il difficile percorso verso il riassetto dei servizi pubblici locali

Alcuni mesi fa (cfr. Editoriale n. 23/2006 su www.cermlab.it/) CERM aveva espresso un giudizio elogiativo sul Disegno di Legge Delega per la riforma dei servizi pubblici locali, il Ddl “Lanzillotta”. L’iter del Ddl è poi risultato travagliato sino a rendere necessario, nei giorni scorsi, un accordo politico all’interno della maggioranza per una sua riscrittura e un più agevole passaggio parlamentare.
Non è ancora pronta la nuova bozza da presentare all’esame parlamentare ma, stando alle informazioni rese disponibili dal Dipartimento Affari Regionali e Autonomie Locali [1], l’accordo prevede che, accanto all’affidamento della gestione tramite asta aperta a società di capitali private, miste e pubbliche, sia possibile per gli Enti Locali la gestione diretta tramite “i proprio uffici o con le aziende speciali che altro non sono se non un’articolazione amministrativa [degli stessi Enti Locali][2].
Che valutazione è possibile dare dell’accordo e della nuova versione del disegno di legge che probabilmente ne scaturirà?. Per rispondere, è utile ripercorrere a grandi linee l’evoluzione recente della normativa, chiedendosi a quali cambiamenti aspirava la versione originaria del “Lanzillotta” e quali è in grado di generarne dopo l’accordo. Ne deriva che, a dispetto della logica evolutiva della normativa che è possibile ricostruire anche attraversando Governi di diverso “colore”, l’accordo contiene delle contraddizioni e appare un passo indietro rispetto alla versione originaria.

Il Testo Unico degli Enti Locali del 2000

Il Testo Unico sugli Enti Locali adottato con il Decreto Legislativo n. 267 del 2000 (anche TU-2000) rappresenta la prima sistematizzazione normativa [3]. Oltre a definire il servizio pubblico locale (art. 112), sono individuate le modalità di gestione (art. 113):

  1. in economia, utilizzando le risorse dell’Ente Locale senza individuarne una parte formalmente ed espressamente dedicata alla gestione del servizio;
  2. in concessione a terzi;
  3. per il tramite di una azienda speciale, “anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica e imprenditoriale”;
  4. a mezzo di istituzione, “per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale”;
  5. a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale;
  6. a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria.

Le soluzioni gestionali di cui ai punti 1., 3. e 4. corrispondono a quella anche chiamata modalità “in house[4].
Di fronte a un’ampia varietà organizzativa, si sottolineano alcuni aspetti di rilevo:
–          non si specifica l’obbligo di asta né per la concessione a terzi (punto 2.), né per la selezione della partnership privata nella società a prevalenza pubblica (punto 5.), né per la selezione della società senza vincolo di prevalenza pubblica (punto 6.) [5];
–          compare per la prima volta l’azienda speciale, che raccoglie l’”eredità” delle cosiddette “municipalizzate” introdotte dal Governo Giolitti nel 1903 (Legge n. 103) [6].

In particolare, la definizione che il TU-2000 prevede per l’azienda speciale (art. 114) appare come una specificazione di quella fornita illo tempore fornita per la municipalizzata: “[…] È ente strumentale dell’Ente Locale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto. […] Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell’Ente Locale. […] L’Ente Locale conferisce il capitale di dotazione, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali. […]”. Un rapporto organico di diretta e sostanziale dipendenza dell’azienda speciale dall’Ente Locale, che configura una fattispecie molto simile a quella dell’Ente Pubblico Economico [7] e che naturaliter si colloca nell’ambito normativo del diritto pubblico e del diritto amministrativo.

Le modifiche al Testo Unico degli Enti Locali

Dal 2000 ad oggi sono intervenute numerose modifiche al TU-2000 [8]. L’articolo 113, dedicato ai servizi pubblici locali di rilevanza economica [9], prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga:

  1. con riferimento alle reti, agli impianti e alle altre dotazioni patrimoniali strumentali [10] (quando la loro gestione non è accorpata all’erogazione del servizio):

–          tramite società di capitali all’uopo costituite a totale proprietà pubblica, purché ricorrano le due condizioni che l’Ente Locale abbia sulle società lo stesso controllo che esercita sui suoi uffici (”controllo analogo”), e che lo stesso Ente sia la principale controparte dei beni e servizi prodotti dalle società;
–          tramite “imprese idonee” da selezionare mediante procedure ad evidenza pubblica;
2.       con riferimento all’erogazione vera e propria dei servizi:
–          tramite società di capitali “individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”;
–          tramite “società a capitale misto pubblico-privato”, con la partnership privata scelta “attraverso l’espletamento  di gare con procedure ad evidenza pubblica”;
–          tramite “società a capitale interamente pubblico”, purché ricorrano le due condizioni citate alla prima alinea del precedente punto 1. (“controllo analogo” e principale controparte).

