a commento dei positivi dati di bilancio con cui si avvia a chiudersi il 2007
L’ISTAT segnala il buon andamento dei conti pubblici. Il saldo primario è in significativo miglioramento: 4,4% del PIL nel terzo trimestre 2007; dal 2001 non si registrava un dato così elevato (4,6). Nei primi nove mesi del 2007, il saldo primario è al 3,5% e l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche all’1,3%. Per trovare dati migliori si deve andare al 2000, quando l’indebitamento netto annuo fu dello 0,8%.
Nonostante la fase negativa del ciclo economico internazionale, i saldi di finanza pubblica iniziano a tornare coerenti con il riassorbimento del debito. Ed è vero, come ha osservato recentemente Fabrizio Galimberti sul Sole24Ore, che il controllo e la qualità della spesa richiedono il lavoro paziente del giardiniere, fatto di “buona amministrazione quotidiana, sforzi di riorganizzazione intensi e prolungati, lotta a sprechi e inefficienze”. Tuttavia, le agenzie di rating (cfr. Sole24Ore del 15 Gennaio, pag. 13) sottolineano due criticità: da un lato, prima di migliorare l’outlook Paese, bisogna verificare in che misura la tendenza continuerà; dall’altro, il risultato di bilancio deriva in gran parte da aumenti sul lato delle entrate che riportano all’attenzione il problema della pressione fiscale e delle sue ricadute in termini di investimenti, produttività e crescita.
Quest’ultima criticità trova conferma nei dati appena contenuti nel Bollettino Economico n. 51 diffuso dalla Banca d’Italia, che prevede una crescita del PIL dell’1,0% nel 2008 e dell’1,1 nel 2009, inferiori alle prospettive riportate nell’ultimo aggiornamento del Programma di Stabilità (Dicembre 2007), dove i due tassi sono rispettivamente dell’1,5% e dell’1,6%, e soprattutto in significativo rallentamento rispetto al 2007, in cui la crescita si è attestata all’1,7%. È arduo immaginare che i risultati virtuosi di bilancio possano essere confermati costantemente in futuro, senza il risveglio dell’economia.
La situazione economica del Paese richiede di interrogarsi, da subito, su quali siano i requisiti per la sostenibilità dei conti pubblici negli anni a venire e su quali siano le scelte da compiere per una ricomposizione della spesa a sostegno della crescita, della produttività, della coesione sociale.
La Commissione Europea (Public Finances in EMU, 2007) ricorda che se l’Italia vuole ricondurre il debito pubblico al 60% del PIL nel 2050 saranno necessari, anno dopo anno, avanzi primari strutturali del 4,3%. Il Programma di Stabilità di Dicembre è più ottimista ma fissa al 3,9% l’avanzo necessario. Già di per sé impegnativo, questo target costituisce una sottostima rispetto alle necessità reali.
Innanzi tutto, l’annoso capitolo delle pensioni. Si fatica a far comprendere, e il Protocollo Welfare lo testimonia, che per ottenere sostenibilità della spesa e adeguatezza delle prestazioni è necessario accelerare l’entrata a regime delle regole della “Dini” e dare impulso allo sviluppo dei fondi pensione. Si tratta di un percorso obbligato, se si vuole concorrere positivamente al funzionamento del mercato del lavoro e del sistema produttivo, rafforzando gli istituti redistributivi del welfare. La troppo vantata stabilizzazione sul PIL della spesa pensionistica rivelerà nel tempo le proprie ricadute sociali negative e troppe pensioni – quelle del lavoro discontinuo, con fasi lunghe da parasubordinato, o con avvio tardo della carriera – saranno così basse da sollevare gravi problemi di adeguatezza e da richiedere interventi compensativi che graveranno sugli altri istituti del welfare, a cominciare dall’assistenza e dalla sanità.
Me è proprio sulla sanità che si giocherà un’altra partita decisiva, se è vero che le proiezioni considerate dalla Commissione e nel Programma di Stabilità, incentrate sulle variabili demografiche, sottostimano le necessità di spesa. Le analisi del CERM (cfr. Editoriale n. 1/2008) rivelano che, quando si considerano le determinanti extra demografiche (elasticità al reddito, progresso tecnico, determinanti istituzionali), a policy invariata, l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL sarebbe destinata a raddoppiare al 2050, con la conseguenza che per riassorbire il debito, servirebbero avanzi crescenti nel tempo sino a valori del 9/10%. Naturalmente, una voce di spesa con una crescita così intensa sarebbe assoggettata a restrizioni nei finanziamenti e a razionamenti, con un impatto sociale sempre più forte: ad esempio, per stabilizzare nel lungo periodo l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL ai valori attuali si richiederebbe una riduzione della copertura pubblica dal 74,7 al 49,5. Per di più, agli effetti redistributivi delle misure di contenimento si aggiungerebbero, per le generazioni più giovani, quelli della riduzione dei tassi di sostituzione pensionistici. Scenari che rendono urgente trovare soluzioni alla nuova governance del SSN tra Stato e Regioni (scegliendo l’assetto regolatorio migliore per stimolare i comportamenti più virtuosi dei decisori politici, dei medici, dei responsabili delle strutture erogatrici di prestazioni e dei cittadini), e allo sviluppo del pilastro di finanziamento sanitario privato (i fondi “doc”).
Tra l’altro, nei documenti previsionali ufficiali alla stabilità dei conti pubblici concorrono anche le riduzioni delle uscite per i capitoli delle indennità di disoccupazione e dell’istruzione, che vanno in compensazione degli aumenti su sanità e pensioni. Uno scenario, questo, difficilmente conciliabile con l’innalzamento della partecipazione al mercato del lavoro, l’aumento dei tassi di occupazione, l’incremento della produttività e dei salari (obiettivi dell’agenda di Lisbona).
La strada imboccata è quella giusta. Ma l’auspicio è che le celebrazioni del momento cedano prontamente il passo alla consapevolezza delle scelte politiche da compiere, a valere nel tempo.
all:
Conto Economico Trimestrale delle Amministrazioni Pubbliche – III trimestre 2007 (ISTAT)
Bollettino Economico n. 51 (Banca d’Italia)
Public Finances in EMU – 2007 (Commissione Europea)