note a margine del DdL “Lanzillotta”
ìIl Disegno di Legge n. 772 (cosiddetto “Lanzillotta”), in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica [1], aspira a definire una normativa omogenea, trasversale alle normative settoriali, per l’assegnazione della gestione. L’ultimo tentativo in questa direzione è stato compiuto dall’articolo 14 del Decreto Legge n. 269 del 2003 [2], rispetto al quale il DdL “Lanzillotta” si differenzia per la scelta del principio di base della concorrenza regolata, che viene proposto come modalità normale di assegnazione/svolgimento del servizio.

I punti del Disegno di Legge
Il DdL si sviluppa attorno ai seguenti punti principali:
1)  la proprietà pubblica delle reti e degli altri beni strumentali all’esercizio;
2) l’obbligo, per gli Enti Locali, di ricorrere a procedure competitive ad evidenza pubblica (i.e. aste) per la scelta del gestore di tutti i servizi pubblici locali, ad esclusione del servizio idrico per il quale viene esplicitata una riserva di gestione pubblica [3];
3) la limitazione del ricorso ad affidamenti diretti e in house [4] a “specifiche e tassative fattispecie”;
4) l’impossibilità di acquisire la gestione di servizi diversi o di estendersi in ambiti territoriali diversi per soggetti già titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati sulla base di gare;
5) la limitazione dei casi in cui la gestione del servizio viene assegnata in regime di esclusiva (per favorire, lì dove possibile, la pluralità dell’offerta);
6) la possibilità, da parte dei soggetti già affidatari diretti, di concorrere fino al 31 Dicembre 2011 all’affidamento mediante procedura competitiva (cfr. infra);
7) l’introduzione di misure a tutela degli utenti: carta dei servizi, valutazione periodica per il permanere dell’affidamento, forme di vigilanza da parte delle Autorità di regolazione settoriali.
Il Disegno di Legge si prefigge un duplice obiettivo:
garantire uniformità normativa;
favorire l’introduzione di meccanismi di concorrenza regolata.
L’uniformità normativa
L’uniformità risponde, in primo luogo, alla necessità di un impianto normativo certo, volto alla condivisione tra settori e ambiti territoriali degli stessi criteri di regolazione, ispirati ai principi di efficienza/efficacia. L’uniformità si presenta come scelta necessaria per adeguare la normativa allo sviluppo delle imprese di tipo multiutility, società operanti in diversi settori di servizi di pubblica utilità e/o in diversi ambiti territoriali.
Se da un lato le multiutility possono garantire riduzioni di tariffe attraverso lo sfruttamento di economie di scala e di scopo, dall’altro una regolazione asimmetrica può favorire fenomeni di cross subsidies (sussidi incrociati), con tariffe più elevate per i servizi sui quali è possibile esercitare una qualche forma di potere di mercato, a finanziare tariffe “sottocosto” per i servizi più esposti a concorrenza.

La promozione della concorrenza
L’obbligo di ricorrere a gare ad evidenza pubblica e la limitazione ai casi di affidamento diretto e in house (punti 2) e 3)) costituiscono un’innovazione rispetto all’articolo 113 del Testo Unico degli Enti Locali (cfr. “Allegati”), che ha sinora posto sullo stesso piano le tre modalità. Il principio di concorrenza è rafforzato nel momento in cui si prevede anche la limitazione dei casi di gestione in esclusiva dei servizi (punto 5)).
A questo proposito, occorre però sottolineare che, rispetto alla versione originaria del DdL, è stata inserita una formulazione “più morbida” riguardo la limitazione degli affidamenti diretti e in house. Infatti, sotto le pressioni degli Enti Locali, il carattere eccezionale che avrebbe dovuto avere il mancato ricorso a gare è stato sostituito con la definizione (rimandata ai futuri decreti attuativi) delle fattispecie per cui rimane ammissibile l’affidamento diretto / in house. La nuova dicitura è stata giustificata con la volontà di agevolare soprattutto i piccoli Comuni, per i quali non sempre potrebbe essere economicamente conveniente passare per una gara pubblica.
L’esclusione della possibilità di acquisire la gestione di altri servizi o di estendersi in ambiti territoriali diversi per i soggetti già titolari diretti / in house (punto 4)) ha un sicuro aspetto positivo: collega lo sviluppo del business a una procedura di selezione efficiente, efficace e trasparente come l’asta. Infatti,  se operanti in un contesto non concorrenziale, le imprese multiutility hanno possibilità di costruirsi posizioni dominanti sfruttando cross subsidies, fidelizzazione della clientela e accesso privilegiato alle informazioni sulle caratteristiche di mercato.
Infine, il punto 6) accelera il processo di indizione di nuove gare da parte degli Enti Locali, se intendono permettere alle società di cui sono azionisti di concorrere al rinnovo dell’affidamento alla scadenza della loro gestione. Il meccanismo, però, non è scevro da ambiguità: da un lato promuove il ricorso alle aste, dall’altro consente la partecipazione dei soggetti a partecipazione pubblica già affidatari e quindi in possesso di probabili vantaggi da incumbent (cfr. infra).