Le soluzioni gestionali di cui alla prima alinea del  punto 1. e alla seconda e terza alinea del punto 2. rappresentano casi di affidamento diretto, senza gara [11].

Alcune osservazioni:
–          in primo luogo, scompare dalle modalità organizzative quella dell’azienda speciale, che rimane possibile (articoli 113-bis e 114) solo per la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica;
–          scompare anche la possibilità di gestione in economia, perché si avverte l’esigenza di non demandare in senso generico alle risorse capitali e umane a disposizione dell’Ente Locale, ma di prevedere una maggior strutturazione per meglio verificare efficienza/efficacia e attribuire le responsabilità dei risultati;
–          emerge, poi, una evidente scelta del Legislatore verso l’adozione del modello della società di capitali per la gestione dei servizi di rilevanza economica;
–          rimane a discrezione dell’Ente Locale la scelta tra l’”in house” senza obbligo di bandire gare (prima alinea del punto 1. e terza alinea del punto 2.), e il coinvolgimento del privato tramite gara ad evidenza pubblica (seconda alinea del punto 1. e prima e seconda alinea del punto 2.);
–          proprio per la totale discrezionalità attribuita all’Ente Locale, l’affidamento del servizio a mezzo gara rimane una modalità residuale o comunque di secondo piano.

Rispetto al TU-2000, sono due le innovazioni principali:

  1. Si continua a permettere che l’Ente Locale si occupi direttamente della gestione, ma ciò deve avvenire attraverso la costituzione di una società di capitali [12], assoggettata al diritto privato/commerciale e non a quello pubblico-amministrativo (come per le aziende speciali). Il Legislatore compie la scelta di far riferimento, da un lato, alla persona giuridica sorta (“per definizione”) per impegnarsi nell’organizzazione di attività economiche complesse e, dall’altro, al corpo normativo che si è sviluppato, tra le altre finalità, proprio per regolare lo svolgimento dell’attività economica tra operatori sul mercato. Così facendo, il Legislatore non solo crea le basi giuridiche per porre sullo stesso piano il pubblico e il privato ai fini della selezione del “miglior” gestore, ma razionalizza l‘applicazione delle sfere del diritto, rimuovendo un improprio ricorso al diritto pubblico e al diritto amministrativo nella fase operativa della produzione di beni e servizi [13].
  2. Qualora l’Ente Locale opti per il coinvolgimento del privato, la selezione della partnership deve sempre avvenire attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica [14].


Il Ddl “Lanzillotta” nella versione originaria

Rispetto all’attuale Testo Unico degli Enti Locali, la versione originaria del Ddl “Lanzillotta” [15] si pone lungo un sentiero di proseguimento logico della separazione tra scelte politiche e responsabilità operative-gestionali, della equiparazione del pubblico e del privato ai fini della selezione del “miglior” gestore, dell’apertura al mercato come mezzo per “favorire la massima razionalizzazione ed economicità”.
L’articolo 2 del Ddl originario (“Delega per la riforma dei servizi pubblici locali”) prevede infatti che, con le opportune modifiche dell’articolo 113 del Testo Unico:
–          la modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica debba essere quella della procedura competitiva ad evidenza pubblica, aperta tanto a concorrenti pubblici quanto a privati su base paritaria [16];
–          l’affidamento diretto (senza gara) a società a capitale interamente pubblico (“in house”) debba assumere carattere eccezionale;
–          carattere eccezionale debba avere anche l’affidamento diretto a società a capitale misto pubblico-privato, anche quando la partnership privata venga scelta tramite gara.

