Il Consiglio Direttivo della BCE conferma (riunione del 10 Aprile) il prevalere di rischi di rialzo dei prezzi e l’impegno a contrastarli. L’Euro continua ad apprezzarsi in un contesto di inflazione e bassa crescita. Un trinomio da affrontare con attenzione, soprattutto per l’Italia. Vediamo perchéEurostat (NewsRelease n. 51/2008) ha diffuso i dati sull’inflazione in Europa: nell’area Euro, Marzo 08 su Marzo 07, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (HICP) è aumentato del 3,6, contro l’1,9 fatto registrare tra Marzo 07 e Marzo 06. La tendenza è confermata se si analizzano i dati di Dicembre 07 su Dicembre 06, Gennaio 08 su Gennaio 07 e Febbraio 08 su Febbraio 07: rispettivamente +3,1%, +3,2, +3,3%. L’Italia non fa eccezione, facendo registrare un + 3,6% Marzo su Marzo.

L’inflazione si posiziona significativamente al di sopra del target del 2%, convenuto con il Trattato di Maastricht, e non accenna al rientro. Tant’è che nel Bollettino Economico della BCE n. 4/2008 si afferma che “[…] i rischi a medio termine per la dinamica dei prezzi rimangono nettamente verso l’alto. […] Particolarmente significativo è il rischio che il processo di formazione di prezzi e salari possa accrescere le pressioni inflazionistiche”. Su queste basi, è difficile ipotizzare che la BCE possa, a breve, abbassare il tasso di sconto per immettere liquidità nell’economia. Se si guarda allo spaccato, dopo il settore energia che ha fatto registrare Marzo su Marzo un incremento dell’11,2%, compare l’istruzione con +9,6%, poi l’alimentare con +6,2%, quindi i trasporti con +5,6%.

Nel frattempo, dalla Banca d’Italia giunge il Bollettino Economico n. 52. Nella parte di riepilogo della congiuntura internazionale, le previsioni macroeconomiche (FMI e consensus forecast) vedono il Pil dell’area Euro in rallentamento nel 2008 e nel 2009, come conseguenza sia della crisi finanziaria avviata la scorsa estate e propagatasi dapprima negli Stati Uniti, sia del caro-greggio. Le previsioni più recenti – Aprile 2008 – sono quelle del FMI, che posiziona la crescita nell’area Euro all’1,4% nel 2008 e all’1,2% nel 2009. E la BCE conferma che le prospettive di crescita sono esposte a rischio: la turbolenza dei mercati finanziari potrebbe durare più a lungo del previsto ed avere un impatto più ampio sull’economia reale.

All’interno di questo scenario internazionale, le previsioni per l’Italia sono di un rallentamento della crescita particolarmente pronunciato. Se si posizionano in ordine temporale le previsioni effettuate da Ocse (dicembre 07), Commissione Europea (Febbraio 08), Governo (Marzo 08) e FMI (Aprile 08), nel volgere di alcuni mesi il tasso di crescita del Pil atteso nel 2008 e nel 2009 è stato più che dimezzato rispetto al 2007. Per il FMI, la crescita sarà dello 0,3% sia nel 2008 che nel 2009.

Il binomio inflazione e bassa crescita, che è comune all’area Euro ma più accentuato in Italia, si sta manifestando contemporaneamente all’apprezzamento dell’Euro sul Dollaro e, per la politica di pegging (totale o parziale) che molti Paesi emergenti fanno sul Dollaro, all’apprezzamento dell’Euro nei confronti di altre valute di economie in fase di espansione nel commercio internazionale. “Il 9 Aprile 08 – si legge nel Bollettino Economico n. 4/2008 della BCE – l’Euro è stato scambiato a 1,57 dollari, un livello superiore del 6,8 per cento a quello di fine Dicembre 07 e del 14,7 per cento alla media del 2007”. È evidente che l’apprezzamento dell’Euro dipende, oltre che da un fattore storico/strutturale come il deficit della bilancia dei pagamenti americana, sempre più, in questa fase, dalla diversa politica monetaria che FED e BCE stanno seguendo, espansiva la prima e di controllo la seconda.

Più che di un binomio (stagflation) si dovrebbe parlare, quindi, di un trinomio inflazione – bassa crescita – Euro forte (che potremmo battezzare strong-stagflation), tutto nuovo nella breve storia dell’area monetaria comune, e che potrebbe avere effetti differenziati tra Partner e perduranti, anche al di là della ripresa americana e del caro-greggio. Nel Bollettino della Banca d’Italia si legge, per esempio, che “[…] l’apprezzamento dell’Euro spinge al ribasso la competitività di prezzo di tutti i Paesi dell’area; [ma in Italia questo fattore si aggiunge] alla dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto, innalzata dall’andamento sfavorevole della produttività”.