Conclusioni
Nei suoi tratti generali [5], il DdL “Lanzillotta” non può non essere salutato con favore: promuovendo il ricorso alle aste, favorisce la selezione degli operatori migliori con effetti positivi sugli standard quantitativi/qualitativi e sui costi dei servizi.
Tuttavia, affinché l’enunciazione di questo principio positivo possa tradursi in risultati concreti, è necessario considerare più attentamente alcuni punti:
1) resta aperta la definizione delle fattispecie in cui si può derogare all’asta; un elenco troppo lungo o una eccessiva discrezionalità degli Enti Locali rischia di ridurre la portata dell’intero DdL;
2) nel caso in cui, sino al 31/12/2011, soggetti partecipati dagli Enti Locali e già affidatari dei servizi partecipino al rinnovo della gestione, potrebbe venir “falsato” il corretto svolgimento delle aste; i concorrenti uscenti, infatti, potrebbero far valere i vantaggi degli incumbent e del supporto esplicito/implicito degli Enti Locali che nel contempo li partecipano/controllano e bandiscono le gare;
3) inoltre, nel caso in cui gli incumbent partecipati dagli Enti Locali riuscissero a riaggiudicarsi la gestione, continuerebbe a presentarsi quella sovrapposizione, in capo agli Enti Locali, del ruolo di operatori di mercato (produttori dei servizi) e del ruolo di controllori di quantità/qualità dei servizi pubblici locali (Enti Locali “controllori di se stessi”);
4) per superare il potenziale conflitto di interessi, nonché garantire il corretto svolgimento delle aste, in sede di decreti attuativi dovrà trovare un adeguato seguito il comma (articolo 3, comma 1, lettera e)) in cui il DdL prevede un rafforzamento dei poteri di vigilanza delle Autorità di regolazione competenti;
5) a questo proposito, è auspicabile che i poteri di controllo delle Autorità riguardino anche la fase di espletamento delle gare, al fine di garantire un processo di selezione imparziale [6];
6) infine, una  più attenta valutazione merita l’esclusione dall’ambito di applicazione del DdL dei servizi idrici; la loro complessità tecnica e politico-sociale potrebbe non necessariamente richiedere la totale ripubblicizzazione della gestione, rispetto al quadro normativo corrente (Legge “Galli”).
Ci si augura che i suddetti punti possano trovare risposte adeguate prima della trasformazione in Legge, in modo tale da fornire un indirizzo chiaro e preciso ai decreti di attuazione.
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 [1] Il Libro Verde sui servizi di interesse generale (Comm(2003)270) offre i servizi di interesse generale e i servizi pubblici di natura economica; cfr. “Allegati”.
[2] Il Decreto Legislativo n. 269/03 è stato successivamente convertito in Legge n. 326/03 e recepito nel Testo Unico degli Enti Locali (articolo 113).
[3] Sull’acqua, il DdL si pone in discontinuità con la vigente Legge n. 36 del 1994 (la cosiddetta “Galli”) che, nella riorganizzazione del servizio attorno alla definizione di ambito territoriale ottimale  (l’”ATO”, il più possibile corrispondente ai confini del bacino idrografico), ha reso percorribili tre soluzioni gestionali: dall’in-house, all’affidamento diretto, alla assegnazione a privato tramite asta. Il DdL, invece, vorrebbe riservare al solo pubblico la gestione del servizio idrico. In tal caso, che cosa accadrebbe alle società private (poche) che negli anni scorsi si sono aggiudicate la gestione? Inoltre, a tale riguardo, si deve sottolineare come l’unica Direttiva Europea in materia (2000/60/CE) affronti il tema generale della definizione del “bene” acqua ai fini di “salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente idrico”, senza entrare nel merito economico; di conseguenza, il quadro normativo comunitario per adesso non esprime un indirizzo specifico  sulle modalità di gestione del servizio.
[4]Per affidamento diretto si intende l’attribuzione della gestione di un servizio ad un soggetto diverso dall’Ente Locale ma su cui l’Amministrazione locale può esercitare un’attività di controllo. Tali soggetti possono essere (art. 113-bis del Testo Unico) Istituzioni, aziende speciali, anche consortili, o società di capitale costituite o partecipate dagli Enti Locali (non necessariamente a maggioranza). L’affidamento in house implica, invece, la gestione diretta del servizio da parte dello stesso Ente Locale.
[5] Si tratta comunque di un Disegno di Legge quadro che rimanda necessariamente a decreti attuativi di natura più specifica.
[6] Il rinnovato impianto regolatorio permetterebbe anche di valorizzare quelle società partecipate dagli Enti Locali che operano in condizioni di efficienza/efficacia. Infatti, una riforma in questa direzione, non precluderebbe la possibilità per società a capitale misto di impegnarsi nella gestione dei servizi, ma aiuterebbe a selezionare i potenziali gestori sulla base di criteri oggettivi e trasparenti.