Sono chiare le intenzioni del Ddl originario: (a) fare della gara la modalità generale di selezione del “miglior” gestore nell’interesse dei cittadini che utilizzano i servizi e li finanziano con imposte dirette ed indirette; (b) permettere delle eccezioni di affidamento diretto, purché l’Ente Locale ne motivi adeguatamente le ragioni, sottoponendole alle Autorità nazionali di regolazione dei servizi di pubblica utilità e, ove non costituite, all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (art. 2, comma 1, lettera d)).
L’intenzione è rafforzata dalla richiesta che l’Ente Locale debba “[…] adottare e pubblicare, secondo modalità idonee, il programma volto al superamento, entro un arco temporale definito, della situazione che osta al ricorso a procedure ad evidenza pubblica, comunicando periodicamente i risultati raggiunti a tal fine”. È rafforzata, altresì, dalla richiesta che la gestione in esclusiva (i.e. con creazione di monopolio legale e selezione di un solo gestore) sia limitata ai casi in cui tale scelta sia l’unica compatibile con le caratteristiche del servizio (accesso universale, continuità, etc.) e/o generi effetti postivi diretti sui costi e sulla qualità, mentre, laddove possibile, l’offerta venga liberalizzata.
Da ultimo, il Ddl originario conferma l’esclusione dal novero delle modalità gestionali della gestione in economia. Se devono divenire eccezionali gli affidamenti diretti a società a capitale interamente pubblico o misto, allora a maggior ragione va superato un modello (la gestione in economia) che, a fronte della complessità e della rilevanza della materia, è il meno strutturato di tutti, e pone l’organizzazione dei servizi pubblici locali in possibile “confusione” con le altre attività dell’Ente Locale (complicando la valutazione di efficienza/efficacia e l’attribuzione delle responsabilità) [17].

L’accordo per la modifica del Ddl “Lanzillotta”

Il recente accordo del Ddl “Lanzillotta” prevede delle modifiche alla versione originaria che ne riducono la portata “innovativa”. In particolare, si attenua in modo significativo il principio secondo cui la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica dovrebbe realizzarsi secondo le regole del mercato, selezionando l’operatore “migliore” nell’erogare prestazioni con i più elevati standard qualitativi nel rispetto dell’equilibrio economico-finanziario.

La gara, infatti, non è più la modalità normale di affidamento, ma è reintrodotta la possibilità (a discrezione dell’Ente Locale) di gestione diretta in economia (“tramite gli uffici degli Enti Locali[18]) e tramite le aziende speciali (“articolazione amministrativa dell’Ente Locale[18]). Due modalità, come si è detto, superate: la prima perché non adeguatamente strutturata di fronte alle complessità operative e alle esigenze di verifica e responsabilizzazione individuale; la seconda perché comporta la creazione di persone giuridiche assoggettate al diritto pubblico e al diritto amministrativo (“il regime pubblicistico[18]), e non al diritto privato/commerciale.

Le due sfere del diritto pubblico e amministrativo sono deputate a regolare il funzionamento dello Stato e della Pubblica Amministrazione in tutte le loro articolazioni, ivi incluso il processo di maturazione delle scelte politiche/pubbliche. Estendere tout court l’applicazione delle due sfere alla gestione operativa dei servizi pubblici a rilevanza economica significa assoggettare l’attività economica ad una normazione impropria, con la possibilità di vari effetti distorsivi derivanti dalla sovrapposizione del decisore politico e del gestore, del valutatore e del valutato.

È proprio in questo aspetto che l’evoluzione normativa aveva fatto registrare (sino alla versione originaria del Ddl) i risultati più importanti: (a) a partire dalla scelta politica/pubblica (maturata nelle sedi opportune e secondo le modalità di formazione sue proprie), la realizzazione deve essere assegnata all’operatore “migliore”, indipendentemente se pubblico o privato, selezionato attraverso gara e successivamente valutato nelle performance (in accordo ai parametri specificati nel contratto di gestione); (b) inoltre, affinché la comparazione tra gli operatori possa essere uniforme sia ai fini della selezione che della successiva valutazione, tutti devono essere assoggettai alle medesime regole che non possono non essere quelle individuate per lo svolgimento dell’attività economica in generale, ovvero il diritto privato/commerciale.