Una moneta forte, che normalmente dovrebbe garantire da rischi inflazionistici e dare stabilità, nella congiuntura che si sta creando potrebbe, attraverso l’aggravamento dei problemi di crescita, avere un effetto opposto sui prezzi, e tanto maggiore nei Paesi – come l’Italia – con economie frenate da limiti alla concorrenza e rendite di posizione. In questi Paesi, è più facile tentare di difendere i livelli assoluti di fatturato/ricavo, erosi dal rallentamento del Pil e della domanda, innalzando i mark-up. Si legge, infatti, nel Bollettino BCE 4/2008 che “[…] il potere delle imprese nel determinare i prezzi, segnatamente in segmenti di mercato a bassa concorrenza, potrebbe risultare superiore alle attese”. Non solo lo spettro della stagflation, quindi, ma di una strong-stagflation.

La ricetta di policy per superare il trinomio bloccante non è immediata.

Da un lato, la BCE è correttamente restia a ridurre il tasso di sconto, perché teme di rinforzare le tensioni inflazionistiche. Per di più, la stessa BCE dimostra anche di nutrire dubbi che l’impulso monetario possa in Europa trasformarsi in ripresa della crescita senza essere accompagnato da azioni di riforma strutturale delle economie dei Partner, verso una maggiore apertura a concorrenza di tutti i mercati.

Dall’altro, in una prospettiva extra UE, ci si dovrebbe forse interrogare di più sul fatto che l’apprezzamento dell’Euro sul Dollaro debba essere necessariamente visto come fonte di preoccupazione in sé, come invece fa il Fondo Monetario Internazionale quando lamenta gli effetti sul cambio delle politiche monetarie divergenti di FED e BCE e la perdita di status della moneta che sinora è stata il riferimento valutario assoluto su scala mondiale.

In sé l’andamento del cambio non è né negativo né positivo, e tutto dipende dalla causalità economica che lo determina. Se l’apprezzamento dell’Euro deriva, come sta accadendo, da una politica monetaria di rigore, che tenta di mantenere l’inflazione sottocontrollo, in un sistema economico con problemi di crescita e di competitività, allora è sintomo di uno squilibrio la cui risoluzione va al di là delle possibilità di intervento dell’Autorità monetaria, e che è destinato prima o poi a manifestarsi in tutti i suoi risvolti problematici. Se, invece, lo stesso apprezzamento deriva da qualità competitive, in grado di far affermare i Partner nell’interscambio commerciale o come meta dei flussi di investimento internazionali, allora è da vedersi come fisiologico e, per di più, è anche un meccanismo fondamentale per il mantenimento in equilibrio delle bilance dei pagamenti dei vari Paesi.

Alla luce di queste considerazioni, si comprende quanto la radice dei problemi per Eurolandia risieda nelle politiche per la crescita, che sono quelle su cui si dovrebbe rapidamente puntare per rilanciare l’economia in condizioni di stabilità monetaria. Economie dei Partner più competitive e flessibili permetterebbero alla BCE una politica monetaria con margini di flessibilità in funzione di correzione del ciclo, così riducendo le possibilità di situazioni in cui il contrasto dell’inflazione possa esser fonte di apprezzamenti dell’Euro e, per questa via, creare problemi di crescita e/o ritardare l’uscita dalle fasi negative. Sta emergendo, forse per la prima volta in maniera così netta, la necessità di credibilità reciproca e coordinamento tra le Autorità di politica monetaria (BCE) e politica reale (i Governi) nell’area Euro.

D’altro canto, un’Europa con economie più competitive e flessibili permetterebbe a tutti (BCE e Governi) di non fare del tasso di cambio Euro/Dollaro un obiettivo in sé, e di valutare, di volta in volta, le ragioni della sua evoluzione e l’opportunità di una sua difesa. Un miglior coordinamento tra politica monetaria e politiche reali nell’area Euro permetterebbe al’Europa, con più leve d’azione a disposizione, di dialogare con gli Stati Uniti nel coordinamento delle politiche economiche a livello mondiale.

E questa necessità di superare la pericolosa dicotomia tra politica monetaria e politiche reali dei Governi, nel rispetto delle funzioni istituzionali di tutti, è chiara anche alla BCE, nel cui ultimo Bollettino si legge: “Il Consiglio direttivo incoraggia vivamente i Paesi dell’area dell’Euro a impegnarsi maggiormente nelle riforme e li appoggia in questo sforzo, in particolare al fine di promuovere l’integrazione dei mercati e di ridurre le rigidità in quelli dei beni e servizi e del lavoro che limitano la concorrenza, la flessibilità dell’occupazione e la differenziazione delle retribuzioni. Le riforme non soltanto promuoverebbero l’occupazione e sosterrebbero la crescita del prodotto potenziale, ma concorrerebbero altresì a moderare le pressioni sui prezzi”.

Quanto son vere queste raccomandazioni per l’Italia!