio, delle rivendite di autoveicoli e combustibili e delle riparazioni. Sono quindi fuori dal campo di osservazione i punti di vendita di beni usati, gli ambulanti ed i mercati rionali.