Le modifiche del Ddl “Lanzillotta” si muovono in direzione opposta, e le ragioni addotte, sotto le forti pressioni politiche, sono emblematiche della debolezza dello stesso accordo [19]:
–          Si sostiene che la nuova versione fa ordine nelle modalità di gestione, perché le riconduce a due sole fattispecie, o quella pubblica (“in house”) in economia e tramite aziende speciali, o quella di mercato tramite gara rivolta a società di capitali sia pubbliche che private che miste.
–          In questo modo, si sostiene, “è chiara e incontrovertibile la distinzione tra gestione pubblica e mercato”, e si superano le contraddizioni degli affidamenti diretti a società miste che quella distinzione offuscavano.
–          Inoltre, se nella soluzione di mercato la scelta del gestore migliore è assicurata dal meccanismo di gara, nella soluzione pubblica la garanzia del risultato risiede nelle “regole stringenti e trasparenti del regime pubblicistico”, dall’assoggettamento al Patto Interno di Stabilità, ai concorsi per le assunzioni, al rispetto della normativa sugli appalti, al vincolo di interazione soltanto con l’Ente Locale di riferimento, etc..

La debolezza risiede nel fatto che l’accordo “resuscita” una netta contrapposizione tra gestione pubblica e mercato, tra approccio amministrativo e approccio imprenditoriale (“Se invece si sceglierà di operare secondo una logica imprenditoriale …[18]), che ormai appare infondata e “ideologica”. Il mercato e la logica imprenditoriale sono strumenti a disposizione per ottimizzare l’uso di risorse scarse e il funzionamento dei servizi pubblici locali, e la versione originaria del Ddl aveva raggiunto un equilibrio encomiabile, giustamente permettendo anche a società pubbliche di concorrere all’affidamento, in modo tale da valorizzare tutte quelle realtà locali in cui storicamente l’impegno diretto del pubblico ha realizzato risultati postivi e creato le condizioni economiche, sociali, “culturali” per riproporli anche in futuro.

Adesso, l’accordo permette a tutti gli Enti Locali, senza vaglio di procedura concorsuale che ne testi la capacità e l’efficienza/efficacia, di adottare, a loro insindacabile discrezione, la modalità “in house”. Le pressioni politiche che si sono sollevate all’indomani del Ddl costringono a ricercare giustificazioni che appaiono presto inconsistenti: le problematicità attribuite alle società miste affidatarie dirette [19] continuano a sussistere nell’“in house” tramite gestione in economia e aziende speciali: “moltiplicazione delle società pubbliche, qualità di servizi privi di verifica, fenomeni distorsivi della concorrenza, moltiplicazione dei costi della politica connessi ai consigli di amministrazione e alle assunzioni”. Anzi, è possibile che questi effetti negativi si presentino in maniera ancor più pronunciata: infatti, se la procedura concorsuale per la selezione della partnership privata delle società miste può rappresentare una fase di trasparenza e vaglio (per esempio, la qualità e il numero dei concorrenti che si presentano sono un indice del valore della partnership; se selezionato con gara aperta, il socio privato, nel suo stesso interesse, vigilerà sul rispetto di principi di efficienza/efficacia di gestione; etc.), quando l’Ente Locale gestisce tutto internamente o con aziende equiparabili a strutture interne viene a mancare sia il confronto iniziale con gli altri possibili gestori necessario a fissare il benchmark di efficienza/efficacia, sia la successiva separazione tra controllore e controllato indispensabile a rendere vincolanti gli impegni contrattuali e, nel caso, ad attivare le clausole di tutela e salvaguardia.

A questo proposito, appare conseguenza delle forti pressioni politiche anche supporre che la sola applicazione del “regime pubblicistico” e delle regole del Patto Interno di Stabilità possa sostituire la responsabilizzazione individuale e gli incentivi all’efficienza/efficacia che deriverebbero da procedure concorsuali e dalla selezione di società distinte e autonome, assoggettate al diritto privato/commerciale, con performance univocamente riconducibili alle scelte della sua dirigenza.
Il regime pubblicistico e le regole del Patto Interno di Stabilità rappresentano già da anni l’inquadramento normativo entro cui Regioni, Enti Locali e loro articolazioni devono operare. Se sinora la “specialità” del regime pubblicistico e, soprattutto, i vincoli del Patto (tetti di spesa, proporzioni tra voci di bilancio, blocchi delle assunzioni, penalità agli Enti inadempienti) non sono stati sufficienti a creare dovunque adeguati stimoli all’efficienza/efficacia di governo/gestione [20], è perché non basta l’affermazione formale del principio positivo, senza che questo sia supportato dalla valutabilità delle azioni, dall’applicabilità delle sanzioni e dalla sostituibilità degli operatori.

