Il Fondo Monetario chiede l’adozione di misure urgenti per il rientro dal deficit e la riduzione del debito pubblico. La BCE stima in 7 miliardi di Euro, quasi mezzo punto percentuale del PIL 2005, la manovra aggiuntiva necessaria per raggiungere l’obiettivo di un disavanzo pari al 3,8% del PIL nel 2006, con un tendenziale che viaggia verso il 4,3%. Contemporaneamente, le Regioni, a chiusura del riparto delle risorse 2006 per la sanità, lamentano un disavanzo dei conti della sanità per oltre 5 miliardi di Euro, circa lo 0,35% del PIL del 2005.
Un quadro, questo, che obbliga a riflettere, se è vero che il disavanzo sanitario delle Regioni ha un ordine di grandezza comparabile a quello della manovra correttiva e per finanziarlo integralmente sarebbe richiesta una manovra correttiva che inciderebbe per oltre lo 0,8 per cento del PIL.
La sanità pubblica marcia spedita lungo il crinale di una vera e propria “deriva” di spesa, con una preoccupante contrapposizione tra Stato pagatore di ultima istanza e Regioni responsabili della produzione di servizi e … disavanzi.
Sin dall’avvio della tormentata traversata federalista, il finanziamento a programma per la sanità ha “inseguito” la maggior spesa a consuntivo, con interventi correttivi e sanatorie che hanno portato l’incidenza sul PIL dal 6,2% del 2001 al 6,5% del 2004 e innalzato la quota di finanziamento a carico dello Stato dal 5,9% al 6,3%. Incrementi di incidenza, questi, ben più alti rispetto al trend prospettato nelle previsioni di lungo termine della Ragioneria Generale dello Stato e dalla Commissione UE.
La crisi della sanità è lo “specchio” della situazione in cui versano tutti i conti pubblici nel guado federalista. Il Patto di Stabilità interno ha innalzato a sistema la logica dei vincoli di bilancio “soffici”, con un’escalation di provvedimenti che è culminata nella (fallimentare) applicazione della “regola del 2%” della Finanziaria 2005, inasprita senza miglior esito dalla Finanziaria per il 2006. I Comuni, per dirne una, lamentano già un disavanzo di oltre 2,4 miliardi di Euro nel 2006.
La via italiana al federalismo sta producendo una vera propria spaccatura tra Paese reale e Paese “dei tetti”, con disavanzi nascosti che, per ora, né il Fondo né la BCE sono stati in grado di valutare. Una gestione dei conti pubblici in cui è l’irresponsabilità politica a farla da padrona, mentre tutti gli obiettivi di politica economica si allontanano: sia quelli di sostenibilità finanziaria che quelli di adeguatezza delle prestazioni.
E’ necessario ora costruire un “filo logico” per l’azione di governo. In primo luogo, identificando i livelli essenziali di assistenza (LEA) e il loro costo rispetto a standard efficienti. Questo passaggio richiede la condivisione di un pacchetto di riforme strutturali, una sorta di “linguaggio comune” che le Regioni devono adottare per coordinarsi. In secondo luogo, l’avvio di un sistema di finanziamento federalista trasparente, che preveda l’obbligo per le Regioni di ripianare i disavanzi attraverso l’introduzione di addizionali IRE, con una piena responsabilizzazione sia finanziaria che politica.
Passaggi obbligati, questi, se si vuol dare attuazione positiva all’articolo 119 della Costituzione, senza dinamiche centrifughe e dirompenti.  Nel frattempo, l’Italia si trova in una situazione di amministrazione provvisoria della finanza pubblica e ciò che conta è “limitare i danni a fine anno” e … e poi?