Il presente lavoro confronta gli incentivi al prolungamento dell’attività lavorativa impliciti nei tre regimi pensionistici attualmente esistenti in Italia: il retributivo (così come modificato dalla riforma “Amato” del 1992), il contributivo a capitalizzazione nozionale (introdotto nel 1995 dalla riforma “Dini”), e quello “di transizione” tra il primo e il secondo. Il confronto è basato su due indicatori: la variazione del tasso di sostituzione netto e la variazione della ricchezza pensionistica netta generati dalla decisione di prolungare l’attività lavorativa. Gli indicatori sono calcolati per prolungamenti da uno a cinque anni.
Le regole del regime pensionistico contributivo a capitalizzazione nozionale tendono a favorire il prolungamento della carriera lavorativa già in corso o quantomeno non contengono, come le regole del precedente regime retributivo, incentivi ad anticipare il pensionamento al fine di massimizzare i benefici distribuiti dal sistema pensionistico. Inoltre, il regime retributivo rende particolarmente conveniente, per chi ha a disposizione questa alternativa, il pensionamento da lavoro dipendente con contestuale ripresa dell’attività nella forma di lavoro autonomo, creando una forte discontinuità tra chi continua il lavoro dipendente e chi passa al lavoro autonomo. Il regime contributivo, invece, premia maggiormente il prolungamento del lavoro dipendente già in corso, rispetto al cumulo tra pensione e reddito da lavoro autonomo, pur senza creare discontinuità eccessive e, soprattutto, discontinuità che non trovino giustificazione sul piano economico-finanziario.
Scritto da: Fabio Pammolli, Pietro Rizza e Nicola C. Salerno