Se si ritiene che l’assoggettamento al regime pubblicistico sia di per sé “garanzia” di gestione efficiente/efficace, senza interrogarsi sulle concrete modalità operative degli Enti Locali (chi fa che cosa? come è valutato? in che termini risponde dei risultati? è reattivo ai benchmark?), si parte da un presupposto aprioristico di non falsificabilità e infallibilità del pubblico che, oltre che una estremizzazione politica, rende impossibile la corretta gestione delle risorse nell’interesse della collettività [21].

Conclusioni e una lettura cum granu salis della Corte di Giustizia Europea

In conclusione, la versione rivista del Ddl “Lanzillotta” che nei prossimi giorni approderà in Parlamento appare evidentemente come il risultato di pressioni politiche che ne hanno snaturato l’impianto originario. È scomparsa del tutto la possibilità di affidi diretti a società miste pubblico-privato (a carattere di eccezionalità nella prima versione), ma a costo di permettere, a totale discrezione dell’Ente Locale, gestioni “in house”  in economia o tramite aziende speciali. La procedura concorrenziale ad evidenza pubblica non è più l’iter normale di assegnazione della gestione, mentre proprio questo rappresentava il progresso di maggior pregio tentato dalla versione originaria.

La nuova bozza farebbe compiere un regresso normativo a prima dell’avvento del Testo Unico sugli Enti Locali, quando la gestione in economia e tramite le aziende speciali era ancora possibile, ripristinando quella confusione tra controllore e controllato, tra momento della scelta politica e momento della gestione operativa che è la causa prima di distorsioni e degenerazioni nei comportamenti sia di politici che di amministratori.

Prescindendo da motivazioni riconducibili alla difesa di interessi economici costituiti e di fenomeni di lobbying interne agli Enti Locali, le modifiche al Ddl sembrano rispondere al convincimento che il perseguimento di finalità pubbliche e dell’interesse della collettività possa realizzarsi soltanto se il decisore politico (quali servizi attivare, come finanziarli, come graduare eventuali compartecipazioni, etc.) è tutt’uno con il gestore (fornitura del servizio). Al contrario, la scelta politica avrebbe maggiori possibilità di affermarsi se si “legasse le mani”, selezionando apertamente il “miglior” operatore cui affidare la sua concretizzazione.

Alla luce delle argomentazioni esposte, ci si augura che il vaglio parlamentare conduca ad un ripensamento sulle modifiche del Ddl e a una sua riproposizione nei termini originari, evitando che la diffusione delle gestioni in economia e, soprattutto, il nascere di aziende speciali (persone giuridiche di diritto pubblico assimilabili agli Enti Pubblici Economici [22]) con annessa struttura e dotazione patrimoniale complichi ancor di più il già difficile percorso verso la razionalizzazione dei servizi pubblici locali.

A tale scopo, si invita il Legislatore italiano anche ad una interpretazione cum granu salis della Sentenza della Corte di Giustizia Europea “Teckal Srl vs. Comune di Aviano” (C107-1998), secondo la quale, se l’Ente Locale  (o più in generale la Pubblica Amministrazione) esercita sull’operatore aggiudicatario della gestione di servizio pubblico un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri uffici e se l’operatore aggiudicatario  realizza la parte più importante della propria attività con l’Ente Locale che lo controlla, allora non si applica la Direttiva Comunitaria 93/36/CE sul “Coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture”.

Tale sentenza, combinata con la successiva “Stadt Halle” (C26-2003), è invocata a legittimazione dell’affidamento diretto tramite gestione in economia o aziende speciali, e corrispondentemente a delegittimazione dell’affidamento diretto tramite società miste pubblico-privato (per le quali trova un indebolimento il requisito di “controllo analogo”), senza però una sufficiente contestualizzazione.

La Corte afferma che, quando gli Enti Locali (la Pubblica Amministrazione) operano attraverso loro uffici o Enti equiparati nella forma e nella sostanza ai loro uffici, allora non sono coinvolte le regole della concorrenza, perché ab origine non si pone il problema del reperimento di risorse economiche esterne disponibili sul mercato. La sentenza è del tutto condivisibile nella facoltà che apre/conferma per gli Enti Locali (e la Pubblica Amministrazione) di valorizzare appieno le loro strutture (dotazioni patrimoniali e umane), senza l’obbligo di dover indire ogni volta una gara ad evidenza pubblica, anche quando i beni e i servizi da procurare sono facilmente, più velocemente, altrettanto efficientemente/efficacemente producibili all’interno. Tuttavia, questa facoltà (e la sentenza stessa), non può essere tout court per affermare l’insindacabilità delle scelte degli Enti Locali (e della Pubblica Amministrazione) su che cosa produrre “in house” e che cosa affidare in produzione all’esterno tramite gara ad evidenza pubblica.

