come correggere le pensioni e le quote di pensioni retributive, accelerando la fase di transizione
– a 65 anni di età per gli uomini e 60 per le donne [2];
– a 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età;
– a 60 anni di età (61 per gli autonomi) e 35 di contributi [3].
L’obiettivo è quello di migliorare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, prolungando ex-lege le carriere lavorative. Questa scelta presenta numerosi punti deboli e in prospettiva complica la riorganizzazione del welfare system. I prolungamenti forzosi:
– restringono le scelte individuali e ostacolano il ricambio fisiologico delle forze di lavoro;
– deprimono la produttività [4];
– non colgono la complessità dell’agenda, che richiede nel contempo l’adeguatezza dei tassi di sostituzione ma anche la riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica pubblica sul PIL per rafforzare le altre componenti del sistema sociale;
– necessitano di soluzioni ad hoc per particolari tipologie di lavoratori e gruppi sociali.
Le pensioni e le quote di pensione contributive
Con riferimento alle pensioni e alle quote di pensione contributive, la soluzione tecnica per evitare lo “scalone”, ancorché contrastata sul piano politico, è immediata:
– flessibilità del pensionamento a partire dai 57 anni (anche senza vincoli di anzianità);
– coefficienti di trasformazione aggiornati annualmente in maniera automatica;
– estensione dei coefficienti oltre i 65 anni di età (per chi prolunga oltre questa soglia, oggi il coefficiente rimane quello del 65-esimo anno [5]).
Queste scelte rafforzerebbero la trasparenza e la neutralità finanziario-attuariale del criterio di calcolo contributivo: a carriere più lunghe/corte corrisponderebbero assegni di importo maggiore/minore [6].
Le pensioni e le quote di pensione retributive
Altrettanto contrastata politicamente, ma anche meno immediata sul piano tecnico è l’ipotesi di sostituzione dello “scalone” per le pensioni e le quote di pensione retributive. Con il prolungamento forzato, il lavoratore deve rinunciare a delle annualità e continuare a pagare contributi pensionistici, senza che l’importo della pensione cui avrà poi accesso aumenti sufficientemente per compensare [7]. È da questo effetto, che si aggiunge a quelli già citati, che ci si attende i risparmi di spesa pubblica.
Ma se così è, flessibilità nel pensionamento dopo i 57 anni (anche senza vincoli di anzianità) e correzione dell’importo delle pensioni a seconda di età/anzianità si prospettano come un miglioramento paretiano rispetto allo “scalone” [8]. Per questa soluzione, che non è nuova (cfr. Boeri-Brugiavini cit. e Fornero [9]), si propone qui una possibile modalità applicativa:
1) la formula di calcolo rimane quella retributiva;
2) indipendentemente dall’età effettiva del titolare, la pensione è virtualmente riferita ad un’età “canonica” pari al minor valore tra l’età X (prescelta “soglia anagrafica qualificante”; es.: 62) e l’età effettiva aumentata degli anni di contribuzione mancanti per la anzianità Y (prescelta “soglia di anzianità qualificante”; es.: 40) [10];
3) per il calcolo della pensione corretta, si instaura equivalenza finanziario-attuariale tra:
– la somma delle rate cui il titolare avrebbe diritto se la sua età fosse quella “canonica”,
– e la somma delle rate che mediamente gli saranno riconosciute tenuto conto della sua età effettiva [11];
4) l’equivalenza finanziario-attuariale è instaurata utilizzando:
– le stesse tavole di mortalità/sopravvivenza del criterio di calcolo contributivo;
– lo stesso tasso di interesse reale (oggi l’1,5 per cento) a cui, dopo l’entrata in quiescenza, continua l’accumulazione nozionale del contributivo.
Due esemplificazioni
Si prenda il caso di un individuo di 57 anni di età e 34 di contribuzione, sotto le seguenti ipotesi: vita attesa alle varie età secondo ISTAT [12], assenza di reversibilità [13], X = 62, Y = 40. Ne deriverebbero le seguenti correzioni della prima rata [14]:
Se, a parità delle altre ipotesi, si prende il caso di un individuo di 58 anni di età e 37 di contribuzione, le correzioni diverrebbero:
Tra i vantaggi della proposta vs. lo “scalone”
Nel complesso, la proposta prospettata con riferimento, rispettivamente, alle pensioni contributive e a quelle contributive:
1) incentiva il prolungamento volontario delle carriere, ricorrendo agli stessi “principi” ispiratori della riforma del 1995, di cui rappresenterebbe il completamento;
2) considera sia età sia anzianità, ma senza passare per combinazioni lineari dei due requisiti che sarebbero più difficilmente interpretabili/spiegabili;
3) ricorre agli stessi parametri del criterio contributivo, evitando l’introduzione di ulteriori variabili/coefficienti;
4) permette di scegliere la soglia qualificante (età anagrafica / anzianità contributiva) per ottenere i risultati più idonei [16];
5) con le opportune (e non facili) riforme del comparto del lavoro pubblico, si presta ad essere estesa anche al pubblico.
