Si rendono disponibili Sommario e Indice del rapporto di ricerca prossimamente in pubblicazione nella collana AREL – IL MULINO. Il rapporto è stato presentato presso la sede dell’AREL il 20 Novembre 2007
In tutti i Paesi ad economia e welfare sviluppati, la spesa sanitaria è, tra le voci del welfare system, quella che nelle prossime decadi farà registrare la crescita più intensa in termini di PIL e, soprattutto, più soggetta ad alea (per la presenza di fattori, lato offerta e lato domanda, il cui impatto è difficilmente quantificabile). Le più recenti proiezioni di ECOFIN, incentrate sulla dimensione demografica, descrivono per l’Italia un range di incremento dell’incidenza sul PIL al 2050 compreso tra 4,9 e 1,1 p.p.. L’OCSE, che dà maggior spazio ai driver extra demografici, riporta, invece, un intervallo di variazione compreso tra 9,4 e 1,8 p.p.. La possibilità che, senza interventi di policy, l’incidenza sul PIL al 2050 arrivi a più che raddoppiarsi è confermata dal differenziale positivo che storicamente i tassi di crescita della spesa hanno fatto registrare rispetto al tasso di crescita del PIL, e dalle difficoltà di programmazione che tutti i Programmi di Stabilità europei – in particolare quello italiano – stanno sperimentando (con incrementi inattesi di breve periodo di ordine di grandezza elevatissimi rispetto agli incrementi proiettati a cinquant’anni). La stabilizzazione della spesa pubblica sul PIL ai livelli correnti implica, di fronte a queste proiezioni di spesa, riduzioni significative della copertura pubblica, con conseguente implicito affidamento della domanda al finanziamento privato: per l’Italia, il coverage del SSN è proiettato in riduzione dall’attuale 75 per cento a poco più del 50 per cento nel 2050.
In questo quadro, è indispensabile disporre di una governance in grado di combinare, sulla base di scelte positive, l’obiettivo della stabilità finanziaria con quello dell’adeguatezza/equità delle prestazioni, per non subire passivamente i cambiamenti ma per condurli.
La trasformazione federalista è tutt’uno con la creazione di questa nuova governance, ma deve trovare un rapido completamento organico e coerente con il mantenimento della coesione sociale su scala nazionale. Sono molteplici i tasselli oggi mancanti e, attraverso la “lente” del capitolo sanitario-farmaceutico, è possibile riconoscerli:
– il coordinamento tra livelli di governo si sta impostando su un piano esclusivamente finanziario, fissando obiettivi di bilancio senza considerare le azioni di politica economica reale che li dovrebbero sostenere, e prevedendo rimedi anch’essi di natura solo finanziaria (aumento dell’imposizione locale, blocco degli stanziamenti dal bilancio dello Stato, etc.);
– in particolare, il riferimento va alle scelte in termini di regolazione per promuovere i comportamenti migliori di tutti i soggetti pubblici e privati;
– anche dopo i progressi segnati con la Finanziaria-2007, gli impegni presi dallo Stato con il Programma di Stabilità nazionale e quelli concertati con le Regioni e gli Enti Locali nel Patto di Stabilità interno appaiono ancora non sufficientemente allineati;
– nello specifico, manca del tutto una fase in cui programmi di policy dei sottolivelli di governo vengano discussi e approvati, per essere coerenti con i vincoli macrofinanziari definiti dallo Stato, e per alimentare manovre annuali consequenziali;
– in questa fase, latita il ruolo della Regione come secondo livello di governo politico, che dovrebbe preventivamente coordinare gli Enti Locali sottesi, presentando poi il consolidato allo Stato (mancano, primo esempio fra tutti, un bilancio e un DPEF consolidato a livello regionale);
– le Regioni dovrebbero auspicabilmente assumersi la responsabilità del saldo del bilancio consolidato regionale;
– anche gli strumenti tecnici a servizio della governance sono sottodimensionati, dalla qualità della contabilità essenziale per le valutazioni ex-post e l’enforcing (è significativo l’esempio delle ASL), alla disponibilità di dettagliate statistiche economico-sociali territoriali, al benchmarking, all’informazione ai cittadini.