Sarebbe, probabilmente, più corretto interpretare la sentenza della Corte di Giustizia Europea come il riferimento giuridico in virtù del quale rendere possibile la produzione/gestione “in house”, ma solo dopo aver compiuto la scelta di che cosa può avvenire “in house” e di che cosa, invece, deve avvenire previa espletamento di gara per la selezione del “miglior” operatore. Per tutte le ragioni sintetizzate, tale scelta non può essere demandata alla totale discrezione dell’Ente Locale (della Pubblica Amministrazione). Per servizi pubblici di rilevanza economica, è necessario invece definire dei criteri e dei parametri di natura economica:
–          qual è l’impatto sulla concorrenza?,
–          qual è impegno finanziario?,
–          l’Ente Locale diverrebbe acquirente dei servizi perché questi stessi sono strumentali  al suo funzionamento (all’operatività dei suoi uffici)? …
–          … o piuttosto l’Ente Locale è portatore della scelta politica di attivare i servizi, che poi si rivolgono ai singoli cittadini, che sono coloro che realmente ne esprimono la domanda?,
–          e quando il finanziamento dei servizi avviene tramite tasse specifiche, allora non diviene ancora più evidente che la controparte del gestore non è l’Ente Locale (seconda condizione richiesta dalla Corte di Giustizia Europea), ma i cittadini fruitori? [23].

Le risposte a queste domande lasciano intendere l’importanza che la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica venga assegnata tramite gara ad evidenza pubblica, selezionando l’operatore “migliore”, indipendentemente se pubblico o privato, e sulla base di regole uniformi.