Allargare l’”orizzonte” per trovare l’accordo
Il dibattito stenta a raggiungere una visione d’insieme del processo di rinnovamento del welfare system. L’orizzonte andrebbe allargato, coordinando la riforma delle pensioni con quella della fiscalità dei pilastri pensionistici privati, degli ammortizzatori contro la disoccupazione, degli istituti assistenziali (ivi inclusi quelli alle pensioni basse) e del cuneo contributivo lato impresa. Un progetto ampio dimostrerebbe che il nuovo intervento non nasconde arretramenti della rete di sicurezza sociale, ma mira a razionalizzarla e potenziarla. Sarebbe così più facile convenire sulle soluzioni tecnicamente più appropriate … e le intenzioni delle parti politiche e sindacali diverrebbero esplicite e più facilmente valutabili da tutti.
NOTE
[1] Cfr. Legge n. 243 del 23 Agosto 2004. Per scheda tecnica riassuntiva, cfr.Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:http://www.welfare.gov.it/EaChannel/MenuTematiche/RiformaPrevidenziale/Presentazione/NotaRifPrev.htm.
[2] Nel criterio di calcolo interamente contributivo esiste anche il vincolo del minimo contributivo di 5 anni.
[3] Mentre per le donne il vincolo anagrafico rimane fisso a 60, per gli uomini è previsto un innalzamento a 61 per i lavoratori dipendenti e 62 per gli autonomi a decorrere dal 2010. Qualora se ne manifestasse la necessità, dal 2014 il requisito potrebbe ancora aumentare rispettivamente a 62 e 63.
[4] È una delle ragioni per cui non è pensabile estendere questo tipo di riforma al comparto pubblico, dove controlli e responsabilizzazione sono più complessi che nel privato.
[5] Sul punto cfr. Boeri-Brugiavini su www.lavoce.info in “Pensioni: 10 correttivi al posto di uno scalone” (13/072006).
[6] Il principio di “corrispettività” sottolineato da Gronchi su www.lavoce.info in “Pensioni contributive: come garantire la corrispettività” (18/01/2007).
[7] Quella che teoria economica chiama “tassa implicita sul lavoro”. Per un approfondimento, cfr. Pammolli-Salerno (2004),“Regole pensionistiche e prolungamento dell’attività: analisi del TIR e effetti del cumulo lavoro-pensione” (Quaderno CERM n. 7-04) e “Regole pensionistiche e incentivi al prolungamento della vita lavorativa: analisi del caso italiano” (Quaderno CERM n. 6-04); entrambi su www.cermlab.it/wpnew.
[8] Il miglioramento è paretiano perché, invece di obbligare il lavoratore al prolungamento della carriera, lo si lascia libero di scegliere tra il pensionamento con correzione al ribasso della pensione, e il prolungamento per attenuare la correzione al ribasso o ottenere (per carriere molto più lunghe della media corrente) una correzione al rialzo. A parità di effetto sulla spesa pensionistica pubblica, si lascia libertà al singolo.
[9] Cfr. Fornero, “Una nuova riforma?…no, meglio applicare quella già approvata”, in “AREL, Europa, Lavoro, Economia” (18/12/2006).
[10] Per coloro che entrano in quiescenza dopo aver maturato più di Y anni di contribuzione, l’età “canonica” è fissata al minor valore tra X e l’età effettiva al momento della maturazione del Y-esimo anno di contribuzione.
[11] Nella prima somma, le rate sono quelle derivanti dal calcolo della pensione secondo le regole retributive (punto 1)), considerate al valore nominale del primo anno, senza l’indicizzazione ex-post all’inflazione. Nella seconda somma, le rate sono quelle che mediamente il titolare riceverà, anche in questo caso considerate senza l’indicizzazione ex-post all’inflazione.
[12] Cfr. http://demo.istat.it/tav2003/.
[13] Per restare fedeli all’impianto della proposta, la pensione di reversibilità dovrebbe essere calcolata a partire dall’importo corretto della pensione principale, e nel caso di pensione indiretta le correzioni finanziario-attuariali non dovrebbero prevedere attenuazioni. Per poter spingere la riorganizzazione del sistema pensionistico a queste sue logiche conseguenze, urge che l’intervento venga coordinato e armonizzato con la riforma degli istituti assicurativi (extra pensioni) e assistenziali.
[14] La correzione percentuale deriva dall’equazione:
– cfr. equazione nel pdf allegato –
dove “vita attesa canonica” è la speranza di vita all’età “canonica”, “%” è l’abbattimento / aumento da calcolare e “vita attesa effettiva” è la speranza di vita all’età anagrafica a cui effettivamente si entra in quiescenza.
[15] Nell’esempio, l’approssimazione all’intero è necessaria per effettuare i calcoli in capitalizzazione annuale. Per evitare che ad età diverse corrisponda la stessa vita attesa approssimata all’intero, il calcolo può essere ripetuto su base mensile con opportuna trasformazione della pensione da annuale in mensile e del tasso di capitalizzazione annuale nell’equivalente mensile (con trasformazione sempre in capitalizzazione composta).
[16] La soglia anagrafica qualificante prescelta è quella dei 62 anni, ma l’allungamento della vita in buona salute e gli esempi internazionali suggerirebbero livelli superiori (65 anni). Cfr. OECD (2007), “Live longer, work longer”.