Su queste basi, il Ddl interpretativo dell’articolo 119 della Costituzione – in fase di esame parlamentare – non sembra poter imprime cambiamenti significativi. Il riferimento ai costi standard per impostare la fiscalità federalista rischia di rimanere inapplicabile, così come si sono dimostrate le standardizzazioni del Decreto Legislativo n. 56/00 (di fatto sempre sostanzialmente derogato), che per primo ha tentato (ante riforma della Costituzione del 2001) il disegno delle fiscalità federalista.
Sembra necessario un cambiamento di approccio: non l’indicazione di standard (costi & quantità ammissibili) cui le Regioni e gli Enti Locali devono attenersi e sui quali parametrare i flussi finanziari, ma un nuovo modus governandi centrato sul coordinamento delle scelte all’interno dei vincoli di bilancio, con policy guideline che devono poter avere anche contenuto cogente. Un sistema molto più vicino a quello che i Partner stanno costruendo per coordinare le finanze pubbliche in Europa che a quello del Patto interno così come attualmente impostato. Un esempio cui guardare potrebbe essere quello della Spagna che, non senza difficoltà e snodi irrisolti, ha comunque scelto una via al federalismo che tenta di coniugare autonomia e ricomposizione delle diversità nella cornice nazionale.
Per altro verso, il Ddl appare, invece, segnare una svolta, laddove, agli articoli 2 e 3, prevede: la necessità di adottare regole contabili e di bilancio di tutta la Pubblica Amministrazione standardizzate e coerenti con i criteri rilevanti ai fini del Patto UE; la necessità di una legge di coordinamento della fiscalità federalista che venga prima discussa tra Stato, Regioni e Enti Locali e poi inclusa nella legge finanziaria; il compito delle Regioni di coordinare gli Enti Locali sottesi ai fini del rispetto dei saldi programmatici; la rivalutazione del DPEF come documento di programmazione con valenza sostanziale, in cui far rientrare i programmi delle Regioni resi coerenti con i vincoli macrofinanziari nazionali. Si tratta, ora, di condurre alle logiche conseguenze questi presupposti.
Il modello FarmaRegio, che si presenta nella seconda parte del Rapporto, vorrebbe essere un esempio di quella strumentazione tecnica a supporto dell’interazione tra livelli di governo, sia per fare benchmarking e per individuare su quali correttivi sensibilizzare i policy maker regionali, sia per valutare l’impatto delle misure di regolazione e promuoverne le potenzialità. E se si sposa la prospettiva del rinnovo delle Istituzioni e degli strumenti, la relazione funzionale media che emerge come risultato di FarmaRegio potrebbe essere letta come una concretizzazione, per il LEA farmaceutico, dello standard del Ddl interpretativo del 119. I risultati del modello dimostrano:
– l’importanza delle politiche pro concorrenziali e della diffusione dell’informazione, di competenza dello Stato ma che certamente beneficiano della leale cooperazione delle Regioni e degli Enti Locali;
– l’importanza dello stretto coordinamento tra livelli di governo nell’applicazione degli strumenti di regolazione dei mercati (copayment e reference pricing), che altrimenti rischiano di provocare anche effetti opposti a quelli sperati (come flussi redistributivi non rispondenti ad una logica economico-sociale);
– l’opportunità di ripensare l’abbandono totale dei vincoli di destinazione delle risorse che, nella fase di avvio del federalismo in un Paese che necessità di cospicui flussi perequativi per rimanere coeso, possono rappresentare uno strumento migliore di tanti altri (commissariamento, penalizzazioni finanziarie, etc.) per combinare redistribuzione territoriale e realizzazione dei LEA.