NOTE
[1] Cfr. http://www.affariregionali.it/News/SchedaNews.aspx?idNews=102&smartPublishID=551ed89c-4f22-4a3a-b04e-e1ee39bde5c6.
[2] Cfr.Nessuna compromesso: il mercato ha vinto”, articolo a firma del Ministro Linda Lanzillotta sul Corriere della Sera del 20 Maggio 2007 (disponibile anche su www.affariregionali.it).
[3] In precedenza, le Legge n. 142 del 1990 aveva, all’interno della riforma generale dell’amministrazione locale, introdotto alcune norme sui servizi pubblici locali e sulle loro tipologie organizzative. Cfr. Ammannati – Di Porto, “I servizi pubblici locali in Italia: quale regolazione?”, su www.amministrazioneincammino.it.[4] Cfr. http://www.dirittodeiservizipubblici.it/articoli/articolo.asp?sezione=dettarticolo&id=87 e altri contributi su www.dirittodeiservizipubblici.it .
[5] Solo per il caso di società con partecipazione pubblica minoritaria l’articolo 116 il ricorso a procedure di evidenza pubblica, senza tuttavia specificare la necessità di bandire una gara (un’asta).
[6] Allora la finalità era quella di rimuovere le situazioni di monopolio privato che si erano formate, favorendo il diretto impegno degli Enti Locali nella gestione e nella produzione di beni e servizi.
[7] Persona giuridica di diritto pubblico attiva nella produzione di beni e servizi.
[8] Legge n. 448 del 2001, Decreto legge n. 50 del 2003, Decreto legge n. 80 del 2004, Decreto Legge n. 44 del 2005, Decreto Legge n. 203 del 2005, Decreto legislativo n. 152 del 2006.
[9] La distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi che ne sono privi è stata chiarita solo di recente dal giudice amministrativo (sentenza del TAR Sardegna, sez. I, 2/8/2005 n. 1729, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 30/8/2006 n. 5072), nonché dalla Commissione Europea (COM(2006)177 del 26 Aprile 2006).  Cfr. Ammannati – Di Porto pagina 13 (cit.).
[10] Nella generalità die casi configuranti situazioni di monopolio naturale.
[11] Cfr. Ammannati – Di Porto (cit.), anche per considerazioni sulla problematicità che l’affidamento diretto fa sorgere soprattutto quando riferito a società miste pubblico-privato.
[12] In realtà, a proposito della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, l’articolo 113 fa riferimento ad imprese private idonee, senza specificare se società di capitali. Inoltre, a proposito dell’erogazione vera e propria dei servizi, mentre per l’affidamento a privati si specifica che questi debbono avere natura di società di capitali, negli altri casi il riferimento è a società a capitale misto pubblico-privato o capitale interamente pubblico. Tuttavia, sia in un caso che nell’altro, la modalità organizzativa non può non essere quella della società di capitali, considerato che è quella cui l’Ente Locale deve ricorrere per l’affidamento diretto delle gestione di reti, impianti e dotazioni patrimoniali (art. 11, comma 4, lettera a)), e che la natura, la complessità e l’impegno finanziario dell’attività non rendono ipotizzabile società di persone.
[13] Distinta e successiva alla fase di scelta politica sui beni e servizi pubblici da produrre e sulla loro modalità di finanziamento.
[14] Si sottolinea, ad ogni modo, la differenza delle espressioni scelte dal Legislatore: a proposito della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, si richiede l’adozione di procedure ad evidenza pubblica; nel caso dell’erogazione vera e propria dei servizi, la richiesta è più esplicita e riguarda l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica.
[15] Cfr. Pammolli-Bonassi (2006), “La riforma dei servizi pubblici locali”, Editoriale n. 23-2006 su www.cermlab.it/wpnew .
[16] Eventualmente anche società miste (anche se non è specificato), purché accettino la prova della selezione concorsuale, “nel rispetto della disciplina dell’Unione Europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, e fatta salva la proprietà pubblica delle reti e degli altri beni pubblici strumentali all’esercizio, nonché la gestione pubblica delle risorse e dei servizi idrici”. C’è da dire che, affinché la base sia effettivamente paritetica per il pubblico e per il privato, andrebbe risolto il problema di invidiare un’Autorità terza indipendente per l’espletamento delle gare e la valutazione degli standard di gestione. Un problema che anche la versione originaria del Ddl non affronta.
[17] Mutatis mutandis, la ragione è la medesima per cui lo stesso Legislatore ha ritenuto inadeguate le società di persone ad impegnarsi nella gestione dei servizi pubblici locali.
[18] Cfr.Nessuna compromesso: il mercato ha vinto”, articolo a firma del Ministro Linda Lanzillotta sul Corriere della Sera del 20 Maggio 2007.
[19] Oltre al già citato articolo a firma del Ministro Linda Lanzillotta, cfr.Servizi locali: l’intesa tiene”, articolo a firma di Giorgio Santilli su Il Sole 24 Ore (disponibile anche su www.affariregionali.it).
[20] Cfr. Pammolli-Salerno (2006), “I conti pubblici italiani e la ‘deriva’ federalista” e “Un patto ‘a spaccare’”, editoriali disponibili su www.cermlab.it/wpnew.
[21] L’andamento degli ultimi anni della spesa sanitaria e farmaceutica porta un esempio di come la sola fissazione di regole di condotta risulti impotente senza un adeguato enforcement “microfondato” nei comportamenti dei singoli (privati cittadini o ricoprenti pro-tempore cariche pubbliche). Cfr. Pammolli-Salerno (2006), “Il sistema farmaceutico alla ricerca di regole ‘intelligenti’”, Nota CERM n. 6-06.
[22] Cfr. Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 4.586 del 3 Settembre 2001: “L’azienda speciale ha natura di Ente Pubblico Economico, strumentale, con autonomia imprenditoriale e, come per tutti gli enti economici, con copertura dei costi corrispondenti alla remunerazione dei fattori della produzione impiegati. L’azienda speciale è istituzionalmente dipendente dall’Ente locale ed è con esso legata da stretti vincoli – relativi alla formazione degli organi, agli indirizzi, ai controlli e alla vigilanza – al punto da costituire elemento del sistema amministrativo facente capo all’Ente Territoriale. La personalità giuridica non trasforma l’azienda speciale in un soggetto privato, ma la configura solo come un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dal Comune e con una propria autonomia decisionale”. Cfr. anche Balli (1999), http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=355): “L’azienda municipalizzata costituisce una delle forme organizzative mediante cui la pubblica amministrazione svolge attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi. Le altre sono l’ente pubblico economico e la partecipazione a società di capitali. Mentre in quest’ultimo caso il soggetto pubblico svolge l’attività imprenditoriale nella stessa veste del privato, nelle altre forme organizzative il fenomeno è quello di un soggetto che, pur svolgendo attività imprenditoriale, mantiene la sua natura pubblica”.
[23] Cfr. l’articolo 117 del Testo Unico degli Enti Locali, “Tariffe dei servizi”.